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Prima di esaminare nel dettaglio la pronuncia, semplifichiamo alcuni concetti di base e rispondiamo alle domande più comuni in tema di falsa fatturazione.
Cosa si intende per fatture emesse a fronte di “operazioni oggettivamente inesistenti”?
Si intende che, a parere dell’Agenzia delle Entrate, l’acquisto non è mai avvenuto od il servizio non è mai stato reso. Per converso, sempre a parere dell’Agenzia delle Entrate, il prezzo che figura in fattura non è mai stato corrisposto.
In questo caso secondo l’Agenzia delle Entrate la fattura sarebbe stata emessa per alzare i costi e, quindi, di conseguenza diminuire i redditi (su cui vengono calcolate le imposte).
Negli ultimissimi anni (2017 e 2018) uno dei metodi più comuni utilizzati dall’Agenzia delle Entrate per accertare l’emissione di fatture false (totalmente o parzialmente) è il c.d. spesometro.
Caso diverso è quello delle fatture emesse a fronte di operazioni soggettivamente inesistenti.
Cosa sono le operazioni soggettivamente inesistenti?
Sono operazioni che sono avvenute. Acquisti che sono effettivamente stati fatti o servizi che sono effettivamente stati prestati. Lo stesso prezzo o corrispettivo è stato effettivamente pagato. Tuttavia, le parti della transazione (ad esempio acquirente o venditore) sono diverse da quelle indicate nella fattura.
Un esempio di questa ipotesi l’abbiamo quando il venditore da cui il cliente ha acquistato ha rilasciato al cliente una fattura a nome di un altro (magari costituito proprio per emettere le fatture ma che non pagherà le proprie tasse o addirittura non presenterà la dichiarazione).
In questo caso la domanda che giunge spontanea è la seguente: è responsabile l’acquirente che non sapeva nulla?
Non lo è, ma in molti casi è necessario fare un processo per stabilirlo, difendere il contribuente da contestazioni infondate e far annullare l’avviso di accertamento da un giudice.
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Commissione Tributaria Regionale di Bologna
Sent. n. 2607/2016
Svolgimento processo
La Direzione provinciale delle Entrate di Forlì, effettuava una verifica fiscale nei confronti della C. sr1,che svolgeva attività di costruzione di edifici residenziali; durante tali operazioni , i Verificatori constatavano la registrazione da parte della srl verificata di una fattura ( n.10/2008) emessa nei confronti della stessa da parte dell'odierna Appellante – L. srl- esercente attività di consulenza amministrativa, per un importo di euro 500.000,00 più IVA al 20%.
Durante ulteriori approfondimenti relativamente all'attività di consulenza prestata dall'Appellante ,I'Ufficio riscontrava che quest'ultima registrava fra i propri costi - relativi all'esercizio 2009 - una fattura ( n. 3412009) di importo pari ad euro 400.000,00 più IVA al 20% emessa dalla srl D. con la descrizione " quota parte di prestazioni svolta di cui alla fattura n. l0 del 22/09/2008": in base tali presupposti , l'ufficio accertatore riteneva che si fosse posta in essere un'operazione oggettivamente inesistente ( cfr. pag. 3 delle controdeduzioni dell'ufficio) servita a fare rientrare nella disponibilità della srl C. una quota della somma finalizzata alla consulenza fittizia ,fornita dall'odierna Appellante, come su descritto.
Sulla base di tali presupposti di fittizietà l'Ufficio notificava alla srl L. un avviso di accertamento - relativo all'esercizio 2009- recuperando la somma di euro 80.000,00 quale IVA ( al 20%) sull'imponibile di euro 400.000,00, ritenuta indetraibile per la supposta inesistenza oggettiva dell'operazione.
La L. srl presentava ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Forlì, che con sentenza n. 287102115 lo respingeva, con addebito di euro 10.000,00 quale rifusione delle spese processuali .
La srl proponeva appello contro la sentenza dei primi giudici contestandone la carente motivazione , la sua impostazione sillogistica ( estranea al diritto tributario, nonché la fondatezza di richiami a precedente sentenza ( di solo primo grado ); contestava - inoltre- la legittimità della sottoscrizione dell'avviso notificato. CHIEDEVA l'annullamento dell'atto di accertamento , con la rifusione delle spese di giudizio, previa sospensione della sentenza appellata.
L'Ufficio presentava proprie controdeduzioni ,insistendo sulla fondatezza del proprio operato e sulla legittimità della sottoscrizione dell'avviso , contestato dall'odierna Appellante. CHIEDEVA la conferma dell'accertamento, constatavano vittoria di spese.
La srl presentava ulteriori memorie illustrative , con nota di deposito di documenti inerenti la causa.
La causa era discussa in pubblica udienza, alla quale intervenivano i Rappresentanti delle Parti.
Questo Collegio, sentite le parti nella suddetta pubblica udienza, ed esaminata la documentazione versata in atti, rileva come l'Ufficio abbia - a suo tempo - inoltrato notizia di reato da Procura della Repubblica , presso il Tribunale di Forlì per il reato p.e p. dall'art. 2 della legge n. 74/2000, in materia di dichiarazione fraudolenta, mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti: in sostanza il fatto denunciato alla Procura è lo stesso – nei suoi elementi costitutivi e presuntivi di fittizietà – che forma oggetto dell'accertamento, notificato all'Appellante relativamente all'esercizio 2009.
Orbene, è d'uopo prendere atto del fatto che il P.M, con riferimento a quanto denunciato dall'Ufficio, nella richiesta di archiviazione delle indagini preliminari, (avanzata (e accolta) dal GIP del Tribunale di Forlì , con decreto di archiviazione datato 11 aprile 2016 (versato in atti ) rilevi come non possa essere provata l'effettiva insussistenza (oggettiva e soggettiva) delle obbligazioni, poste alla base delle fatture di interesse investigativo.
In sostanza, alla luce delle indagini penali non basate su presunzioni o "sillogismi", è stata accertata la correttezza delle fatturazioni e la loro oggettiva esistenza.
Si pone, a questo punto, una questione – più volte dibattuta – della validità della prova penalistica sulle presunzioni (sia gravi , precise e concordanti) formulate – oltre ogni principio indiziario – in sede tributaria: l'art. 20 del D.lgs n.7412000 sancisce che i due processi (penale e tributario) nonché il procedimento amministrativo siano del tutto autonomi, pur avendo ad oggetto i medesimi, identici fatti.
Nel caso di che trattasi i due processi si sono svolti su due "binari" del tutto avulsi , con le proprie fonti di prove,relative ad un fatto del tutto identico, denunciato dall'ufficio alla Procura, secondo la normativa vigente.
Però, questo Collegio, del tutto autonomo nelle proprie deliberazioni deve formulare il proprio convincimento su basi probatorie concrete (al di là di ogni ragionevole dubbio, come direbbe il Giudice penale) ed in questo senso lo soccorre l'art. 116 del cod. proc. civ., in materia di valutazione delle prove, applicabile al processo tributario.
Tale articolo obbliga il Collegio a valutare le prove secondo il proprio "prudente apprezzamento", che oggettivamente può scaturire da prove fattuali, quali quelle assunte in sede penalistica, al posto di prove indiziarie (sia pure legittime sul piano procedimentale) assunte in sede di procedimento amministrativo, qual è l'accertamento tributario.
Ritiene, pertanto, questo Collegio che il suddetto avviso di accertamento sia da annullare in toto, non essendo in alcun modo fondato il presupposto dell'ufficio circa la presunta inesistenza oggettiva e la sostenuta fittizietà delle operazioni contestate alla srl appellante.
La complessità della questione trattata, nonché le difficoltà connesse oggettivamente alle indagini contabili che ineriscono a rapporti di fatturazione fra soggetti d'impresa, legittimano la compensazione delle spese processuali.
P.Q.M
La Commissione accoglie l'appello della società e – per gli effetti – annulla l'avviso di accertamento in causa. Compensa le spese di giudizio.
Bologna 27 giugno 20 16
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