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Corte di Cassazione, Sez. 5
Ordinanza n. 16538 del 20 giugno 2019
Considerato che:
1. la CTR della Lombardia rigettò il gravame interposto dall'Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della CTP di Varese che - in parziale accoglimento dei ricorsi, riuniti, del L. s.r.l. contro sei avvisi di accertamento per gli anni d'imposta dal 2000 al 2005, relativi al recupero delle maggiori imposte e sanzioni a fini IRPEG, IRAP e IVA per rilievi concernenti 1) compensi per prestazioni professionali, 2) premi provvigionali, 3) rimborsi spese, 4) servizi di pulizia, 5) spese non inerenti e 6) sanzioni a fini IVA - aveva riconosciuto deducibili i compensi per prestazioni professionali, i premi provvigionali e le spese per servizi di pulizia (rilievi 1, 2 e 4), respingendo nel resto la domanda della contribuente;
2. la CTR ritenne, per quel che qui ancora rileva: a) quanto ai compensi per prestazioni professionali (rilievo 1: relazioni, progetti e note informative svolti da un consulente), che le spese erano certe poiché correttamente documentate e dunque deducibili; b) quanto ai premi provvigionali in favore di taluni agenti (rilievo 2), che si trattava di compensi regolarmente documentati, finalizzati ad incentivare le vendite ed erogati non a titolo di liberalità, bensì a fronte di prestazioni aggiuntive fatturate, e pertanto deducibili in quanto correlati ai ricavi di esercizio;
3. avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l'Agenzia delle Entrate affidato a due motivi, cui replica il L. con controricorso illustrato da memoria.
Ritenuto che:
4. con il primo motivo di ricorso l'Agenzia delle Entrate denuncia omessa motivazione su fatto decisivo e controverso: con riferimento all'inerenza dei costi sostenuti dalla società contribuente a titolo di compensi prestazioni professionali (rilievo 1), la CTR, a fronte della genericità della dizione contenuta nelle fatture, tale da non consentire di individuare il tipo e a quantità delle prestazioni effettuate, si sarebbe limitata ad affermare la "certezza" delle spese in questione senza fornire alcuna motivazione sull'idoneità della documentazione a provarne l'inerenza;
5. con il secondo motivo si denuncia ancora omessa motivazione su fatto decisivo e controverso: con riferimento ai costi per premi provvigionali pagati agli agenti (rilievo 2) la CTR, nonostante non vi fosse prova dell'esistenza di accordi circa le remunerazioni aggiuntive a fronte del raggiungimento di determinati obiettivi, avrebbe affermato una serie di circostanze di fatto (la finalità incentivante dei compensi, lo svolgimento dell'incarico da parte degli agenti secondo le istruzioni della mandante, l'assenza di liberalità) senza indicarne la fonte contrattuale;
6. i motivi, che possono essere scrutinati congiuntamente in quanto risolventisi in un'unica sostanziale critica alla sentenza impugnata, sono inammissibili;
6.1. giova richiamare che: i) è principio consolidato quello secondo cui la prova dell'inerenza del costo - che è concetto di derivazione essenzialmente economica, quale atto d'impresa - incombe sul contribuente; li) il relativo giudizio è di carattere qualitativo, e non quantitativo, correlato all'attività di impresa, sicché l'inerenza non può essere esclusa solo in virtù di un giudizio sulla congruità del costo, salvo dimostrazione da parte dell'amministrazione finanziaria della macroscopica antieconomicità della operazione, che costituisce elemento sintomatico dell'assenza di correlazione della stessa con l'esercizio dell'attività imprenditoriale (Sez. 5, 28 dicembre 2018, n. 33574 e Sez. 5, 17 luglio 2018, n. 18904, in tema di IVA; Sez. 5, 21 novembre 2018, n. 30030, in tema di imposte dirette, nonché Sez. 5, 31 ottobre 2018, n. 27786);
iii) la presunzione di veridicità di quanto rappresentato dalle fatture vale qualora le stesse siano redatte in conformità ai requisiti di cui all'art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Sez. 5, 26 settembre 2018, n. 22940; Sez. 5, 10 ottobre 2014, n. 21446) per le finalità di trasparenza e conoscibilità sottese alla citata norma, funzionali alle attività di controllo e verifica dell'amministrazione finanziaria (Sez. 5, 28 ottobre 2015, n. 21980);
iv) peraltro, la regolarità delle fatture deve essere verificata anche tenendo conto di documenti, messaggi o delle informazioni complementari eventualmente fornite dal soggetto passivo d'imposta (Sez. 5, 14 novembre 2018, n. 29290 e Sez. 5, n. 22940/2018 cit.);
6.2. così sinteticamente riepilogate le coordinate del riparto dell'onere probatorio e del conseguente giudizio, la CTR ha ritenuto la certezza delle spese per prestazioni professionali sulla base della documentazione (richiamata nella parte in fatto della sentenza) prodotta dalla società contribuente a giustificazione delle stesse, nonché la correlazione dei premi provvigionali, documentati e versati a fronte di incarichi svolti secondo le istruzioni della società, ai ricavi dell'esercizio e, dunque, la riconducibilità di entrambi i detti costi all'attività d'impresa;
6.3. è appena il caso di osservare che il precedente invocato dall'amministrazione (Sez. 5, 26 maggio 2009, n. 12168) per sostenere la necessità di una positiva previsione contrattuale dei premi provvigionali non è in termini, riguardando invero esso spese ("acquisto di beni di prima necessità per le maestranze" impiegate nella costruzione di un immobile) in sé non direttamente riconducibili al raggiungimento degli obiettivi aziendali, avendo invece il citato precedente confermato l'inerenza delle "spese per pubblicità per la presentazione del costruendo immobile" in quanto "intuitivamente" collegate a quegli obiettivi, profilo in quel caso (come del resto in questo) peraltro nemmeno dedotto dall'amministrazione;
6.4. in definitiva, la CTR ha congruamente motivato il proprio apprezzamento in fatto sull'idoneità probatoria della documentazione fornita dalla società e sulla riconducibilità dei costi all'attività d'impresa, come tale non sindacabile nella presente sede di legittimità, laddove invece la censura dell'amministrazione ricorrente, pur svolta in termini di omessa motivazione, mira invero ad un non consentito riesame del merito al fine dell'accoglimento dell'auspicata soluzione alternativa.
7. In conclusione, il ricorso è inammissibile; le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
dichiara il ricorso inammissibile e condanna l'Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 7.000,00, oltre al 15 per cento per spese generali, IVA e C.N.P.A. come per legge. Roma, 27 novembre 2018.
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