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***Corte di Cassazione, Sez. 5
Ordinanza n. 20599 del 31 luglio 2019
RILEVATO
Per l'anno di imposta 2005 la società contribuente vedeva accertato il proprio reddito dai dichiarati €.15.201,00 a €.118.231,00, in seguito ai rilievi emersi dal PVC redatto il 28 aprile 2008. Ricorreva alla CTP contestando nel merito la fondatezza del provvedimento di cui preliminarmente stigmatizzava la notifica avvenuta senza rispettare il termine dilatorio di 60 giorni dalla chiusura delle operazioni e senza che fossero indicate le motivate ragioni di urgenza tali da non consentire il decorso del termine. L'argomento trovava favorevole apprezzamento in entrambi i gradi di merito, donde ricorre per cassazione l'Amministrazione finanziaria, affidandosi ad un unico motivo di gravame, cui replica con puntuale controricorso la parte contribuente che in prossimità dell'udienza ha altresì depositato memoria.
CONSIDERATO
Con l'unico articolato motivo la difesa erariale solleva violazione e falsa applicazione di legge dell'art. 12, comma settimo, I. n. 212/00 nonché dell'art. 7 I. n. 212/00 e 3 I. n. 241/90, nonché dei principi sulla nullità degli atti con riferimento all'art. 360, comma primo, n. 3 codice di rito civile, nella sostanza lamentando che i giudici di merito abbiano sanzionato con la nullità dell'atto la violazione del termine dilatorio per la notifica, in assenza di una specifica previsione normativa in tal senso, senza la quale - in ipotesi della difesa erariale - non si può ritenere nullo un atto o provvedimento amministrativo che assolva i requisiti generali sugli elementi costitutivi degli atti (art. 21 septies I. n. 241/90). Se è pur vero che le ipotesi di nullità del provvedimento sono fissate dalla legge generale sul procedimento amministrativo nei quattro casi: carenza assoluta di attribuzione, mancanza degli elementi costitutivi, elusione di giudicato, altri casi previsti dalla legge, e che, quindi, le ulteriori ipotesi di nullità debbono essere espressamente previste in disposizioni di legge, non di meno nel caso di specie si è giunti a ritenere il termine dilatorio qual elemento essenziale, perché manifestazione del diritto del contribuente al contraddittorio procedimentale prima che processuale, diritto non comprimibile senza adeguate ragioni di pubblico interesse, come il concreto rischio di sottrarsi ad azioni conservative od esecutive, cioè sostanzialmente ad un uso distorto (quindi un abuso) del diritto di difesa. Ed infatti, come chiarito da questa Suprema Corte, (Cass. Sez. U, Sentenza n. 18184 del 29/07/2013) in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 deve essere interpretato nel senso che l'inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l'emanazione dell'avviso di accertamento - termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un'ispezione o una verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni - determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l'illegittimità dell'atto impositivo emesso "ante tempus", poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste quindi nella mera omessa enunciazione nell'atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l'emissione anticipata, bensì nell'effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall'osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all'epoca di tale emissione, deve essere provata dall'ufficio (cfr., da ultimo, l'ampia ricostruzione del percorso giuridico in Cass. V, n. 24004/2018). A tali principi si è attenuta la sentenza qui gravata, sicché il ricorso è infondato e dev'essere rigettato.
Ricorrono giuste ragioni per compensare le spese del grado di giudizio in ragione del momento del consolidarsi dell'orientamento giurisprudenziale di riferimento. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Compensa fra le parti le spese di lite per il presente grado di giudizio. Così deciso il 28/02/2019.
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