La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 13330 del 2017, ha rigettato il ricorso per cassazione dell'Agenzia delle Entrate, che si lamentava dell'annullamento da parte dei Giudici di merito degli avvisi di accertamento emessi nei confronti di una società edile, a cui era stato contestato l'utilizzo di fatture a fronte di operazioni inesistenti.
Le indagini condotte dall'Agenzia delle Entrate avrebbero rilevato una discrepanza tra gli importi delle fatture e i movimenti in uscita sul conto corrente bancario della società.
In giudizio il contribuente aveva tuttavia offerto la prova dell'effettività delle prestazioni ed aveva altresì compiutamente delineato le modalità di pagamento delle prestazioni. In particolare, parte dei compensi erano stati corrisposti in contanti, ragion per cui i movimenti bancari riportavano un importo inferiore rispetto a quello delle fatture.
Dopo le corti di merito anche la Corte di Cassazione dà ragione al contribuente, confermando l'annullamento degli avvisi.
La CTR della Lombardia, con la pronuncia in esame, ha annullato gli avvisi emessi dall'Agenzia delle Entrate sulla base di un rilievo con cui si contestava l'oggettiva inesistenza delle operazioni indicate in fattura, in quanto emessi tardivamente (successivamente rispetto al termine di decadenza di cui all'art. 43 n. 600 del 1973).
Ad avviso dell'Agenzia delle Entrate la stessa sarebbe stato ancora in tempo, in quanto, avendo ella presentato la denuncia penale, i termini dovevano intendersi raddoppiati.
Di contrario avviso la CTR della Lombardia, che ha annullato gli avvisi dato che con la L. 208/2015 lo stesso Legislatore ha specificato che, ai fini del raddoppio dei termini per l'emissione dell'avviso, la stessa denuncia deve essere tempestiva, deve cioè rispettare i termini decadenziali ordinari.
Massima: “L'art. 1, commi 130, 131 e 132, legge 208/2015 ha implicitamente abrogato il regime transitorio dell'art. 2, comma 3, del d.lgs. 128/2015 e la sentenza della Corte Costituzionale n. 247/2011 non è vincolante sia perché di rigetto sia perché intervenuta prima delle evoluzioni normative sopra citate. Ne discende che, ai fini della legittima applicazione del raddoppio dei termini per l'accertamento, la presentazione della denuncia debba avvenire entro i termini decadenziali ordinari dell'accertamento stesso. Una diversa e contraria conclusione comporterebbe la violazione del principio di certezza dei rapporti giuridici e dell'art. 24 della Costituzione, sottoponendo il contribuente ad un procedimento sanzionatorio attivabile "sine die" (Contra Cass. n. 16728/2016)”.
Estratto: “l’acquirente dei beni può dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti anche nell’ipotesi in cui sia consapevole del loro carattere fraudolento, salvi i limiti derivanti dai principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità”.
Nel caso esaminato dalla sentenza in discussione, la Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto doveroso annullare in toto un avviso di accertamento con cui si contestava la registrazione nella contabilità sociale di una fattura ritenuta emessa a fronte di un’operazione oggettivamente inesistente.
In sede penale, il PM aveva richiesto l’archiviazione, non ritenendo potesse essere provata la fittizietà dell’operazione. Circostanza che i Giudici Tributari non hanno mancato di considerare.
Se infatti è vero che i due processi sono separati, l’archiviazione penale può ben costituire elemento di valutazione da parte delle Commissioni Tributarie.
In definitiva, la CTR ha ritenuto l’atto meritevole di integrale annullamento, e qualsiasi pretesa di pagamento è venuta meno.
Estratto: "L'Amministrazione finanziaria è tenuta a dimostrare i presupposti della responsabilità dei soci nei confronti dei quali agisce, anche nei limiti di cui all'art. 2495 c.c. e, cioè che, in concreto, vi sia stata distribuzione dell'attivo e che una quota di quest'ultimo sia stata effettivamente riscossa".
All'interno delle pronunce giurisprudenziali oggi commentate si riconosce che, ai fini dell'annullamento di un accertamento redditometrico, è sufficiente che il contribuente provi la precedente sussistenza di disponibilità rispetto al periodo d'imposta mentre non è necessario che lo stesso dimostri l'utilizzo esattamente di tali disponibilità per sostenere le spese alla base dell'accertamento redditometrico.
Nella fattispecie esaminata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia era stato contestato ad una serie di contribuenti l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, con ogni conseguente riflesso in termini impositivi e sanzionatori.
La ragione che ha determinato l’annullamento degli avvisi in esito al procedimento di appello è, in tale ipotesi, unicamente formale: era invalida, a monte, la delega del funzionario firmatario. Inoltre le ulteriori deleghe rivendicate dall'Erario non erano state depositate in giudizio da parte dell’Agenzia delle Entrate (gravata di tale onere).
Pertanto, la fattispecie in esame costituisce un chiaro esempio dei casi in cui l’invalidità nel procedimento di formazione di un atto, da un lato, ed il contegno processuale dell'Agenzia delle Entrate, dall’altro lato, possano giustificare l’annullamento di un avviso di accertamento.
Il filone giurisprudenziale che sarà esaminato all'interno di questo breve commento riconosce che l’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente si applica anche ai costi sostenuti per fideiussioni richieste per ottenere i rimborsi IVA in via accelerata. Il contribuente, specificano le pronunce in esame, anche in tal caso ha il diritto di ottenere il rimborso dei costi.
Nel caso in discussione un costruttore veniva sottoposto a verifica fiscale in considerazione del fatto che i suoi ricavi si mostravano inferiori rispetto a quanto risultante dallo studio di settore. Ricostruito un nuovo reddito da ascrivere al costruttore, l’Ufficio demandava il pagamento di maggiori imposte sulla base di tale ricostruzione, oltre a sanzioni ed interessi.
Nondimeno tale ricostruzione era racchiusa in un prospetto contenente i dati contabili ed extracontabili che l’Agenzia aveva ritenuto di utilizzare per rideterminare il reddito del contribuente.
Orbene, prima la Commissione Tributaria Provinciale e dappoi la Commissione Tributaria Regionale hanno ritenuto necessaria, a pena di nullità dell’avviso, l’allegazione di tale prospetto, e l’atto è stato dichiarato nullo. Il costruttore non dovrà corrispondere le somme.
Nel caso in discussione l'Agenzia delle Entrate contestava l'inesistenza soggettiva delle operazioni ma non allegava puntualmente le ragioni di fatto per le quali le fatture medesime dovevano considerarsi “soggettivamente inesistenti”, come invero asserito (ma evidentemente non provato).
Tale onere probatorio spettava all'Erario.
La contestazione pertanto è stata ritenuta non provata.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dall'Agenzia delle Entrate.
Estratto: “A ben vedere dunque lo sviluppo della censura in realtà non configura il vizio di legittimità dedotto, bensì critiche, anche a-specifiche, alle valutazioni di merito della sentenza impugnata, così ponendosi tuttavia in chiaro contrasto con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale “In tema di ricorso per Cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un'erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (ex multis Sez. 5, n. 26110 del 2015).Per altro verso va ancora osservato il difetto di autosufficienza del mezzo dedotto dall'agenzia fiscale, poiché al di la delle ragioni di diritto addotte in astratto, non vi è la puntuale allegazione delle ragioni di fatto per le quali le fatture in contestazione debbano considerarsi “soggettivamente inesistenti”. Il ricorso va dunque rigettato”.
La Corte di Cassazione, all'interno della pronuncia in esame, ha rigettato il ricorso dell'Agenzia delle Entrate che si doleva dell'annullamento dell'avviso di accertamento da parte della Commissione Tributaria.
Nel caso in discussione il soggetto che aveva emesso le fatture aveva dappoi dichiarato che le stesse erano false e da tale dichiarazione aveva preso avvio la verifica nei confronti del contribuente, il quale aveva ovviamente utilizzato tali costi in diminuzione del reddito imponibile. Queste sole dichiarazioni, tuttavia, sono state ritenute dai Giudici insufficienti a dimostrare, da sole, l'utilizzo di false fatture.
L'annullamento è stato confermato anche dalla Cassazione e le somme di cui all'avviso non devono essere corrisposte.
Massima: “La CTR ha infatti ritenuto che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, le dichiarazioni del terzo fossero di per se, in assenza di ulteriori riscontri, inidonee a fondare la prova dell'utilizzazione da parte della contribuente di fatture per operazioni inesistenti anche in considerazione delle risultanze contabili e bancarie e degli assegni emessi in favore del terzo (presunto emittente delle fatture fittizie) che risultano personalmente riscossi dal beneficiario. Tale valutazione di fatto, fondato sull'esame delle risultanze istruttorie, è riservata al giudice di merito e non appare sindacabile nel presente giudizio”.
La Commissione Tributaria Regionale della Liguria ha confermato la sentenza di prime cure che aveva annullato due avvisi emessi dall’Agenzia delle Dogane a carico di una società che, all’atto di importazione di pannelli fotovoltaici aveva ritenuto applicabile l’aliquota IVA agevolata del 10%. A parere delle Dogane l’aliquota da applicare era quella ordinaria. Di contrario avviso i giudici di merito che hanno per l’appunto dato ragione alla società contribuente.
Massima: "I moduli solari cablati costituiscono, di per se stessi, impianti idonei alla produzione di energia elettrica continua e non alternata. Ne deriva che, in presenza di questa circostanza di carattere oggettivo, risulta possibile l'applicazione dell'aliquota IVA agevolata di cui al numero 127-quinquies della parte III - Tabella A allegata al d.p.r. n. 633/72, sia nei confronti di utilizzatori finali, sia nell'ipotesi di cessione effettuata ad altri operatori commerciali quali, ad esempio, grossisti o rivenditori".
Esaminiamo le tesi sostenute all'interno di un processo tributario in tema di imposta di registro, da noi patrocinato, che si è concluso con una sentenza particolarmente garantista dei diritti del contribuente. In tale sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, i Giudici hanno confermato l’annullamento integrale (già ottenuto in primo grado) di un atto emesso dall’Agenzia delle Entrate, che non esplicitava al suo interno - in maniera sufficiente ed adeguata - le motivazioni alla base della pretesa di pagamento.
Un contenzioso significativo non solo perché la sentenza abbraccia un’interpretazione particolarmente garantista delle disposizioni di legge, ma anche perché costituisce un esempio di quei casi in cui l’Agenzia delle Entrate, nella sostanza, ha perso il diritto di percepire delle imposte (per ipotesi astrattamente dovute) perché ha formato l’atto in violazione di uno degli obblighi previsti dalla legge (ovvero, sotto un correlato profilo, perché ha violato uno dei diritti spettanti al contribuente).
Una società, per tentare di contrastare gli effetti della crisi, aveva investito nell'adeguamento tecnologico e l'aggiornamento tecnico. Tale scelta veniva contestata dal Fisco, che, vedendo il reddito diminuire in dipendenza della crisi e dei costi di adeguamento tecnocologico, decideva di non credere al contribuente e di rideterminarne i redditi notificando un avviso di accertamento e chiedendo per l'effetto maggiori imposte, interessi e sanzioni. Ma la società contribuente decise di presentare ricorso ottenendo una doppia vittoria in primo e secondo grado.
Massima: Non trovando l'autonomia dell'impresa altro limite fiscale se non quello dell'abuso di diritto, sono insindacabili le scelte imprenditoriali della società che, nel tentativo di arginare la crisi, investa nell'adeguamento tecnologico e nell'aggiornamento tecnico, con conseguente aumento di beni strumentali.