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Corte di Cassazione, Sez. 5
Sentenza n. 34276 del 23 dicembre 2019
FATTI DI CAUSA
1. La M. S.p.A. ricorre con quattro motivi contro l'Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 226/22/12 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio (di seguito C.T.R.), emessa in data 6/6/2012, depositata il 3/10/2012 e non notificata, che ha parzialmente accolto gli appelli riuniti della contribuente e dell'Ufficio, in controversia avente ad oggetto l'impugnazione dell'avviso di accertamento per maggiori Ires, Iva ed Irap per l'anno di imposta 2005, oltre interessi e sanzioni.
2. Con la sentenza impugnata, la C.T.R., preliminarmente, ha respinto l'eccezione di nullità della sentenza di primo grado per mancanza di motivazione, confermando la decisione impugnata in ordine alla legittimità del recupero a tassazione delle spese relative ai cespiti non strumentali e degli altri costi non inerenti. In relazione alla deducibilità dei costi relativi ad operazioni con Paesi di dubbia serietà fiscale, il giudice di appello ha confermato solo in parte la sentenza di primo grado, ritenendo che, "dopo aver esaminato la documentazione presente in atti", fosse giustificato il recupero a tassazione nei limiti di 70.000,00 euro.
3. A seguito del ricorso, l'Agenzia delle Entrate è rimasta intimata. 4. Il ricorso è stato fissato alla pubblica udienza del 22/10/2019.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art.109, comma 5, d.P.R. n.917 del 22 dicembre 1986, in relazione all'art. 360, comma 1, n.3, c.p.c. Secondo la ricorrente, gli interessi passivi relativi ai mutui contratti per l'acquisto degli immobili di cui all'art.90, comma 1, T.U.I.R. non rientrano tra le spese e gli altri componenti negativi, per i quali vige la previsione di indeducibilità di cui al comma 2 della medesima disposizione, ma sarebbero deducibili ai sensi dell'art.96 T.u.i.r., essendo esclusi dalla previsione del comma 5 dell'art.109 del testo unico.
1.2. Il motivo è fondato e va accolto. 1.3. L'art. 109, comma 5, d.P.R. n.917 del 22 dicembre 1986, vigente ratione temporis, nello stabilire le norme generali sui componenti del reddito d'impresa, stabilisce: "Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi. Se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili e ad attività o beni produttivi di proventi non computabili in quanto esenti nella determinazione del reddito sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto di cui ai commi 1, 2, e 3 dell'articolo 96. Le plusvalenze di cui all'articolo 87, non rilevano ai fini dell'applicazione del periodo precedente". Risultano, quindi, esclusi dall'ambito applicativo della norma gli interessi passivi, per i quali l'art. 96 prevede diverse modalità di deduzione. Costituisce orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui "ai fini della determinazione del reddito d'impresa, gli interessi passivi, a mente del D.P.R. n. 911 del 1986, art. 15, comma 5 e a differenza della precedente normativa contenuta nel D.P.R. n. 591 del 1913, art. 14, sono sempre deducibili, anche se nei limiti della disciplina dettata dal D.P.R. n. 911 del 1986, art. 63, che indica misura e modalità del calcolo degli interessi passivi deducibili in via generale, senza che sia necessario operare alcun giudizio di inerenza" (ex multis, Cass. n. 14702 del 2001, n. 22034 del 2006 e n. 9380 del 2009; Cass. 12246/2010; Cass. n. 10501/2014). Ciò in quanto "resta precluso, tanto all'imprenditore quanto all'Amministrazione finanziaria, dimostrare che gli interessi passivi riguardano finanziamenti contratti per la produzione di specifici ricavi, dovendo, invece, essere correlati all'intera attività dell'impresa esercitata. Gli interessi passivi, infatti, sono oneri generati dalla funzione finanziaria che afferiscono all'impresa nel suo essere e progredire, e, dunque, non possono essere specificamente riferiti ad una particolare gestione aziendale o ritenuti accessori ad un particolare costo". La fattispecie in esame riguarda gli interessi passivi maturati su finanziamenti contratti per l'acquisto (o la costruzione) di un immobile meramente patrimoniale. Per le società (nella specie una S.p.A.), devono considerarsi beni immobili relativi all'impresa, non solo i beni strumentali ed i beni merce, ma anche quelli meramente patrimoniali, che concorrono alla formazione del reddito di impresa secondo le regole dei redditi fondiari, in base all'estimo catastale.
Invero, l'art.90 del T.u.i.r. prevede: "1. I redditi degli immobili che non costituiscono beni strumentali per l'esercizio dell'impresa, nè beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa, concorrono a formare il reddito nell'ammontare determinato secondo le disposizioni del capo II del titolo I per gli immobili situati nel territorio dello Stato e a norma dell'articolo 70 per quelli situati all'estero. Tale disposizione non si applica per i redditi, dominicali e agrari, dei terreni derivanti dall'esercizio delle attività agricole di cui all'articolo 32, pur se nei limiti ivi stabiliti.
2. Le spese e gli altri componenti negativi relativi ai beni immobili indicati nel comma 1 non sono ammessi in deduzione". La determinazione del reddito degli immobili meramente patrimoniali secondo le regole dei redditi fondiari comporta l'impossibilità di dedurre dal reddito d'impresa i costi relativi agli stessi immobili. La motivazione alla base di tale divieto deriva dal meccanismo di determinazione della rendita catastale; le spese e gli altri componenti negativi di reddito afferenti gli immobili patrimoniali risultano, infatti, già scontati dal reddito fondiario e quindi considerati in sede di definizione delle tariffe d'estimo assunte a base per la determinazione della rendita catastale. Pertanto, la giurisprudenza di questa Corte, già con risalenti pronunce, ha chiarito che l'indeducibilità sancita dall'articolo 90, comma 2, Tuir, interessa soltanto i componenti negativi del reddito considerati nella determinazione delle tariffe d'estimo, che costituiscono la base di calcolo del reddito prodotto dall'immobile; non vale, invece, per gli interessi passivi di finanziamento, dovuti in relazione all'acquisto ed alle spese di manutenzione straordinaria, per la deduzione dei quali rilevano i limiti fissati in via generale dall'art.96 T.u.i.r. (sul punto, vedi Cass. n.13665/01; n.16780/02; n.1430/06).
Successivamente il legislatore, con il comma 35, dell'arti della legge 24 dicembre 2007 n.244, norma qualificata di interpretazione autentica, ha previsto la deducibilità degli interessi passivi sostenuti per l'acquisizione di immobili non strumentali. I giudici di merito, quindi, non hanno fatto corretta applicazione della normativa in oggetto, avendo ritenuto indeducibili gli interessi passivi, sui finanziamenti richiesti dalla società contribuente per l'acquisto dell'immobile "meramente patrimoniale", per la mancata inerenza all'attività sociale, stante l'assenza di collegamento alla produzione del reddito d'impresa.
2.1. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 109, comma 5, d.P.R. n.917/1986, in relazione all'art. 360, comma 1, n.3, c.p.c. La ricorrente deduce che il requisito dell'inerenza non è necessario ai fini della deduzione dell'imposta di registro, pagata in relazione all'acquisto dell'immobile non strumentale all'esercizio dell'impresa.
Con il quarto motivo, da esaminare unitamente al secondo per connessione, la società ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art.90 d.P.R. n.917 del 22 dicembre 1986, in relazione all'art. 360, comma 1, n.3, c.p.c. e l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.
Secondo la ricorrente, la C.T.R. avrebbe errato nel negare la detraibilità delle somme pagate come compenso al notaio rogante per la compravendita dell'immobile meramente patrimoniale, dato che tale spesa non è ricompresa tra quelle indicate nel comma 2 dell'art.90 T.u.i.r.
2.2. I motivi sono fondati e vanno accolti. 2.3. Come si è detto, i beni meramente patrimoniali delle società concorrono alla formazione del reddito di impresa, sia pure secondo le regole dei redditi fondiari, in base all'estimo catastale.
Inoltre, per quanto si è visto nell'esame del precedente motivo, l'articolo 90 del D.P.R. n. 917/86, nel prevedere che gli immobili patrimonio, proprio perché estranei al normale svolgimento dell'attività di impresa, non concorrono alla formazione del reddito d'impresa sulla base dei costi e ricavi effettivi, ma secondo le regole dei redditi fondiari, sancisce l'impossibilità di dedurre dal reddito d'impresa i costi relativi agli stessi immobili, in quanto tali costi sono già considerati ai fini delle tariffe d'estimo assunte per la determinazione della rendita catastale.
La disposizione ha carattere speciale e derogatorio rispetto al principio generale di inerenza dei componenti negativi di reddito e, come si è visto, subisce a sua volta una deroga per gli interessi passivi maturati su finanziamenti contratti per l'acquisto (o la costruzione) di immobili patrimonio. Come si è detto, in tema di interessi passivi sui finanziamenti per l'acquisto, la giurisprudenza di questa Corte, con le pronunce sopra citate, ha chiarito che l'indeducibilità sancita dall'articolo 90, comma 2, Tuir, interessa soltanto i componenti negativi del reddito considerati nella determinazione delle tariffe d'estimo, che costituiscono la base di calcolo del reddito prodotto dall'immobile (sul punto, vedi Cass. n.13665/01; n.16780/02; n.1430/06 cit.).
Pertanto, sulla base della medesima rado, l'indeducibilità assoluta di cui all'articolo 90 del Tuir deve ritenersi inapplicabile ai costi relativi alle spese notarili e di registrazione della compravendita immobiliare, poiché la norma deve intendersi riferita ai componenti negativi del reddito considerati nella determinazione delle tariffe d'estimo (cioè, ai sensi dell'art. 7 DPR 29 settembre 1973, n. 604, le spese di riparazione e di manutenzione ed ogni altra spesa necessaria a produrlo). Né, ai fini della deducibilità dell'imposta di registro, osta la previsione di cui all'art.99 T.u.i.r., secondo cui " le imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione. Le altre imposte sono deducibili nell'esercizio in cui avviene il pagamento".
Risultano, quindi, deducibili dalla base imponibile, sia le spese notarili di acquisto del bene, sia l'imposta di registro versata dalla società al momento dell'acquisto dell'immobile patrimoniale, per la quale non vi è un'espressa previsione d'indeducibilità.
3.1. Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 110, commi 10 e 11, d.P.R. n.917/1986, in relazione all'art. 360, comma 1, n.3, c.p.c., nonchè l'omessa insufficiente e contraddittoria motivazione. Sostiene la ricorrente che, senza adeguata motivazione, la C.T.R. avrebbe escluso la detraibilità di costi per euro 70.000,00, pur in presenza della documentazione attestante le operazioni effettuate. 3.2. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. 3.3. Giova premettere che, a seguito dell'abolizione del regime di indeducibilità dei costi relativi ad operazioni commerciali intercorse con soggetti domiciliati in Paesi a fiscalità privilegiata (cd. "black list"), prevista dall'art. 1, commi 301, 302, e 303, della I. n. 296 del 2006, la deducibilità di tali costi è subordinata alla prova dell'operatività dell'impresa estera contraente, ovvero dell'effettività della transazione commerciale, rispondente ad un reale interesse economico. Avendo valore retroattivo la L. n. 296 del 2006, l'art.110, commi 10 ed 11, T.u.i.r., vigente ratione temporis, prevedeva: "10. Non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all'Unione europea aventi regimi fiscali privilegiati. Si considerano privilegiati i regimi fiscali di Stati o territori individuati, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, ovvero della mancanza di un adeguato scambio di informazioni, ovvero di altri criteri equivalenti. 11. Le disposizioni di cui al comma 10 non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un'attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione. L'Amministrazione, prima di procedere all'emissione dell'avviso di accertamento d'imposta o di maggiore imposta, deve notificare all'interessato un apposito avviso con il quale viene concessa al medesimo la possibilità di fornire, nel termine di novanta giorni, le prove predette. Ove l'Amministrazione non ritenga idonee le prove addotte, dovrà darne specifica motivazione nell'avviso di accertamento". Con riferimento all'epoca dei fatti (anno di imposta 2005), quindi, il giudice del merito doveva valutare se la presunzione di indeducibilità dei costi fosse stata superata dal contribuente, cioè se quest'ultimo avesse dimostrato, alternativamente, lo svolgimento di un'attività commerciale effettiva da parte della struttura organizzativa estera, oppure la sussistenza di un effettivo interesse economico sottostante alle operazioni, oltre alla loro concreta esecuzione. Nella fattispecie in esame, la C.T.P. di Roma, adita in primo grado, aveva riconosciuto la detraibilità dei costi inerenti ad operazioni con Paesi a fiscalità privilegiata, sulla considerazione che la società ricorrente operava nel settore delle vacanze ed era naturale che avesse rapporti commerciali con tali Paesi. La C.T.R., sul punto, ha ritenuto che, ferma restando la correttezza dell'argomentazione del giudice di prime cure sulla natura dell'attività di tour operator effettivamente svolta dalla società contribuente, quest'ultima avesse l'onere ulteriore di documentare l'esistenza e l'ammontare dei costi sostenuti e che, in base alla documentazione in atti, fosse legittimo il recupero a tassazione di 70.000,00 euro. Nella sentenza impugnata, quindi, non è ravvisabile una violazione della normativa di cui all'art.110, commi 10 e 11, T.u.i.r., poichè il giudice di appello ha ritenuto che non bastasse la natura dell'attività esercitata dalla società a giustificare la detraibilità dei costi inerenti ad operazioni con Paesi a fiscalità privilegiata, spettando alla contribuente la dimostrazione dell'effettività delle operazioni commerciali e dei costi sostenuti. In effetti, le censure della ricorrente, promiscuamente riferite al vizio di violazione di legge ed al vizio di omesso esame di fatto decisivo, prospettano per lo più doglianze di merito, attinenti all'apprezzamento delle risultanze istruttorie da parte della C.T.R., inammissibili nel giudizio di legittimità. Comunque, per quanto riguarda il dedotto vizio motivazionale, nella fattispecie trova applicazione ratione temporis (ai sensi dell'art. 54 , co. 3 di 83/2012) il nuovo testo dell'art. 360 co.1 nr. 5 cpc., in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata in data successiva all'il settembre 2012 sicchè il vizio della motivazione è deducibile soltanto in termini di "omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti". Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. 22.9.2014 nr 19881 ; Cass. S.U. 7.4.2014 nr. 8053) la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 83/ 2012 deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione; è pertanto denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione. Nella sentenza impugnata, la motivazione adottata, per quanto sintetica, appare idonea a palesare l'iter logico posto a base della decisione, in quanto la C.T.R. sottolinea come l'Amministrazione avesse evidenziato la mancata produzione dei documenti giustificativi nella fase amministrativa, nonchè l'insufficienza della documentazione prodotta in giudizio dalla contribuente, idonea a giustificare solo un decimo delle operazioni contestate. Il giudice di appello rileva inoltre che, a fronte delle contestazioni dell'Agenzia delle Entrate, la società aveva sostenuto, ma non documentato, di aver consegnato all'Ufficio n.17 fatture di acquisto e n.10 ricevute di bonifici bancari, senza precisarne l'ammontare. Esclusa, quindi, l'assoluta carenza di motivazione, deve rilevarsi l'irrilevanza dell'eventuale mera insufficienza della stessa e l'inammissibilità delle contestazioni di parte ricorrente, che assume solo genericamente di aver prodotto, fin dal primo grado di giudizio, copiosa documentazione, di cui il giudice avrebbe omesso l'esame, senza chiarirne la decisività in relazione al suo contenuto rispetto alle operazioni contestate. Invero, il motivo di ricorso appare inammissibile per difetto di specificità, in quanto non chiarisce quale sarebbe il fatto decisivo di cui la C.T.R. avrebbe omesso l'esame, in relazione al contenuto della documentazione, che la ricorrente afferma di aver tempestivamente prodotto, a fronte delle specifiche contestazioni dell'Agenzia delle Entrate. La sentenza impugnata, quindi, va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla C.T.R. del Lazio, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, il secondo ed il quarto motivo di ricorso, rigettato il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla C.T.R. del Lazio, in diversa composizione, che provvederà anche alle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.
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