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Impresa edile si difende dall'accusa di utilizzo di fatture false: in realtà aveva pagato in contanti. La Cassazione le da ragione Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 13330 del 2017, ha rigettato il ricorso per cassazione dell'Agenzia delle Entrate, che si lamentava dell'annullamento da parte dei Giudici di merito degli avvisi di accertamento emessi nei confronti di una società edile, a cui era stato contestato l'utilizzo di fatture a fronte di operazioni inesistenti.

Le indagini condotte dall'Agenzia delle Entrate avrebbero rilevato una discrepanza tra gli importi delle fatture e i movimenti in uscita sul conto corrente bancario della società.

In giudizio il contribuente aveva tuttavia offerto la prova dell'effettività delle prestazioni ed aveva altresì compiutamente delineato le modalità di pagamento delle prestazioni. In particolare, parte dei compensi erano stati corrisposti in contanti, ragion per cui i movimenti bancari riportavano un importo inferiore rispetto a quello delle fatture.

Dopo le corti di merito anche la Corte di Cassazione dà ragione al contribuente, confermando l'annullamento degli avvisi.

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Prima di esaminare nel dettaglio la pronuncia, semplifichiamo alcuni concetti di base e rispondiamo alle domande più comuni in tema di falsa fatturazione.

Cosa si intende per fatture emesse a fronte di “operazioni oggettivamente inesistenti”?

Si intende che, a parere dell’Agenzia delle Entrate, l’acquisto non è mai avvenuto od il servizio non è mai stato reso. Per converso, sempre a parere dell’Agenzia delle Entrate, il prezzo che figura in fattura non è mai stato corrisposto.

In questo caso secondo l’Agenzia delle Entrate la fattura sarebbe stata emessa per alzare i costi e, quindi, di conseguenza diminuire i redditi (su cui vengono calcolate le imposte).

Negli ultimi anni (2017 e 2018) uno dei metodi più comuni utilizzati dall’Agenzia delle Entrate per accertare l’emissione di fatture false (totalmente o parzialmente) è il c.d. spesometro.

Caso diverso è quello delle fatture emesse a fronte di operazioni soggettivamente inesistenti.

 

Cosa sono le operazioni soggettivamente inesistenti?

Sono operazioni che sono avvenute. Acquisti che sono effettivamente stati fatti o servizi che sono effettivamente stati prestati. Lo stesso prezzo o corrispettivo è stato effettivamente pagato. Tuttavia, le parti della transazione (ad esempio acquirente o venditore) sono diverse da quelle indicate nella fattura.

Un esempio di questa ipotesi l’abbiamo quando il venditore da cui il cliente ha acquistato ha rilasciato al cliente una fattura a nome di un altro (magari costituito proprio per emettere le fatture ma che non pagherà le proprie tasse o addirittura non presenterà la dichiarazione).

In questo caso la domanda che giunge spontanea è la seguente: è responsabile l’acquirente che non sapeva nulla?

Non lo è, ma in molti casi è necessario fare un processo per stabilirlo, difendere il contribuente da contestazioni infondate e far annullare l’avviso di accertamento da un giudice.

 

In linea generale che tipi di conseguenze ci sono per chi utilizza false fatture?

In linea di principio vi sono 2 tipologie di conseguenze:

- conseguenze tributarie (indeducibilità ai fini IRES / IRPEF e IRAP dei costi, indetraibilità dell'IVA, applicazione elevate sanzioni amministrative);

- conseguenze penali (questo specifico reato è previsto dagli articoli 2 e 8 del decreto legislativo n. 74 del 2000).

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Corte di Cassazione

Sentenza del 26 maggio 2017, n. 13330

La Corte, riunita nella camera di consiglio ex art. 380-bis.1 del 11 maggio 2017, udita la relazione del consigliere Stefano Aprile, rilevato che: l'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso, sulla scorta di tre motivi, per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale di Venezia, confermando la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Venezia, ha rigettato l'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate, annullando l'atto impositivo costituito da avviso di accertamento n. XXX per Irpef 2003, n. XXX per Irpef 2004, n. XXX per Iva e Irap 2003 e n. XXX per Iva e Irap 2004; Resistono XXX SNC DI XXX, XXX, XXX, XXX e XXX (soci della detta società) con controricorso; considerato che: il ricorso censura la sentenza sotto il profilo della violazione di legge (articoli 1189, 2697, 2729 cod. civ., 19, 21, 51 e 54, d.P.R. n. 633 del 1972, 2 e 8, decreto legislativo n. 74 del 2000, 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, 75 d.p.r. n. 917 del 1986, 28-quater, lettera a), direttiva comunitaria n. 77/388), oltre che sotto il profilo dell'insufficienza motivazionale su un fatto controverso decisivo - per avere ritenuto provata, in presenza di una contabilità formalmente regolare ma in presenza di movimenti bancari per importo inferiore alle fatture ricevute, l'effettiva erogazione delle prestazioni sulla base della allegazione di documentazione relativa ai contratti per le opere e all'effettiva apertura dei cantieri edili e della affermazione che le prestazioni medesime sarebbero state in larga parte saldate in contanti, contraddittoriamente affermando la mancanza di prova circa la consapevole partecipazione dell'impresa al disegno asseritamente evasivo dell'impresa individuale emittente delle fatture per operazioni inesistenti ovvero per importi inferiori a quelli reali; il ricorso è infondato poiché la sentenza gravata - che effettivamente presenta un passaggio motivazionale apparentemente estraneo alla fattispecie oggetto del giudizio, la quale che non richiede la partecipazione al disegno evasivo dell'emittente, ma piuttosto l'utilizzo di fatture false - nel complesso si presenta del tutto aderente al quadro normativo di riferimento poiché, con valutazione di merito non sindacabile in questa sede, è stata esclusa la sussistenza di sufficienti indizi per ritenere l'emissione di fatture per operazioni inesistenti, tanto che sono state ritenute sufficienti le allegazioni difensive in ordine alla effettività delle prestazioni, esaminandosi puntualmente la questione posta dall'appellante; le spese del grado vanno liquidate come da dispositivo, tenuto conto dello sforzo defensionale svolto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente Agenzia delle Entrate a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in C 2.500, oltre accessori di legge. Così deciso il 11 maggio 2017.

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