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Corte di Cassazione, Sez. 5,
Ordinanza n. 25090 dell'8 ottobre 2019
rilevato che:
dalla narrazione in fatto della pronuncia del giudice di appello si evince che: l'Agenzia delle dogane aveva emesso nei confronti della società contribuente due avvisi di rettifica del valore dichiarato nelle bollette doganali di partite di teli da mare ed accappatoi provenienti dall'Egitto, con i quali venivano recuperati maggiori dazi sul presupposto della diversità del valore di transazione indicato nelle fatture di vendita presentate dall'esportatore rispetto a quello riportato nelle fatture presentate a corredo della dichiarazione di importazione;
avverso i suddetti atti impositivi la contribuente aveva proposto separati ricorsi che erano stati rigettati dalla Commissione tributaria provinciale di La Spezia;
avverso le suddette pronunce la contribuente aveva proposto separati appelli, nel contraddittorio con l'Agenzia delle dogane;
la Commissione tributaria regionale della Liguria ha accolto gli appelli, previa riunione, in particolare ha ritenuto che, rispetto agli elementi di prova forniti dall'amministrazione doganale (fondati sulla non corrispondenza del valore delle merci riportato nelle fatture emesse dall'esportatore rispetto a quello dichiarato in dogana), dovevano essere considerate prevalenti quelle prodotte dalla società contribuente, in particolare le bolle di accompagnamento e le fatture di vendita nei confronti dei successivi acquirenti nazionali; avverso la suddetta pronuncia l'Agenzia delle dogane ricorre con quattro motivi;
la società contribuente è rimasta intimata;
considerato che:
con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 29, 30 e 31 del Codice doganale comunitario, dell'art. 112, cod. proc. civ., per non avere considerato che il valore di transazione delle merci doveva essere determinato solo facendo riferimento a quello indicato nelle fatture emesse dall'esportatore;
il motivo è infondato; questa Corte (Cass. civ., n. 23245/2018) ha precisato che l'unico valore rilevante ai fini dell'obbligazione doganale è il valore in dogana e che il valore in dogana di norma coincide col valore di transazione, ossia col prezzo effettivamente pagato o da pagare (Corte giust. 12 dicembre 2013, causa C-116/12, Christodoulou e a., punto 28), sicchè, in linea generale, il valore di transazione resta il metodo prioritario di determinazione;
d'altro lato, il regolamento attuativo del codice doganale comunitario ha predisposto un'apposita disciplina, regolata dall'art. 181-bis, che consente alle autorità doganali di disattendere il valore di transazione dichiarato in dogana qualora abbiano "fondati dubbi che il valore dichiarato rappresenti l'importo totale pagato o da pagare ai sensi del codice doganale, art. 29" (Cass. 4 aprile 2013, n. 8323; Cass. civ., 13 settembre 2013, n. 20931); in questo contesto, rispetto alla pretesa dell'amministrazione doganale basata sulla sussistenza di fondati dubbi, è onere del contribuente fornire la prova contraria, prospettando gli elementi di prova idonei alla verifica che il valore dichiarato in dogana era quello effettivo; nella fattispecie, i fondati dubbi dell'autorità doganale consistevano nella rilevata circostanza che vi era una diversità tra il valore dichiarato al momento dell'importazione e quello risultante dalla fattura emessa dalla società egiziana esportatrice;
il giudice del gravame ha tenuto conto di tutti gli elementi probatori a disposizione e, in questo ambito di valutazione, ha ritenuto che sussistesse una prevalenza dell'idoneità probatoria degli elementi addotti dalla contribuente rispetto a quelli prospettati dall'Agenzia delle dogane;
non sussiste, pertanto, alcuna violazione delle previsioni indicate con il presente motivo di censura, che sembra fondarsi, secondo l'assunto di parte ricorrente, sulla non corretta tesi difensiva secondo cui, avendo l'Agenzia delle dogane dedotto elementi di prova diretti all'accertamento della non correttezza del valore della merce dichiarata in dogana, la società contribuente non poteva produrre elementi di prova contraria, la cui idoneità probatoria è stata valorizzata dal giudice del gravame, procedendo ad una valutazione di prevalenza rispetto agli elementi forniti dalla ricorrente;
con il secondo motivo e terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell'art. 116, cod. proc. civ., dell'art. 2727 e ssgg., cod. civ., per non avere considerato che l'amministrazione doganale aveva provato che per la medesima operazione commerciale sussistevano due fatture con valori diversi e tale circostanza costituiva un elemento di prova scritta non avente i caratteri della prova presuntiva e, pertanto, doveva essere considerata, di per sé, prevalente rispetto alle prove presuntive dedotte dalla contribuente;
i motivi, che possono essere esaminati unitamente, sono infondati; in primo luogo, va osservato che, secondo quanto già esposto, in generale è il valore dichiarato in dogana a costituire il primo dato di riferimento ai fini della valutazione del valore di transazione, sicchè, rispetto a tale circostanza, l'amministrazione doganale può dedurre elementi di prova che possano condurre a ritenere che il suddetto valore non sia quello effettivo;
in questo contesto, rispetto agli elementi di prova proposti dalla ricorrente, fondati sul diverso valore del prezzo riportato nella fattura di vendita dell'esportatore, nulla esclude che il contribuente fornisca, a propria volta, elementi di prova diretti a contrastarne la valenza probatoria;
il giudice del gravame, in questo contesto, ha valutato il complesso degli elementi prospettati dalle parti e, proprio facendo applicazione della previsione di cui all'art. 116, cod. proc. civ., ha proceduto all'apprezzamento del loro valore probatorio, pervenendo ad un giudizio di prevalenza degli elementi di prova forniti dalla contribuente;
d'altro lato, la tesi difensiva della ricorrente, secondo cui vi sarebbe una prevalenza della prova scritta rispetto a quella presuntiva, non è corretta, posto che l'art. 116, comma primo, cod. proc. civ., consacra il principio del libero convincimento del giudice, al cui prudente apprezzamento, salvo le ipotesi specifiche di prova legale, è rimessa la valutazione globale delle risultanze processuali, sicchè non esiste una gerarchia di efficacia delle prove, nel senso che, fuori dai casi di prova legale, esse, anche se hanno carattere indiziario, sono tutte liberamente valutabili dal giudice di merito per essere poste a fondamento del suo convincimento;
ne consegue che il convincimento dei giudice sulla verità di un fatto può basarsi anche su presunzioni, eventualmente in contrasto con altre prove acquisite, se dallo stesso ritenute, come nel caso di specie, idonee a rendere inattendibili gli altri elementi di giudizio ad esse contrarie, purchè sussista una adeguata giustificazione del proprio convincimento;
con il quarto motivo si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, consistente nell'accertamento del valore di transazione, avendo reso una motivazione insufficiente e carente, dal punto di vista argomentativo, in ordine alla sussistenza della gravità, precisione e concordanza degli elementi presuntivi dedotti dalla contribuente;
il motivo è inammissibile;
il giudice del gravame ha pronunciato sulla effettività del valore di transazione delle operazioni compiute dalla società contribuente, procedendo ad una valutazione delle diverse prospettazioni compiute dalle parti e dei diversi elementi probatori posti alla sua attenzione e valutazione, sicchè non vi è alcun omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio; in realtà parte ricorrente, con il presente motivo, censura la sentenza proprio sotto il profilo della valutazione compiuta dal giudice del gravame della valenza probatoria degli specifici elementi di prova proposti dalle parti, ma tale ragione di censura è inammissibile in questa sede; peraltro, la pronuncia in esame ha fondato la valutazione della prevalenza degli elementi indiziari addotti dalla contribuente tenendo conto, soprattutto, della circostanza che dalle bolle di accompagnamento e dalle fatture di vendita emesse dalla società contribuente, una volta acquistata la merce, si evinceva che i prezzi di vendita erano compatibili solo con il valore della merce dichiarata in dogana;
questo specifico passaggio, che ha costituito il profilo centrale della valutazione del giudice del gravame, non è stato in alcun modo preso in considerazione dal presente motivo di censura, limitandosi a evidenziare, genericamente, che era insufficiente la motivazione fondata sulle fatture e sulle bolle di accompagnamento nonché i diversi passaggi della sentenza relativi alla documentazione bancaria ed agli esiti del procedimento penale, procedendo, come detto, ad una generica contestazione dell'apprezzamento degli elementi di prova compiuti dal giudice;
in conclusione, sono infondati il primo, secondo e terzo motivo di ricorso, inammissibile il quarto, con conseguente rigetto del ricorso; nulla sulle spese, attesa la mancata costituzione dell'intimato.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, addì 9 aprile 2019
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