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Non basta un dipendente per far scattare il presupposto IRAP. Accolto il ricorso per cassazione del contribuente, esercente l’attività di medico.

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Estratto: “l'i.r.a.p. non è un'imposta sul reddito, bensì un'imposta di carattere reale che colpisce il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate, ha rilevato che mentre l'elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l'attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un'attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui, con la conseguente inapplicabilità dell'imposta, per difetto del suo necessario presupposto, l'autonoma organizzazione”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 20595 del 31 luglio 2019

Rilevato che:

1. Il contribuente dott. AM ha presentato all'Agenzia delle Entrate domanda di rimborso dell'importo di euro 14.277,49, che assumeva indebitamente versato, a titolo di acconto e saldo dell'imposta regionale sulle attività produttive, per gli anni d'imposta dal 2003 al 2006, affermando l'insussistenza del presupposto dell'autonoma organizzazione dell'attività professionale di medico convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.), esercitata nei medesimi periodi.

2. Avverso il silenzio rifiuto dell'Amministrazione sull'istanza di rimborso, il contribuente ha proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli, che lo ha accolto parzialmente, riconoscendo il diritto al rimborso, in favore del ricorrente, dell'i.r.a.p. per l'ammontare di euro 12.428,82, oltre interessi come per legge.

3. L'Agenzia delle Entrate ha quindi proposto appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania, censurando la decisione di primo grado per aver escluso la sussistenza del presupposto dell'autonoma organizzazione dell'attività espletata dal contribuente, nonostante quest'ultimo avesse impiegato lavoratori dipendenti.

4. La C.T.R., con la sentenza n. 24/47/2013, depositata il 15 febbraio 2013, ha accolto l'appello, ritenendo che: «Nel caso di specie, dall'analisi delle dichiarazioni dei redditi presentate per gli anni oggetto di rimborso e dalle risultanze del libro matricola allegato in atti, si evince che il ricorrente, per lo svolgimento della propria attività, si avvale di personale dipendente pertanto, alla luce delle recenti decisioni della cassazione, ne consegue che l'attività viene esercitata con una propria struttura organizzativa e di conseguenza deve essere assoggettata ad IRAP.».

5. Il contribuente propone ricorso, per la cassazione della predetta sentenza di secondo grado, articolando un solo motivo. 6. L'Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Considerato che:

1. Con l'unico motivo di ricorso - tuttavia articolato ai sensi sia del num. 3 che del num. 5 dell'art. 360, comma 1, cod. proc. civ.- il ricorrente denuncia, la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 53 Cost., degli artt. 1,2 e 3, del d.lgs. del 15 dicembre 1997, n. 446, e degli artt. 49 e 53 del d.P.R. del 22 dicembre 1986, n. 917, 22/12/1986, n. 917, per avere il giudice a quo ritenuto la sussistenza dell'autonoma organizzazione dell'attività esercitata dal contribuente sulla base della mera considerazione che, per lo svolgimento della sua attività, il medesimo professionista «si avvale di personale dipendente», circostanza di per sé non sufficiente a determinare il presupposto dell'imposizione dell'IRAP, essendo necessaria l'ulteriore indagine diretta ad accertare se la risorsa in questione costituisca un elemento aggiuntivo ai fini della produzione del reddito del contribuente.

2. Giova premettere la sintetica ricostruzione degli elementi costitutivi del presupposto d'imposta dell'i.r.a.p., come dettati dal legislatore ed interpretati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, in particolar modo con riferimento a fattispecie, come quella sub iudice, nelle quali l'eventuale soggetto passivo dell'imposizione si avvale di personale dipendente, sostenendo di utilizzarlo con mansioni di segreteria. L' art. 2 d.lgs. n. 446 del 1997 stabilisce che il presupposto dell'i.r.a.p., già definita dall'art. 1 come imposta a carattere reale, è «l'esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi.». La Corte costituzionale, con la sentenza n. 156 del 21 maggio 2001, ribadito che l'i.r.a.p. non è un'imposta sul reddito, bensì un'imposta di carattere reale che colpisce il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate, ha rilevato che mentre l'elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l'attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un'attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui, con la conseguente inapplicabilità dell'imposta, per difetto del suo necessario presupposto, l'autonoma organizzazione, il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto, rimessa pertanto al giudice di merito. Successivamente, Cass., Sez. U., 10/05/2016, n. 9451 (in continuità con Cass., Sez.U., 12/5/2009, n. 12108, ma specificando ulteriormente i requisiti dell'impiego del lavoro altrui) ha chiarito i parametri alla cui stregua la questione di fatto deve essere valutata: «con riguardo al presupposto dell'IRAP, il requisito dell'autonoma organizzazione - previsto dall'art. 2 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 446 -, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell'impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive». Sul punto, è stato inoltre successivamente chiarito che, ai fini del presupposto impositivo dell'autonoma organizzazione, due unità lavorative part time sono tendenzialmente equivalenti ad una a tempo pieno, fatta salva la verifica in concreto (Cass. 06/10/2017, n. 23466). In particolare, con riferimento ai medici, è stato poi ritenuto che non ricorre il necessario presupposto della autonoma organizzazione ove il contribuente si avvalga di un cd. assistente di sedia, ossia di un infermiere generico assunto part time, il quale si limita a svolgere mansioni di carattere esecutivo, senza pertanto accrescere le potenzialità professionali del medico (Cass., 17/05/2018, n. 12084).

3. Tanto premesso, venendo quindi all'esame del caso concreto sub iudíce, il ricorso è fondato e va accolto. Infatti, il giudice a quo non ha fatto corretta applicazione dei predetti principi normativi e delle esposte interpretazioni giurisprudenziali, laddove ha affermato la sussistenza dell'autonoma organizzazione dell'attività professionale del contribuente basandosi sulla generica constatazione che quest'ultimo «si avvale di personale dipendente», omettendo ogni altra considerazione (in ordine al numero dei dipendenti impiegati ed alla natura delle loro funzioni) necessaria ad accertare se - considerata la documentazione prodotta in atti e l'onere della prova gravante sul contribuente- effettivamente la collaborazione in questione abbia costituito, o meno, un elemento aggiuntivo, ai fini della produzione del reddito del professionista contribuente, eccedente rispetto al minimo indispensabile per l'esercizio della medesima attività in assenza di autonoma organizzazione. 4. La sentenza impugnata va quindi cassata, con rinvio al giudice a quo, affinché provveda al relativo accertamento in fatto.

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata; rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma il 28/02/2019.

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