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Corte di Cassazione, Sez. V,
Sentenza n. 23503 del 28 settembre 2018
FATTI DI CAUSA
1. L'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Milano, depositata il 14 aprile 2016 di reiezione dell'appello da essa proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva ritenuto la effettività della residenza stabilita da XXX, cantante lirica, presso il Principato di Monaco e la conseguente insussistenza di qualsivoglia legame economico della cantante stessa con il Paese d'origine in relazione all'avviso di accertamento per l'anno 2007 con il quale erano state accertate maggiori imposte per euro 742.255,80, comprensivi di imposta, sanzioni ed interessi.
2. Dall'esame della sentenza di appello si evince che, condividendosi la tesi del giudice di primo grado, è stata ritenuta assorbente la determinazione dell'ubicazione della residenza della contribuente. Secondo la Commissione Tributaria di Milano, infatti, richiamata la definizione di residenza fornita dal mod. OCSE, doveva reputarsi documentalmente dimostrata la fissazione in Monaco del centro principale dei propri interessi ed affetti da parte della XXX, peraltro assistita dall'esistenza di diversi elementi di fatto.
2. Il ricorso è affidato a due motivi.
3. Resiste con controricorso XXX.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, l'Agenzia delle Entrate denuncia la violazione dell'art. 2, comma 2 bis, TUIR, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. deducendosi l'insufficienza degli elementi di fatto addotti dalla contribuente al fine della dimostrazione della effettiva residenza nel Principato di Monaco, territorio a regime fiscale privilegiato.
2. Con il secondo motivo si deduce la violazione dell'art. 20 D. Lgs. n. 74 del 2000 e dell'art. 654 cod. proc. pen., alla luce dell'autonomia fra giudizio penale e giudizio tributario in ordine alla ritenuta rilevanza presuntiva del decreto di archiviazione del Giudice per le indagini preliminari che aveva confermato la residenza estera della contro ricorrente.
3. Entrambi i motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per l'intima connessione, sono infondati.
3.1. Va preliminarmente rilevato che nella vigenza dell'originario testo dell'art. 2 TUIR, comma 2 bis, (introdotto dalla legge finanziaria 1999) si considerano residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato e dunque, per effetto della presunzione legale relativa di residenza in Italia, è il contribuente, apparentemente emigrato verso Stati o territori indicati, a dover dimostrare di aver reciso ogni rapporto significativo con il territorio dello Stato italiano, operando il principio dell'unicità del domicilio di cui all'art. 43 c.c..
3.2. Con riguardo alle dedotte violazioni di legge, va poi evidenziato che, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, il vizio di 'violazione di norme di diritto consiste nella deduzione di un'erronea cognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa l'allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione (ex plurimis, Cass. n. 24054 del 2017). In particolare, il discrimen tra l'una e l'altra ipotesi è segnato dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass n 7394 del 2010; Cass. n 14468 del 2015, nonché la già richiamata Cass. n. 24054 del 2017).
3.2.1. Nel caso di specie, invero, parte ricorrente, pur deducendo una violazione di legge, mira, in realtà, ad ottenere una inammissibile revisio prioris istantiae richiedendo al giudice di legittimità una diversa valutazione di merito (che avrebbe potuto esser fatta valere ai sensi dell'art. 360 n. 5 nei limiti consentiti dalla formulazione temporalmente applicabile) e volendo ricondurre tale verifica nell'ambito del vizio di violazione di legge.
3.2.2. In particolare, l'Agenzia delle Entrate richiama una serie di elementi presuntivi (quali l'acquisto di immobili in Italia e la richiesta di talune autorizzazioni amministrative) il cui valore, a suo avviso, sarebbe stato misconosciuto dalla Commissione Tributaria Regionale e riconduce, altresì, la vicenda nell'ambito della violazione degli artt. 20 D.Lgs. 74/200 e 654 cod. proc. pen., alla luce dell'autonomia tra il giudizio penale e quello tributario, ma, per tale via, chiedendo una diversa valutazione dell'iter decisorio del giudice di secondo grado al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti (sul punto, fra le altre, Cass. n. 19547 del 2017).
3.3. Il ricorso deve, quindi, essere respinto.
3.3.1. Sussistono giusti motivi, in relazione alla peculiarità e la difficoltà di accertamento per l'Agenzia, nella fattispecie, per l'integrale compensazione delle spese di legittimità, alla luce anche della sentenza della Corte Costituzionale n. 77 del 18 aprile 2018 che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 92 comma 2 c.p.c. nella parte in cui non consente, nelle ipotesi di soccombenza totale, di compensare parzialmente o per intero le spese di lite anche ove ricorrano gravi ed eccezionali ragioni, diverse da quelle tipizzate dal legislatore.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa integralmente le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 14 giugno 2018.
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