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Comm. Trib. Reg. per il Lazio Sezione/Collegio 9
Sentenza del 07/11/2018 n. 7631
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La controversia concerne una ripresa a tassazione Irpeg e Iva e Irap 2005 relativamente ad un'operazione di lease-back, nella quale la società YYY srl acquistava dalla società immobiliare KKK srl (società terza) un immobile sito in Roma (già concesso in locazione ad alcune società) per un corrispettivo di euro 15.000.000 più Iva. Nella stessa data, ossia il 23 marzo 2005, YYY srl prometteva in vendita il medesimo immobile a XXX srl (ricorrente in primo grado ed odierna appellante) la quale s'impegnava ad acquistare per sé o per persona da nominare il medesimo immobile al prezzo di euro 24.500.000,00 più Iva con garanzia di redditività minima garantita pari al 7,88%.
In esecuzione del contratto preliminare, YYY srl cedeva l'immobile alla società di leasing WWW srl al prezzo di euro 24.500.00,00 oltre Iva la quale contestualmente lo concedeva in locazione finanziaria alla XXX srl che assumeva la qualità di utilizzatrice del bene ed acquirente in senso sostanziale.
In riferimento a questa operazione finanziaria, l'ufficio, nell'avviso d'accertamento formulava (v. p.8 dell'avviso d'accertamento) sia la contestazione dell'indeducibilità di una parte dei costi relativi ai canoni di leasing, in particolare, quella parte corrispondente alla differenza tra i 15 milioni di euro della prima vendita e i 24 milioni di euro della seconda vendita dalla YYY srl alla società di leasing, per un importo da recuperare di euro 489.006,95, e sia contestava l'indebita detrazione dell'intera Iva afferente ai canoni di leasing per un importo da recuperare di euro 804.886,80.
In particolare, secondo l'ufficio, a fronte della creazione di un'apparenza giuridica, le parti avevano inteso realizzare una compravendita unita alla concessione di un finanziamento da parte della società WWW alla YYY srl (che le aveva venduto il bene) ed indirettamente anche all'odierna società appellante, XXX srl (attraverso la deduzione dei canoni - maggiorati - di leasing), la quale, a sua volta, era riconducibile allo stesso centro d'interessi a cui faceva capo YYY srl, che era la società che aveva acquistato il bene da una società terza per poi rivenderlo alla medesima società di leasing.
La contribuente eccepiva in primo grado (p. 3 appello) la nullità dell’avviso d'accertamento in quanto non preceduto dalla richiesta di chiarimenti di cui all'art. 37 bis comma 4 del DPR n. 600/73 e il difetto di motivazione illogica e contraddittoria dell'atto impositivo; nel merito, evidenziava l'infondatezza della tesi della sproporzione del prezzo della seconda vendita rispetto al valore di mercato e l'infondatezza della tesi della simulazione parziale del contratto di leasing, anche per l'assenza di ogni vantaggio fiscale in capo all'appellante dalla realizzazione della contestata operazione, con particolare riferimento all'indetraibilità dell'IVA, avendo tutti i soggetti coinvolti nell'operazione debitamente versato tale imposta; in via subordinata, deduceva la violazione dell'art. 8 comma 2 della legge n. 16 del 2012 riferita alla mancata esclusione dal recupero d'imposta dell'ammontare dei ricavi afferenti ai componenti negativi, correlati alla quota di costi contabilizzati, in relazione ai canoni di leasing e, inoltre, l'illegittima pretesa sanzionatoria, peraltro maggiorata del 50%, essendo stato esercitato un sindacato di tipo antielusivo che non contempla l'irrogabilità delle sanzioni.
Resisteva l'ufficio con controdeduzioni.
La CTP rigettava il ricorso, sull'assunto che nell'ambito del previo accertamento con adesione si erano realizzate le garanzie procedimentali, attraverso il contraddittorio con la società contribuente, per cui non sussisteva nessuna violazione dell'art. 37 bis del DPR n. 600/73, nel caso di specie, neppure applicabile, mentre, nel merito, riteneva sussistente la frode in termini di simulazione parziale dell'operazione, per la parte relativa alla differenza di prezzo tra la prima vendita dell'immobile (euro 15.000.000 più Iva) e la seconda vendita (euro 24.500.000 più Iva) che celava un finanziamento di euro 9.500.000,00 alla società YYY srl che aveva rivenduto a prezzo maggiorato alla società di leasing l'immobile oggetto di controversia e un ulteriore finanziamento all'odierna società appellante, per i canoni "maggiorati" corrisposti alla medesima società di leasing, indebitamente detratti come costi. D'altra parte, la motivazione dell'atto impositivo doveva considerarsi esaustiva perché l'ente impostore aveva vagliato criticamente le risultanze del verbale di verifica, ed aveva ben esplicitato l'iter logico per ritenere indebite le detrazioni.
I giudici di prime cure hanno evidenziato come le operazioni accertate erano intercorse tra società facenti parte dello stesso gruppo societario riferibile alle persone fisiche che erano state ben individuate dall'ufficio, inoltre, tali operazioni, attraverso atti simulati, avevano portato al finanziamento di una delle società del gruppo, tramite le riferite operazioni di leasing immobiliare, con notevoli vantaggi fiscali e senza una valida causa economica.
Avverso quest'ultima sentenza la società contribuente propone appello davanti a questa Commissione tributaria regionale deducendo l'errar in indicando della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la simulazione parziale del contratto di leasing posto in essere dalle parti per come esposto dalla CTP, in quanto l'operazione di lease-back è un'operazione che serve a creare liquidità per l'imprenditore, consentendogli di continuare ad utilizzare il bene strumentale oggetto dell'operazione di leasing e la causa del contratto è lecita, razionale e realizza interessi contrattuali meritevoli di tutela, in conformità all'ordinamento giuridico.
L'appellante ha riproposto, inoltre, il motivo di censura, sulla violazione dell’art. 8 comma 2 della legge n. 16 del 2012 riferita alla mancata esclusione dal recupero d'imposta dell'ammontare dei ricavi afferenti ai componenti negativi, correlati alla quota di costi contabilizzati, in relazione ai canoni di leasing, nonché la censura sulla violazione delle garanzie procedurali di cui all'art. 37 bis comma 4 del DPR n. 600/73, e la censura sul difetto di motivazione dell'atto impositivo impugnato.
Resisteva l'ufficio con controdeduzioni.
A seguito di scioglimento di riserva, ex art. 35 del d.lg. n. 546/92, il Collegio adottava la seguente decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
È fondato il primo motivo, con assorbimento dei restanti motivi di gravame.
Secondo la giurisprudenza della S. Corte "In materia tributaria, la scelta di un'operazione fiscalmente più vantaggiosa non è sufficiente ad integrare una condotta elusiva, laddove sia lo stesso ordinamento tributario a prevedere tale facoltà, a condizione che non si traduca in uso distorto dello strumento negoziale o in un comportamento anomalo rispetto alle ordinarie logiche d'impresa, posto in essere per realizzare non la causa concreta del negozio, ma esclusivamente o essenzialmente il beneficio fiscale. Ne consegue che l'opzione per il "sale and lease back" di un bene strumentale, che comporta rispetto all'acquisto un'accelerata deducibilità dei costi, rientra nel libero esercizio dell'attività economica del contribuente, qualora risponda al suo specifico e concreto interesse economico di estinguere pregressi debiti mediante l'acquisizione di nuova liquidità a condizioni ritenute convenienti" (Cass. n. 17175/15,405/15,25758/14).
Sempre, secondo la giurisprudenza della Cassazione "in presenza di un rapporto, come nella specie trilatero (sale and lease-back) ha ritenuto irrilevante, ai fini della liceità delle transazioni, che l'impresa venditrice appartenga, come nella specie, allo stesso gruppo di quella utilizzatrice (Cass. 6663/97) potendosi configurare un patto commissario vietato soltanto nel caso di interposizione fittizia dell'utilizzatrice, la quale invece - nel caso di effettività del trasferimento del bene, come nella fattispecie - poteva legittimamente affidare a quello schema contrattuale la garanzia del proprio debito, presentando il contratto di lease-back autonomia strutturale e funzionale (Cass. 10805/95;4612/98) quale contratto d'impresa, atto a realizzare un'alienazione a scopo di garanzia. Infatti il lease-back è un contratto atipico rientrante nell'autonomia delle parti ex art 1322 c.c., composto sostanzialmente da due contratti - uno di vendita e uno di leasing - locazione finanziaria, cui può aggiungersi la garanzia di un terzo e ciò in quanto, se è vero che la funzione perseguita è quella del finanziamento, è vero altresì che l'utilizzatore finale vuole ottenere una somma di danaro non a titolo di mutuo (per ciò basterebbe ottenere in prestito la somma richiesta dando una garanzia ipotecaria sul bene), ma mantenere la disponibilità di un bene di cui cede la titolarità, per poi riacquistarla, ipotesi nella quale il concedente si tutela legittimamente attraverso l'intervento di un garante (...). " (Cass. n. 12044/09).
Sempre secondo la giurisprudenza della S.C. non può predicarsi la fittizietà dell'operazione in caso di appartenenza dell'impresa cedente e dell'impresa utilizzatrice al medesimo gruppo societario, qualora sussista l'effettività del trasferimento del bene e l'effettività del prezzo pagato dalla società di leasing alla società cedente, nonché la non antieconomicità dell'operazione (Cass. n. 6663/97). Nel caso di specie, il riconoscimento della clausola di ''minimo garantito" all'odierna appellante (almeno per un certo numero di anni) ha consentito alla YYY srl di massimizzare il prezzo della seconda vendita (e fare maggiore liquidità) ed ha consentito a XXX srl (odierna appellante) di garantirsi un investimento dotato di una certa redditività minima attesa per un certo numero di anni (a tassi di rendimento superiori a quelli ritraibili dalla mera locazione), e alla società di leasing di "recuperare" il maggior onere nell'acquisto dell'immobile, attraverso la percezione di corrispondenti canoni di leasing proporzionati al prezzo di acquisto del bene.
L'operazione è stata effettiva, in quanto, risulta pagata la tassa sulla plusvalenza derivata dalla seconda vendita, e tutti i soggetti intervenuti risultano aver assolto l'iva dovuta regolarmente e regolarmente contabilizzata, pertanto non ci sono elementi evidenti per dire che la clausola di minimo garantito fosse fittizia né risulta documentata, da parte dell'ufficio, l'eventuale anti-economicità dell'operazione.
Pertanto, in presenza di imposte regolarmente corrisposte e di condotte non altrimenti sanzionate la sola contiguità fra le società interessate non appare sufficiente a supportare la contestazione dell'Ufficio.
La novità della questione, giustifica la compensazione delle spese.
P.Q.M.
Accoglie l'appello. Spese compensate.
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