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Corte di Cassazione, Sez. 5
Sentenza n. 16546 del 20 giugno 2019
FATTI DI CAUSA
L'Agenzia delle Entrate notificava all'ex liquidatore delle società C. s.r.l. e M. s.r.I., GT, ed ai soci della C. s.r.I., AG e PG, ed ai soci della M. s.r.I., FG e SP, avvisi di accertamento, ai fini del recupero di maggiore imposta IRES accertata, in relazione agli anni d'imposta 2007 e 2008, a carico delle predette società, ai sensi dell'art. 39, primo comma, del d.P.R. n. 600/1973. In particolare, il recupero a tassazione corrispondeva al valore della minusvalenza, ritenuta indebitamente dedotta, realizzata dalle società c. s.r.l. e M. s.r.I., a seguito della vendita delle partecipazioni da esse detenute nella società A. s.n.c. L'Ufficio, sul presupposto della ristretta base societaria e della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili tra i soci, emetteva distinti avvisi di accertamento, ai fini IRPEF, nei confronti dei soci, imputando a ciascuno di essi una quota del maggior reddito accertato in capo alle società di capitali. Avverso i suddetti avvisi di accertamento proponevano distinti ricorsi il liquidatore della C. s.r.l. ed i soci di questa, da una parte, ed il liquidatore della M. s.r.l. ed i soci di quest'ultima, dall'altra, dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, la quale, con le sentenze nn. 3025/16 e 3026/16, li accoglieva escludendo ogni ipotesi di elusione fiscale. Le decisioni, appellate dall'Ufficio, venivano riformate, con due distinte sentenze, dalla Commissione tributaria regionale del Lazio, la quale, dopo avere respinto tutte le eccezioni preliminari nuovamente sollevate dai contribuenti, accoglieva gli appelli dell'Amministrazione finanziaria, rilevando che il disconoscimento della minusvalenza realizzata dalle società M. s.r.l. e C. s.r.l. era del tutto legittimo in quanto celava una serie di operazioni collegate, poste in essere dalle parti contribuenti, prive di effettiva convenienza economica e finalizzate ad un evidente disegno di elusione fiscale. Confermava, pertanto, gli accertamenti emessi a carico delle società e gli avvisi di accertamento riguardanti i soci. Ricorrono per la cassazione della sentenza di secondo grado n. 937/6/17 GT, in qualità di ex liquidatore della C. s.r.I., e gli ex soci della stessa società, AG e PG, affidandosi ad otto motivi, illustrati con memoria ex art. 378 cod. proc. civ. (ricorso n. 9609/17 R.G.). Ricorrono per la cassazione della sentenza di appello n. 938/6/17 GT, in qualità di ex liquidatore della M. s.r.I., e gli ex soci della stessa società, FG, PG e DP, questi ultimi due in qualità di eredi di SP, affidandosi ad otto motivi, ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 cod. proc. civ. (ricorso n. 10616/17 R.G.) L'Agenzia delle Entrate resiste con separati controricorsi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, va disposta la riunione del ricorso iscritto al n. 10616/17 al ricorso n. 9609/17 R.G., di iscrizione più risalente, sussistendo tra le due cause profili di connessione oggettiva, atteso che i distinti avvisi di accertamento emessi a carico delle società C. s.r.l. e M. s.r.l. ed a carico degli ex soci scaturiscono da una medesima vicenda in relazione alla quale si contesta ad entrambe le società di avere posto in essere una condotta elusiva. 2. Venendo all'esame dei ricorsi, va precisato che i motivi dedotti in entrambi i ricorsi sono identici. 3. Con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 2945, comma 2, cod. civ., nonché dell'art. 36 del d.P.R. n. 602/1973, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., i ricorrenti censurano le decisioni impugnate nella parte in cui la Commissione regionale ha ritenuto sussistente la legittimazione passiva del liquidatore, nonché degli ex soci della C, s.r.l. e della C. s.r.I., ai quali erano stati notificati gli avvisi di accertamento emessi ai fini del recupero di maggiore imposta Ires. Deducono che dagli stessi avvisi di accertamento emerge che la società C. s.r.l. e la società M. s.r.l. risultavano cessate in data 18 novembre 2009 ed erano state cancellate dal Registro delle Imprese dal 1 dicembre 2009, e che, nonostante ciò, l'Agenzia delle Entrate, in data 2 gennaio 2014, aveva notificato alle predette società, nella persona del liquidatore GT, nonché agli ex soci delle stesse, gli atti impositivi che, in quanto emessi nei confronti di soggetti ormai estinti, erano inesistenti e non potevano spiegare alcun effetto; avendo determinato la cancellazione dal registro delle imprese la irreversibile estinzione delle società, non era invocabile, nel caso di specie, l'art. 28 del d.lgs. n. 175/2014 (intitolato "Coordinamento, razionalizzazione e semplificazione di disposizioni in materia di obblighi tributari"), trattandosi di disposizione avente portata novativa e non interpretativa ed efficacia irretroattiva. Rilevano, altresì, la erroneità delle sentenze impugnate laddove si afferma che, in caso di società estinta, il Fisco può agire nei confronti del liquidatore della società se il mancato pagamento è dipeso da condotta di quest'ultimo, sottolineando che tale statuizione contrasta con l'art. 36 del d.P.R. n. 602/1973, che impone all'Agenzia delle Entrate di procedere nei confronti del liquidatore e dell'ex socio con autonomo accertamento, da emanarsi sulla base di un atto di natura accertativa.
3.1. La Commissione regionale, affrontando la questione della legittimazione passiva del liquidatore delle società e degli ex soci, quali destinatari delta notifica degli avvisi di accertamento presupposti, ha osservato che: a) la sopravvenuta cancellazione della società dal registro delle imprese non ha fatto venire meno l'interesse dell'Ufficio ad agire nei confronti dei soci in proprio; b) il creditore sociale, nel caso di specie il Fisco, può agire nei confronti del liquidatore della società estinta solo se il mancato pagamento è dipeso dalla condotta di quest'ultimo, per cui legittimamente il recupero erariale era stato azionato nei confronti del liquidatore sul presupposto di una sua piena (cor)responsabilità nel disegno elusivo, fin dall'atto di cessione di quote sociali del 7 marzo 2008, con attribuzione allo stesso di una quota dell'i% di A. s.n.c., e ciò prima della messa in liquidazione e cancellazione di tutte le società del Gruppo PG; c) per effetto dello ius superveniens, ossia dell'art. 28 del d.lgs. n. 175/2014, era stata formalizzata l'ultrattività differita, ai fini fiscali e tributari, della società estinta ex art. 2945 cod. civ., procrastinando di un quinquennio, a far tempo dalla cancellazione dal registro delle imprese, gli effetti soggettivi di detta estinzione. 3.2. Ai sensi dell'art. 2945 cod. civ. (nel testo risultante dopo la riforma del diritto societario, attuata dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, entrata in vigore il 1 gennaio 2004), l'iscrizione della cancellazione di società di capitali nel registro delle imprese comporta l'estinzione della società, restando irrilevante l'eventuale esistenza di rapporti giuridici ancora pendenti (Cass. Sez. U., nn. 6070 e 6071 del 12/3/2013). 3.3. Si è, al riguardo, chiarito che « la cancellazione della società dal registro delle imprese, pur provocando, dopo la riforma del diritto societario, attuata dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, l'estinzione della società, non determina l'estinzione dei debiti insoddisfatti nei confronti dei terzi, verificandosi un fenomeno di tipo successorio sui generis, in cui la responsabilità dei soci è limitata alla parte da ciascuno di essi conseguita nella distribuzione dell'attivo risultante dal bilancio di liquidazione, sicchè l'effettiva percezione delle somme da parte dei soci, in base al bilancio finale di liquidazione, e la loro entità vanno provate dall'Amministrazione finanziaria che agisce contro i soci per i pregressi debiti tributari della società, secondo il normale riparto dell'onere della prova». Ciò comporta che la cancellazione dal registro delle imprese costituisce il presupposto per la proponibilità dell'azione nei confronti dei soci, l'avvenuta percezione di somme in sede di liquidazione del bilancio finale costituisce il limite della responsabilità dei soci, per cui spetta al creditore (che pretende), e non al debitore, l'onere della prova dell'azionata pretesa, con riguardo sia «alla reale percezione delle somme» da parte dei soci - nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione, ovvero durante il tempo della liquidazione, a norma del d.P.R. n. 602/1973, art. 36, terzo comma (Cass. nn. 11968 del 13/7/2012; n. 19611 del 1/10/2015) - sia alla «entità di tali somme» (Cass. n. 25507 del 13/11/2013).
3.4. Va, inoltre, ricordato, sempre con riguardo all'effetto estintivo delle società (di persone e di capitali) conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, che il « d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175, art. 28, comma 4, in quanto recante disposizioni di natura sostanziale sulla capacità delle società cancellate dal registro delle imprese, non ha valenza interpretativa, né efficacia retroattiva, sicchè il differimento quinquennale degli effetti della estinzione della società derivanti dall'art. 2945 cod. civ. - che opera nei confronti dell'amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione indicati nello stesso comma, con riguardo a tributi o contributi - si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese sia stata presentata nella vigenza della nuova disciplina del decreto legislativo, ossia il 13 dicembre 2014, o successivamente" (Cass. 6743 del 2/4/2015; n. 7923 del 20/4/2016; n. 8140 del 22/4/ 2016; n. 33278 del 21/12/2018). 3.5. Ciò premesso in via generale, deve aderirsi al consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui in tema di contenzioso tributario, la cancellazione dal registro delle imprese, con estinzione della società prima della notifica dell'avviso di accertamento e dell'instaurazione del giudizio di primo grado, determina il difetto della sua capacità processuale ed il difetto di legittimazione a rappresentarla dell'ex liquidatore, sicchè eliminandosi ogni possibilità di prosecuzione dell'azione, consegue l'annullamento senza rinvio, ex art. 382 cod. proc. civ., della sentenza impugnata con ricorso per cassazione, ricorrendo un vizio insanabile originario del processo, che avrebbe dovuto condurre da subito ad una pronuncia declinatoria di merito (Cass. n. 21125 del 24/8/2018), trattandosi di impugnazione improponibile ed essendo l'inesistenza del ricorrente rilevabile anche d'ufficio (Cass. n. 5736 del 23/3/2016; Cass. n. 20252 del 9/10/2015). 3.6. Il processo non può ovviamente proseguire ad opera o nei confronti dell'ex liquidatore, poiché egli non è successore e neppure coobbligato nei debiti tributari della società, in quanto l'azione di responsabilità prevista dall'art. 36 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 è esercitabile dall'amministrazione finanziaria, nei suoi confronti, solo se i ruoli in cui siano iscritti i tributi della società possano essere posti in riscossione e se sia acquisita legale certezza che i medesimi non siano stati soddisfatti con le attività di liquidazione e, quindi, sulla base di un titolo autonomo dall'obbligazione fiscale, di natura civilistica, ex artt. 1176 e 1218 cod. civ., ancorchè accertabile nelle forme del procedimento e del processo tributario (Cass. n. 11968 del 13/7/2012; Cass. n. 2444 del 31/1/2017).
3.7. La cancellazione dal registro delle imprese e la conseguente estinzione delle società C. s.r.l. e M. s.r.l. prima della notifica degli avvisi di accertamento e della instaurazione del giudizio di primo grado determina, dunque, il difetto della capacità processuale delle società ed il difetto di legittimazione a rappresentarle dell'ex liquidatore, sicchè l'accertamento del difetto di legitimatio ad causam sin da prima che venisse instaurato il primo grado di giudizio, secondo giurisprudenza costante, esclude ogni possibilità di prosecuzione dell'azione e comporta, a norma dell'art. 382, terzo comma, cod. proc. civ., l'annullamento senza rinvio, limitatamente alle società contribuenti, delle sentenze impugnate per cassazione (Cass. n. 4853 del 11/3/2015; Cass. n. 21188 del 8/10/2014; Cass. n. 22863 del 3/11/2011). Va, dunque, dichiarata d'ufficio l'inammissibilità ex art. 382, terzo comma, cod. proc. civ. dei ricorsi originariamente proposti da GT, nella qualità di ex liquidatore delle società C. s.r.l. e M. s.r.l.
3.8. La estinzione della società non elimina, tuttavia, la legittimazione «in proprio» degli ex soci, che, a seguito dell'estinzione delle società, subentrano nella legittimazione processuale facente capo agli enti (Cass. Sez. U, n. 6070 del 12/3/2013) e, trattandosi nel caso di specie di società di capitali, rispondono dell'obbligazione delle società, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione. Vertendosi in tema di ricavi occultati, non erano d'altro canto necessarie rilevazioni particolari ai fini dei requisiti di cui all'art. 36 del d.P.R. n. 602/1973. Il primo motivo di ricorso, deve, pertanto, essere parzialmente accolto. 4. Con il secondo motivo del ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 37-bis, comma 4, del d.P.R. n. 600/73, vigente ratione temporis, nonché dell'art. 10-bis della legge n. 212/2000, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., i ricorrenti ribadiscono che gli avvisi di accertamento emessi a carico delle società, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di appello, sono nulli perché non sono stati preceduti da una richiesta di chiarimenti, inviata alle società ed ai rispettivi soci, indicante una espressa formulazione della ipotesi elusiva contestata dall'Ufficio, ed evidenziano che negli inviti notificati al liquidatore della C. s.r.l. e della M. s.r.l., con i quali si richiedevano chiarimenti, ai sensi dell'art. 51 del d.P.R. 633/1972 e dell'art. 32 del d.P.R. 600/73, in ordine alle perdite indicate, agli oneri finanziari ed alle variazioni in aumento o in diminuzione indicate nel quadro RF del Modello Unico relativo al periodo di imposta compreso tra il 1/7/2007 ed il 30/6/2008, non era contenuta la formulazione di alcuna ipotesi elusiva.
5. Con il terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 3, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241, dell'art. 7, comma 1, della I. n. 212/2000, dell'art. 42, comma 2, del d.P.R. n. 600/1973, nonché dell'art. 37-bis, comma 5, del d.P.R. n. 600/1973 vigente ratione temporis, nonché dell'art. 10-bis della legge 212/2000, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., i ricorrenti evidenziano che nel ricorso di primo grado e, successivamente, in grado di appello hanno eccepito il vizio di motivazione degli avvisi di accertamento sotto il duplice profilo della contraddittorietà della motivazione e della violazione dell'obbligo di super-motivazione previsto dal quinto comma dell'art. 37-bis del d.P.R. n. 600/1973; lamentano che la Commissione regionale non ha chiarito le ragioni per cui ha ritenuto inesistente il vizio di motivazione degli atti impositivi contestato.
6. Con il quarto motivo, censurando le sentenze per violazione o falsa applicazione dell'art. 12, comma 7, della I. n. 212/2000, dell'art. 24 della I. n. 4 del 7/1/1929, dell'art. 5-bis del d.lgs. n. 218/1997, deducono che le sentenze meritano di essere cassate anche nella parte in cui i giudici regionali hanno rigettato la doglianza con cui è stata eccepita la illegittimità degli accertamenti per omessa redazione del processo verbale di constatazione. Evidenziano che la mancata redazione del processo verbale di fine verifica ha inibito: 1) la possibilità di avvalersi dell'istituto deflattivo del contenzioso tributario previsto dall'art. 5-bis del d.lgs. n. 218 del 1997 e di beneficiare, quindi, della riduzione di un sesto delle sanzioni minime irrogabili con l'avviso di accertamento; 2) la possibilità di presentare entro sessanta giorni osservazioni e richieste in conformità a quanto previsto dall'art. 12, comma 7, della I. n. 212/2000.
7. Con il quinto motivo, i ricorrenti censurano le decisioni impugnate per violazione e falsa applicazione dell'art. 37-bis del d.P.R. n. 600/1973 vigente ratione temporis e dell'art. 39, primo comma, del d.P.R. n. 600/1973, dell'art. 10-bis della legge n. 212/2000, nonché degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., nella parte in cui i giudici di secondo grado hanno ritenuto sussistente l'operazione elusiva contestata dall'Ufficio. Premettendo che l'onere di provare il disegno elusivo e le modalità di manipolazione ed alterazione degli schemi negoziali classici incombe sull'Amministrazione finanziaria, i contribuenti eccepiscono che l'Agenzia delle Entrate non è riuscita a fornire alcuna prova, né in relazione alla condotta elusiva asseritamente posta in essere dalla C. s.r.l. e dalla M. s.r.I., né in ordine al presunto vantaggio fiscale da queste ottenuto. Precisano, in particolare, che le circostanze prese a riferimento dalla Commissione regionale come probatorie di una elusione non sono altro che le stesse vicende societarie e negoziali e, richiamando alcune pronunce di questa Corte, sottolineano che le operazioni economiche, benchè realizzate all'interno di un gruppo societario e avvenute a valori di mercato, non presentano alcun profilo patologico o elusivo, sicchè nessun aggiramento di obblighi o divieti previsti dalla legislazione tributaria è configurabile da parte della C. s.r.l. e della M. s.r.l.
8. Con il sesto motivo, denunciando violazione o falsa applicazione dell'art. 37 -bis del d.P.R. n. 600/1973 vigente ratione temporis, nonché dell'art. 10 -bis della I. n. 212/2000, i ricorrenti evidenziano, in fatto, che: a) la A. s.r.l. era una società immobiliare proprietaria di un terreno edificabile in Roma, località XXX sul quale aveva realizzato 20 unità abitative e 4 uffici; b) ad ottobre 2006 tre dei soci della Alcamo s.r.l. avevano deciso di uscire dal business ed avevano venduto le loro quote a due società (la C. s.r.l. e la M. s.r.l.), precedentemente costituite da altri quattro soci che avevano continuato a svolgere attività imprenditoriale; c) poiché le società C. s.r.l. e M. s.r.l. erano riuscite ad ottenere un vantaggioso finanziamento bancario in grado di coprire circa il 50% del prezzo di acquisto del 100% delle quote della A. s.r.I., anche gli altri soci della A. (soci anche della C. s.r.l. e della M. s.r.I.) avevano ritenuto vantaggioso cedere le loro quote di partecipazione nella A. s.r.l. alla C. s.r.l. ed alla M. s.r.l.; d) la congruità del prezzo di cessione delle quote della A. s.r.l. (euro 6.300.000,00) alle due società M. s.r.l. (euro 3.150.000,00) e C. s.r.l. (euro 3.150.000,00) non era mai stata contestata dall'Ufficio; e) dopo l'acquisto dell'intero capitale della A. s.r.l., era stata deliberata la trasformazione della stessa società da s.r.l. in s.n.c. per consentire una automatica imputazione degli utili da questa prodotti; f) a seguito della trasformazione, i redditi prodotti dalla A. s.n.c. erano stati fiscalmente imputati per trasparenza alle due società socie C. s.r.l. e M. s.r.l.; g) il reddito dichiarato ai fini Irap dalla A. s.n.c., derivante dalla vendita degli immobili costruiti sul terreno di sua proprietà, ed il reddito attribuito dalla stessa per trasparenza alle socie C. s.r.l. e M. s.r.l. ai fini Ires non era stato mai contestato dall'Ufficio; h) a marzo 2008, dopo che la A. s.n.c. aveva venduto oltre il 65% degli immobili costruiti ed aveva distribuito alle due società socie gli utili realizzati, queste ultime avevano ceduto, per un prezzo di euro 1.200.000,00, correlato al valore dei beni rimasti nella proprietà di A., la loro partecipazone realizzando una minusvalenza di euro 1.950.000,00 ciascuna. Costituendo fatti pacifici, perché mai contestati dall'Ufficio, a) la congruità del prezzo di cessione alla società M. s.r.l. ed alla società C. s.r.I., da parte delle persone fisiche, delle partecipazioni detenute nella società A. s.r.l. ed il pagamento delle imposte da parte di queste ultime sulla plusvalenza emergente da dette cessioni;
b) l'ammontare del reddito dichiarato dalla A. derivante dall'attività di costruzione e vendita degli immobili c) il reddito imputato per trasparenza dalla società A. alle società M. s.r.l. e C. s.r.l. d) la congruità del prezzo di vendita da parte della M. s.r.l. e della C. s.r.l. delle partecipazioni detenute nella A. s.n.c. e) la quantificazione della minusvalenza realizzata dalla M. s.r.l. e dalla C. s.r.I., non era ipotizzabile alcuna ipotesi elusiva addebitabile alle società C. s.r.l. e M. s.r.l. Trascrivendo quanto eccepito nel giudizio di appello, ribadiscono l'esistenza di oggettive e prevalenti ragioni economiche delle operazioni analizzate dall'Ufficio, sottolineando che : a) la ricchezza prodotta con il trasferimento delle quote della società A. s.r.l. dalle persone fisiche alle società C. s.r.l. e M. s.r.l. era stata regolarmente dichiarata e su di essa erano state assolte le imposte dovute, per cui non vi era stato alcun salto d'imposta; b) lo stesso risultato gestionale, diversamente da quanto sostenuto dall'Ufficio, non si sarebbe potuto raggiungere mediante la cessione di quote tra i soci della A. s.r.l. e senza la costituzione delle due nuove società, poiché il sistema bancario non avrebbe mai concesso il finanziamento per l'acquisto delle quote dei soci uscenti, che aveva permesso l'acquisizione del restante 65% delle quote A. s.r.l.; c) il pagamento del prezzo di acquisto delle quote rappresentanti il 50% del capitale sociale della A. s.r.l. era avvenuto mediante bonifici; d) tutte le operazioni erano state eseguite a prezzi congrui e non contestati e la minusvalenza era stata conseguenza inevitabile delle stesse; e) la vendita, da parte di M. s.r.l. e di C. s.r.I., non costituiva operazione economicamente svantaggiosa in quanto dette società, a fronte di un investimento di euro 3.150.000,00 fatto sedici mesi prima (27/10/2006) per l'acquisto delle partecipazioni, avevano conseguito utili.
9. Con il settimo motivo, con riguardo agli accertamenti notificati personalmente ai soci della C. s.r.l. e della M. s.r.I., i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell'art. 163 del d.P.R. 22/12/1986, n. 917 e dell'art. 67 del d.P.R. n. 600/1973, assumendo che, imputando ai soci il maggior reddito imponibile, già accertato in capo alle società, l'Ufficio ha violato il divieto di doppia tassazione, secondo cui «la stessa imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti diversi»; hanno quindi dedotto che la statuizione resa dalla Commissione regionale sul punto è frutto del mal governo delle norme in tema di divieto di doppia imposizione.
10. Con l'ottavo motivo, denunciando violazione o falsa applicazione dell'art. 41 del d.P.R. n. 600/1973, lamentano che nel caso di specie il presunto maggior reddito imponibile accertato in capo alle società non è costituito da «ricavi extra contabili», ossia da ricavi non contabilizzati dalla C. s.r.l. e dalla M. s.r.I., ma da una minusvalenza che l'Ufficio ha accertato essere stata effettivamente realizzata dalle società, ma che è stata ritenuta non deducibile sulla base di una ricostruzione dell'operazione in chiave elusiva; sostengono, pertanto, che i giudici di merito hanno errato laddove hanno confermato gli atti impositivi emessi nei confronti dei soci, non potendo, nel caso di specie, operare la presunzione prevista dalla disciplina sulla ristretta base azionaria delle società di capitali. 11. Il secondo motivo è fondato e va accolto. 11.1. La Commissione regionale, nel rigettare l'eccezione di nullità dell'atto impositivo, ha motivato che « gli inviti...rivolti dal Fisco al liquidatore ed alle due socie di C. s.r.I., hanno, infatti, raggiunto - senza necessità di particolari formule di rito - lo scopo essenziale ed indefettibile di garantire il contraddittorio inter partes, nonché il diritto di partecipazione e difesa del contribuente nella fase endoprocedimentale, propedeutica all'emanazione dell'atto impositivo. Risulta, infatti, per tabulas che, prima dell'emanazione dell'avviso di accertamento, il liquidatore di C. s.r.l. e le due socie sono stati chiamati - in sede di contraddittorio del 26.3.2013 - a fornire chiarimenti sui dati esposti in dichiarazione e sulle operazioni realizzate dalla società, in relazione alle incongruenze rilevate dall'Ufficio. E', quindi, fermo convincimento del Collegio che le (peraltro non meglio precisate) formule sacramentali, reclamate dai contribuenti, non avessero ragion d'essere, risultando indicate, sin dalla fase del contraddittorio preventivo, le condotte abusive, connesse ai dati fiscali riportati nella dichiarazione dei redditi Modello Unico di C. s.r.I., come riferiti al periodo di imposta compreso tra il 10 luglio 2007 ed il 30 giugno 2008...». Identica motivazione è stata resa dai giudici di appello con riguardo agli inviti inoltrati dall'Ufficio all'ex liquidatore ed ai soci della M. s.r.l.
11.2. L'art. 37-bis, comma 4, stabilisce che « l'avviso di accertamento è emanato, a pena di nullità, previa richiesta al contribuente anche per lettera raccomandata, di chiarimenti da inviare per iscritto entro sessanta giorni dalla data di ricezione della richiesta nella quale devono essere indicati i motivi per --, cui si reputano applicabili i commi 1 e 2»; il successivo comma 5 prevede, inoltre, che «l'avviso di accertamento deve essere specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente...».
11.3. Questa Corte ha costantemente affermato che in tema d'imposte sui redditi, l'art. 37-bis, quarto e quinto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, prevede un rigoroso procedimento d'instaurazione del contraddittorio, caratterizzato da scansioni predeterminate, in cui, a pena di nullità, l'avviso di accertamento deve essere emanato previa richiesta di chiarimenti al contribuente e deve essere specificamente motivato in relazione alle giustificazioni fornite, sicché, concorrendo detta richiesta alla valutazione del fine elusivo dell'operazione, non possono considerarsi alla stessa equipollenti l'attività svolta dai verbalizzanti e le eventuali dichiarazioni del contribuente in sede di verifica (Cass. n. 2239 del 30/01/2018; Cass. n. 693 del 16/1/2015; Cass. n. 30770 del 28/11/2018).
In ragione dell'importanza attribuita al rispetto delle regole dettate dal citato art. 37 -bis, quarto e quinto comma, la loro violazione comporta la nullità dell'atto impositivo (Cass. n. 2439 del 31/1/2017).
11.4. Anche la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 132 del 2015, pronunciandosi sulla questione di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione - dell'art. 37 -bis, quarto comma, del d.P.R. n. 600/1973, nella parte in cui sanziona con la nullità l'avviso di accertamento che sia stato emesso prima della scadenza del termine di sessanta giorni dal ricevimento da parte del contribuente della richiesta di chiarimenti, ha ribadito la piena rispondenza della disciplina ai parametri costituzionali, sottolineando la necessità che al contribuente sia garantita l'effettività della partecipazione al procedimento proprio in considerazione della peculiarità dell'accertamento delle fattispecie elusive e del ruolo decisivo che in tale ambito possono svolgere gli elementi giustificativi forniti dal contribuente, «in vista della valutazione che l'Amministrazione è chiamata a compiere dell'esistenza di valide ragioni economiche sottese alle operazioni esaminate».
11.5. Nel caso di specie, l'Amministrazione, come emerge dall'avviso di accertamento prodotto unitamente al ricorso per cassazione e ritrascritto dall'Agenzia delle Entrate nel controricorso (pag. 3 e ss.), mediante i due inviti inoltrati ha richiesto soltanto al liquidatore di produrre idonea documentazione a giustificazione dei dati dichiarati, e precisamente a supporto delle perdite indicate al Rigo RF 62, degli oneri finanziari indicati al rigo RS31 e delle variazioni in aumento ed in diminuzione indicate nel quadro RF, ma non ha formulato negli inviti preventivi una specifica contestazione della fattispecie elusiva, né ha fatto espresso riferimento ai motivi per cui si ritenevano applicabili il primo ed il secondo comma dell'art. 37-bis citato; a seguito dei chiarimenti forniti in sede di contraddittorio e del deposito di memorie da parte dell'ex liquidatore, ha, poi, emesso gli avvisi di accertamento. 11.6. Gli inviti preventivi non risultano, dunque, rispettosi delle regole prescritte dal quarto comma dell'art. 37 -bis citato, in quanto non contengono alcuna indicazione della fattispecie elusiva che l'Amministrazione finanziaria intendeva contestare. La inosservanza di tali regole trova, d'altro canto, puntuale conferma nelle argomentazioni difensive utilizzate dalla difesa erariale, la quale in controricorso (pag. 14), al fine di paralizzare l'eccezione delle controparti e sostenere la legittimità degli avvisi di accertamento, ha dedotto che «l'esistenza di un generale principio antielusivo, traente fonte non solo dalla giurisprudenza comunitaria ma, per le imposte dirette, anche e soprattutto dagli stessi principi costituzionali che informano l'ordinamento tributario italiano, volto a contrastare le pratiche consistenti in abuso del diritto, consente al giudice tributario di utilizzare, anche d'ufficio, lo strumento dell'inopponibilità all'Amministrazione finanziaria pure per ogni altro profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di fare discendere dall'operazione elusiva», invocando in tal modo la rilevabilità d'ufficio dell'abuso del diritto. La difesa spiegata dall'Agenzia delle Entrate evidenzia, in realtà, che, pur in presenza di contestazioni di operazioni elusive, l'Ufficio non ha osservato l'obbligo del contraddittorio preventivo ed il richiamo alla rilevabilità ex officio dell'abuso del diritto (ora esclusa dall'art. 10-bis I. n. 212/2000) costituisce argomentazione non pertinente. Infatti, nel caso in esame non si è in presenza di una rilevazione d'ufficio dell'abuso del diritto, poiché tale contestazione è stata già formulata negli avvisi di accertamento emessi nei confronti delle società, tanto che, dopo avere descritto in modo puntuale le singole operazioni di cessione e trasformazione poste in essere dai soci della C. s.r.l. e della M. s.r.I., a pag. 10 degli atti impositivi (all. 3 al ricorso per cassazione) si legge proprio che è dimostrato che «l'insieme delle operazioni sopra descritte costituisca una mera manovra evasiva posta in essere dalla famiglia G. e P. al fine di sottrarre all'imposizione i redditi derivanti dalla vendita degli immobili» e che «di fatto il non casuale seguito di atti, fatti e negozi ben strutturati e collegati tra loro, seppur leciti rispetto alla normativa vigente, nascondono una realtà ben diversa, priva di valide ragioni economiche e che sfocia nell'abuso del diritto».
12. L'accoglimento del secondo motivo del ricorso proposto dai soci, con il quale è stata accertata la violazione del contraddittorio preventivo imposto dall'art. 37-bis, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, prevista a pena di nullità dell'avviso di accertamento, consente di dichiarare assorbiti gli altri motivi. 13. In conclusione, va dichiarata l'inammissibilità dei ricorsi originariamente proposti dal liquidatore delle società C. s.r.l. e M. s.r.l. e va accolto il secondo motivo dei ricorsi proposti dai soci delle predette società, assorbiti i restanti motivi, con conseguente cassazione delle sentenze impugnate. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, le cause possono essere decise nel merito ai sensi dell'art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con l'accoglimento dei ricorsi introduttivi dei soci. La peculiarità dei profili esaminati e il consolidamento della giurisprudenza in materia intervenuto in epoca successiva all'emissione degli avvisi di accertamento, giustifica la integrale compensazione tra le parti delle spese dei gradi del giudizio di merito e delle spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti del versamento, da parte del ricorrente GT, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i ricorsi principali, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
La Corte, riunito al presente ricorso il ricorso n. 10616/17 R.G, accoglie quanto al ricorso n. 9609/17 R.G., il primo motivo nei termini di cui in motivazione ed integralmente il secondo motivo e dichiara assorbiti gli altri motivi; quanto al ricorso n. 10616/17 R.G., accoglie il primo motivo nei termini di cui in motivazione ed integralmente il secondo motivo e dichiara assorbiti gli altri motivi; cassa le sentenze impugnate in relazione ai motivi accolti e, decidendo le cause nel merito, dichiara inammissibili i ricorsi
proposti da CT, nella qualità di ex liquidatore delle società C. s.r.l. e M. s.r.I., ed accoglie i ricorsi dei soci. Compensa integralmente tra le parti le spese relative ai gradi dei giudizi di merito e le spese dei giudizi di legittimità. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente GT, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 30 aprile 2019.
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