Massima: “L'indennità di fine mandato (TFM), seppur sostanzialmente assimilabile al trattamento di fine rapporto previsto per i lavoratori dipendenti, non soggiace alle stesse regole fiscali e civilistiche. Ed invero, mentre per il TFR sia la normativa civilistica che quella fiscale (c.c., art. 2120 e d.P.R. 917/1986, art. 105) disciplinano e limitano la quota annuale di accantonamento deducibile (retribuzione annua diviso 13,5) per il TFM non v'è alcuna norma di riferimento che limiti l'ammontare della quota deducibile”.
Massima: “Ai fini della riqualificazione di un Ente non commerciale è necessario che ci sia prevalenza delle attività commerciali rispetto a quelle istituzionali dell'Ente stesso. Pertanto, qualora l'associazione abbia tenuto una contabilità separata delle attività commerciali da quelle istituzionali e da questa risulti che i redditi derivanti dalle attività commerciali non siano prevalenti rispetto a quelli istituzionali, l'Amministrazione finanziaria non può procedere alla riqualificazione dell'ente”.
Estratto: “Il valore di transazione resta il metodo prioritario di determinazione, in quanto è considerato il più adatto ed il più frequentemente utilizzato.
Per disattenderlo, occorre che:
- l'amministrazione abbia fondati dubbi che esso sia inattendibile;
- i dubbi persistano, anche dopo una richiesta di ulteriori informazioni o complementi di documentazione e dopo aver fornito all'interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi sui quali sono fondati tali dubbi;
- l'amministrazione ricorra in primo luogo ai metodi di valutazione immediatamente sussidiari, ossia a quelli stabiliti dall'art. 30 del codice doganale comunitario, in successione”.
Nel proseguo del presente articolo svilupperemo alcune considerazioni pro contribuente a favore della possibile eccezione di inutilizzabilità dei dati derivanti dalle c.d. polizze Credit Suisse, lista Falciani, Panama Papers, e liste similari.
Analoghe considerazioni, sotto taluni profili, potrebbero essere sviluppate, nel futuro, in riferimento a contestazioni fondate unicamente su dati acquisiti nell'ambito di procedure di collaborazione volontaria (voluntary disclosure), seppure vi siano comunque fortissimi distinguo.
Infatti se, da un lato, può essere sostenuto che la questione della veridicità si pone in entrambi i casi, dall'altro lato, la seconda ipotesi si distingue per molti motivi, e si potrebbe mostrare vicina al caso del contribuente implicato dalle sole dichiarazioni del terzo (già nella sentenza della Corte di Cassazione n. 13366 del 28/06/2016, menzionata in questo stesso sito, si ritenevano insufficienti, in un'ipotesi di contestazione di utilizzo di FOI, le sole dichiarazioni di terzo).
Estratto: “l'Agenzia delle Entrate richiama una serie di elementi presuntivi (quali l'acquisto di immobili in Italia e la richiesta di talune autorizzazioni amministrative) il cui valore, a suo avviso, sarebbe stato misconosciuto dalla Commissione Tributaria Regionale e riconduce, altresì, la vicenda nell'ambito della violazione degli artt. 20 D.Lgs. 74/200 e 654 cod. proc. pen., alla luce dell'autonomia tra il giudizio penale e quello tributario, ma, per tale via, chiedendo una diversa valutazione dell'iter decisorio del giudice di secondo grado al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti (sul punto, fra le altre, Cass. n. 19547 del 2017). 3.3. Il ricorso deve, quindi, essere respinto”.
In questo articolo, esaminiamo, in luogo di una sentenza, le argomentazioni processuali sviluppate dal nostro studio all’interno di un reclamo avverso un avviso di accertamento fondato sui dati del c.d. “spesometro”, che riteniamo meritevoli di nota perché hanno permesso di ottenere l’immediato integrale annullamento dell’avviso di accertamento notificato al contribuente a seguito della mera proposizione del ricorso-reclamo (e quindi a distanza di appena 3 mesi), senza necessità di difendere ulteriormente le ragioni del contribuente davanti alla Commissione Tributaria (all’interno di un contenzioso che avrebbe avuto una durata decisamente più ampia).
Estratto: “La fattispecie concreta, in cui una cartella esattoriale è stata emessa a seguito di controllo automatizzato per l'anno 2002 per aver la contribuente fruito in quell'anno di un credito IVA, riportato dalla precedente annualità, a mezzo della compensazione con altre imposte pur in assenza di dichiarazione annuale del 2001, è sostanzialmente sovrapponibile a quella decisa dalle Sezioni Unite, con la sentenza 8 settembre 2016 n. 17757. Orbene, in tale occasione questa Corte ha affermato il seguente principio di diritto: "la neutralità dell'imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l'eccedenza d'imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione”.
Massima: “L'effettiva ratio dell'art. 51 del d.P.R. 131/1986 e quella di garantire che l'imposta di registro sia applicata su una base imponibile il più possibile conforme al valore effettivo dell'azienda in condizioni di libero mercato. Ciò comporta l'esigenza di dare rilevanza al valore dell'avviamento anche se di segno negativo senza che possa considerarsi dirimente la circostanza che la norma preveda la decurtazione delle sole passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa (Conf. Cass. 978/2018).”
Estratto: “La CTR ha correttamente interpretato l'art. 6, comma 3, del d.p.r. n.633 del 1972 al fine di stabilire il momento in cui una data operazione di prestazione di servizi si deve considerare "effettuata" ai fini dell'imponibilità del tributo. Ai sensi della norma ora citata, infatti, le prestazioni di servizi si considerano effettuate all'atto del pagamento del corrispettivo ...", sicché solo da tale momento insorge l'obbligo di fatturazione e si realizza il presupposto impositivo. Lo stesso comma 3 dell'art. 6 del d.P.R. n.633 del 1972, tuttavia, contiene una deroga, introdotta ad integrazione del testo originario, dall'art. 16 bis d.l. 23 febbraio 1995 n. 41, conv. in I. 22 marzo 1995 n. 85 ed entrato in vigore il 24 febbraio 1995, poi sostituito dall'art. 4 d.l. 2 ottobre 1995 n. 415, conv. con modificazioni in I. 29 novembre 1995 n. 507. Tale deroga recita testualmente «Quelle [le prestazioni di servizi] indicate nell'articolo 3, terzo comma, primo periodo, si considerano effettuate al momento in cui sono rese, ovvero, se di carattere periodico o continuativo, nel mese successivo a quello in cui sono rese». 3.2 La ricorrente sostiene che la suddetta deroga debba essere interpretata nel senso che tutte le prestazioni di servizi devono considerarsi effettuate al momento in cui sono rese ovvero, se di carattere periodico o continuativo, nel mese successivo. Una tale interpretazione è manifestamente infondata in quanto porterebbe a trasformare l'eccezione in regola generale con una sostanziale abrogazione del principio secondo cui le prestazioni di servizi si intendono effettuate al momento del pagamento del corrispettivo. Risulta palese, invece, che il rimando effettuato dal legislatore al primo periodo del comma 3 dell'articolo .3 del d.P.R. n.633 del 1972 serve ad identificare e delimitare l'ambito di operatività dell'eccezione, che riguarda esclusivamente le prestazioni di servizi effettuate per l'uso personale o familiare dell'imprenditore, ovvero a titolo gratuito per altre finalità estranee all'esercizio dell'impresa ad esclusione delle somministrazioni nelle mense aziendali e delle prestazioni di trasporto, didattiche, educative e ricreative di assistenza sociale e sanitaria, a favore del personale dipendente, nonché delle operazioni di divulgazione pubblicitaria svolte a beneficio delle attività istituzionali di enti del Terzo settore di natura non commerciale, e delle diffusioni di messaggi, rappresentazioni, immagini o comunicazioni di pubblico interesse richieste o patrocinate dallo Stato o da enti pubblici. Solo in relazioni a tali casi le prestazioni di servizi si intendono effettuate al momento in cui sono rese o, se periodiche, nel mese successivo.”
Estratto: “il motivo è inammissibile poiché il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede dì legittimità ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può, invece, consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. n. 6288 del 18/03/2011; Cass. n. 27162 del 23/12/2009)”.