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IL CONTRIBUENTE CHE HA ERRATO NELLA COMPILAZIONE DELLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI DECADE DAL DIRITTO DI OPPORSI AVVERSO L'ISCRIZIONE A RUOLO DELLE IMPOSTE DICHIARATE IN MODO ERRATO? UN CASO.

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Estratto: “Risultano in ogni caso decisivi i rilevi della stessa Cassazione (sez Unite n 13378/2016) che, pur nella vigenza della formulazione precedente del citato art 2, riconosce comunque il diritto al rimborso nel termine di 48 mesi dal versamento (art. 38 DPR 602/73) ed il diritto del contribuente di opporsi in sede contenziosa alla maggiore pretesa tributaria dell'Amministrazione, in base al principio della capacità contributiva”.

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Sentenza del 05/02/2020 n. 611 - Comm. Trib. Reg. per il Lazio Sezione/Collegio 11

Massima:

Non decade dal diritto di opporsi in sede contenziosa, procedimento avviato avverso l'iscrizione a ruolo di imposte erroneamente dichiarate, ove la rettifica a favore del contribuente sia stata richiesta con integrazione proposta oltre il termine all'epoca previsto dall'art. 2 co. 8 e 8/bis del dPR 322/98 ed individuato in quello della presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, non solo perché i termini sia per vantaggio che per svantaggio per il contribuente sono stati unificati con d.l. 193/2016, ma anche perché deve essere riconosciuto il diritto del contribuente di opporsi, in base al principio della capacità contributiva, in sede contenziosa, alla iscrizione a ruolo scaturante da errata indicazione nella dichiarazione dei redditi. (G.T.) Riferimenti normativi: dPR 322/98, art. 2 co. 8 e 8/bis; d.l. 193/2016.

Riferimenti giurisprudenziali: Cass. SS.UU. n. 1337/2016

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Testo:

FATTO E DIRITTO

Nell'agosto 2014 era notificata a P. C. una cartella di pagamento emessa da Equitalia Sud dell'importo complessivo di euro 10.884, di cui euro 7.274 per omesso versamento Irpef per l'anno d'imposta 2010, con accertamento conseguente a controllo automatizzato;

a fronte dell'importo quale acconto di euro 10.649 indicato nel modello, erano stati effettuati pagamenti per  euro 3.043, pertanto determinandosi la maggiore imposta dovuta in euro 7.246 oltre alle sanzioni ed alla iscrizione a ruolo.

C. proponeva ricorso deducendo errata indicazione nella dichiarazione dei redditi dell'imponibile dovuto, pari ad euro 6.972 anziché euro 21.930; il canone percepito per due unità immobiliari ammontava ad euro 49.200, che andava ridotto del 15% ad euro 41.820, con indicazione in dichiarazione dell' importo di euro 6.972, corrispondente alla quota di proprietà pari al 16,67% anziché euro 21.930;

verificato l'errore, era stata trasmessa una dichiarazione integrativa del modello Unico 2011 con l'indicazione dei valori corretti, in via telematica; deduceva che l'acconto dovuto doveva essere indicato in euro 3.404 di cui 1.801 come primo acconto ed e 2.761 quale secondo acconto con imposta a debito di euro 1.244;

chiedeva di rettificare l'importo complessivo dovuto.

L'Agenzia delle Entrate deduceva che il presunto importo errato del reddito di euro 65.777 era stato dichiarato sia per l'anno 2009, 2010 e 2011;

che comunque per eventuali correzioni alla dichiarazione da cui emergeva un maggior reddito o minore credito per l'Agenzia, doveva essere fatta una dichiarazione integrativa entro il termine di presentazione della dichiarazione per il periodo d'imposta successivo, ovvero entro il 30.9.2012, termine non rispettato dal contribuente, che si era attivato solo dopo la notifica della cartella di pagamento, con la presentazione della dichiarazione integrativa in data 7.11.2014; chiedeva rigettarsi il ricorso.

La CTP, con sentenza n 15480/2017, ritenuto che, in base all'art 2 DPR 322/1998, cm 8 ed 8 bis, in caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa poteva essere presentata non oltre i termini di cui all'art 43 DPR 600/1973 se diretta ad evitare un danno alla PA, e non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, se diretta a correggere errori ed omissioni in danno del contribuente, dichiarava il contribuente decaduto dalla facoltà di correzione degli errori della propria dichiarazione su mod 2011 per il 2010.

Propone appello P. C., deducendo che in base a recente sentenza della cassazione a SU (n 13378/2016) un errore a sfavore del contribuente può essere sanato mediante dichiarazione integrativa entro il termine previsto per l'invio di quella per l'annualità successiva, ma che l'opposizione in sede processuale alla maggiore pretesa tributaria dell'A. Finanziaria, allegando gli errori di fatto o di diritto commessi nella redazione della dichiarazione, poteva essere effettuata senza limiti temporali; rileva che anche il testo dell'art 2 cm 8 bis DPR 322/1998 è stato cambiato, mediante l'art 5 del DL 193/2016, nel senso che resta ferma la possibilità di far valere, in sede di accertamento o di giudizio, eventuali errori di fatto o di diritto che abbiano inciso sull'obbligazione tributaria anche determinando un maggiore imponibile od un maggiore debito d'imposta.

Chiede riforma della sentenza della CTP.

L'Agenzia delle Entrate ribadisce la validità della contestazione;

ritiene operante il termine per la dichiarazione integrativa dell'anno successivo a quello della dichiarazione da correggere; ritiene che la contestazione in sede contenziosa riguardi gli errori di fatto e di diritto e non la modifica della base imponibile, che comunque non sarebbe più ammissibile l'emendabilità della dichiarazione dopo la contestazione da parte dell'ufficio e rileva che prima della notifica della cartella di pagamento nel 2014, il 14.7.2012, era stata fatta al contribuente una comunicazione d'irregolarità senza che vi fosse stata contestazione da parte del contribuente. Chiede la conferma.

L'appello è fondato. Pur vero, sotto il profilo temporale, che l'art 2, comma 8 ed 8 bis vigenti nel 2010, disponeva che, in caso di errore a svantaggio del contribuente, ovvero se il medesimo aveva denunciato un reddito superiore al reale, la modifica della dichiarazione andava fatta entro il termine stabilito per la dichiarazione successiva;

ma va osservato che lo stesso legislatore ha riconosciuto l'incongruità della norma, modificando la disposizione con il DL 193/2016, equiparando i due termini in caso di vantaggio o svantaggio per il contribuente.

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Le ragioni esposte dal contribuente sono pertanto fondate e l'appello proposto va accolto, con condanna dell'Amministrazione alle spese del grado.

                                                           PQM

Accoglie l'appello e condanna l'Amministrazione finanziaria a rifondere a P. C. le spese di lite del grado d'appello, liquidate in euro 1.700,00 oltre accessori di legge.

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