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Accertamento di operazioni inesistenti. La sentenza non aveva mal interpretato l’onere della prova, ma semplicemente aveva ritenuto sufficienti le prove offerte dal contribuente. Rigettata l’impugnazione dell’Agenzia delle Entrate.

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Estratto: “(...) la sentenza non dubita che, a fronte della prospettazione di elementi indiziari da parte dell'ufficio in caso di fatture reputate inerenti ad operazioni soggettivamente inesistenti, spetti al contribuente l'onere di dimostrare la correttezza dell'operazione; anzi, la sentenza ha proceduto a valutare gli elementi di prova all'uopo offerti da G.”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5,

Ordinanza n. 5370 del 27 febbraio 2020

RILEVATO CHE

1. L'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 250/23/11, pronunciata il 22.9.2011 e depositata 1'8.11.2011, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Campania, confermando la pronuncia di primo grado, ha annullato un avviso di accertamento emesso per l'anno di imposta 1999 per IVA ed IRAP nei confronti di G.R. a cui nella qualità di ex socio della F. G. Sas di M.G.(cancellata dal registro delle imprese) veniva contestata la falsità soggettiva di una fattura della "L.S. di L.S. & c. Sas" (fattura n. 128 del 27.4.1999 dì £. 150.111.000, oltre IVA di £. 30.022.000), in quanto relativa ad operazione inesistente.

2. Il G. resiste in giudizio con controricorso eccependo l'inammissibilità del ricorso proposto oltre il termine lungo previsto dall'art. 327, primo comma, cod. proc. civ. e comunque l'infondatezza dello stesso.

3. Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 17.12.2019, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis-1, cod. proc. civ.

4. Il controricorrente ha depositato una memoria nel termine di cui all'art. 378 cod. proc. civ.

CONSIDERATO CHE

1. Preliminarmente va affermata l'infondatezza dell'eccezione di tardività del ricorso, proposta dal contribuente in base alla considerazione che la lite, essendo di valore superiore ad euro 20.000,00, non è soggetta alla sospensione dei termini di cui alla lettera c) del 12° comma dell'art. 39 del d.l. 6 luglio 2011 n. 98 (convertito dalla legge 15 luglio 2011 n. 111).

Ciò in quanto, in base all'orientamento della Corte, secondo la previsione dell'art. 39, 12° comma, citato, «sono suscettibili di definizione le liti fiscali pendenti di valore non superiore a 20.000 euro, intendendosi per valore della lite secondo le indicazioni dell'art. 16, 3° comma, lett. c), legge 27 dicembre 2002 n. 289 (richiamato dall'art. 39 d.l. n. 98 del 2011), l'importo dell'imposta che ha formato oggetto di contestazione in primo grado, al netto degli interessi, delle indennità di mora e delle eventuali sanzioni collegate al tributo» (Cass. 26 ottobre 2011, n. 22255).

Nel caso in esame, l'importo delle imposte oggetto di contestazione, al netto di interessi e sanzioni, come emerge dagli atti, è inferiore al tetto di euro 20.000,00, talché l'eccezione si appalesa infondata.

2. Con l'unico motivo di ricorso, proposto ex articolo 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. l'Agenzia delle entrate deduce violazione dell'art. 2697 cod.civ., sostenendo che spetti al contribuente l'onere di provare la correttezza dell'operazione.

2.1. Il motivo è infondato, in primo luogo perché non congruente col deciso, giacché la sentenza non dubita che, a fronte della prospettazione di elementi indiziari da parte dell'ufficio in caso di fatture reputate inerenti ad operazioni soggettivamente inesistenti, spetti al contribuente l'onere di dimostrare la correttezza dell'operazione; anzi, la sentenza ha proceduto a valutare gli elementi di prova all'uopo offerti da G.

2.2. Inoltre, il motivo pecca di astrattezza, perché non sottopone a critica alcuna specifica affermazione della sentenza.

3. Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza. Non sussistono nel caso di specie i presupposti per il versamento del contributo unificato previsto dall'art. 13 comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, in quanto le amministrazioni pubbliche difese dall'Avvocatura generale dello Stato, in caso di soccombenza, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass., VI sez. 29/01/2016, n. 1778 Rv. 638714-01).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso dell'Agenzia delle entrate che condanna al rimborso delle spese di giudizio sostenute dal controricorrente che liquida in euro 2.000,00, oltre ad euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Cosi deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 17 dicembre 2019

 

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