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Cassazione: in materia di presunta partecipazione ad una frode carosello non spetta al contribuente provare la propria buona fede. Accolto il ricorso della società.

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Estratto: “la C.T.R. ha totalmente omesso di verificare se l'Agenzia avesse assolto al proprio onere probatorio, ovvero se gli avvisi impugnati si fondassero su elementi obbiettivi e specifici, idonei a provare, quantomeno in via presuntiva, in primo luogo che le operazioni di vendita fatturate fossero soggettivamente inesistenti ed, inoltre, che M. fosse consapevole della frode e, dopo aver dato erroneamente per scontata la prima circostanza, ha altrettanto erroneamente ritenuto che spettasse alla società di dimostrare la propria buona fede; - la decisione impugnata va pertanto cassata”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 20495 del 30 luglio 2019

RILEVATO CHE:

- la CTP di Milano, con separate sentenze, accolse i ricorsi avanzati da M. s.r.l. contro i tre avvisi di accertamento relativi a riprese IVA per gli anni 2003, 2004 e 2005, con i quali l'Agenzia delle Entrate aveva contestato alla società la partecipazione ad una "frode carosello" nella compravendita di autovetture dall'estero, escludendo che la ricorrente fosse consapevole dell'inesistenza soggettiva delle operazioni fatturate a suo carico;

- le decisioni, appellate dall'Agenzia, sono state riformate dalla C.T.R. della Lombardia che, riuniti gli appelli, con sentenza 132/06/11 dell'8.7.2011, ha ritenuto che M. non potesse invocare la propria buona fede e dovesse essere ritenuta responsabile delle violazioni addebitate alle società cartiere, fittizie venditrici, non avendo dimostrato "di essersi comportat[a], nel concreto, con la diligenza qualificata, che deve essere richiesta ad un operatore del settore merceologico cui appartiene";

- avverso la sentenza M. s.r.l. in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui l'Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso;

CONSIDERATO CHE:

- con il primo motivo parte ricorrente denuncia (in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, comma 1, cod. proc. civ. e 2727 cod. civ., per avere la C.T.R. erroneamente applicato i principi in tema di riparto dell'onere della prova e, per l'effetto, erroneamente ritenuto che spettasse ad essa contribuente dimostrare l'effettività delle operazioni contestate, nonché la propria buona fede;

- con il secondo ed il terzo motivo la ricorrente si duole (in relazione, rispettivamente, all'art. 360, comma 1, nn. 5 e 3, cod. proc. civ.) del vizio di motivazione e della violazione di legge - in specie, dell'art. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992 - in cui sarebbe incorsa la C.T.R., per aver omesso di motivare circa la sua presunta conoscenza del carattere fraudolento delle operazioni poste in essere dalle società apparenti venditrici e per avere, così, assunto una decisione in contrasto con gli orientamenti della giurisprudenza unionale in tema di deducibilità dell'I.V.A. e di tutela della buona fede del contribuente; - i motivi - suscettibili di trattazione unitaria, stante l'identità delle questioni agli stessi sottesi - sono, nel loro complesso, fondati; - rappresenta infatti principio consolidato quello per cui, in tema di IVA, l'Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell'ambito di una frode carosello, ha l'onere di provare, non solo l'oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l'operazione si inseriva in una evasione dell'imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l'ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; solo nel caso in cui l'Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un'operazione volta ad evadere l'imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (cfr. Cass., Sez. 5, 20.4.2018, n. 9851, Rv. 647837-01; Cass., Sez. 5, 30.10.2018, n. 27566, Rv. 651269-01); - nella specie, la C.T.R. ha totalmente omesso di verificare se l'Agenzia avesse assolto al proprio onere probatorio, ovvero se gli avvisi impugnati si fondassero su elementi obbiettivi e specifici, idonei a provare, quantomeno in via presuntiva, in primo luogo che le operazioni di vendita fatturate fossero soggettivamente inesistenti ed, inoltre, che M. fosse consapevole della frode e, dopo aver dato erroneamente per scontata la prima circostanza, ha altrettanto erroneamente ritenuto che spettasse alla società di dimostrare la propria buona fede; - la decisione impugnata va pertanto cassata, con rinvio della causa alla C.T.R. della Lombardia in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame attenendosi ai principi enunciati e liquiderà anche le spese del presente giudizio di legittimità;

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese.

 

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