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Anche nel caso di atti di accesso istantanei finalizzati all’acquisizione di documentazione devono essere riconosciuti i diritti di cui all’art. 12 dello Statuto. Avvisi di accertamento annullati in toto dalla Cassazione.

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Estratto: “La garanzia di cui all'art. 12, comma 7, della I. n. 212/2000 si applica, quindi, a qualsiasi atto di accertamento o controllo con accesso o ispezione nei locali dell'impresa, ivi compresi gli atti di accesso istantanei finalizzati all'acquisizione di documentazione, sia in quanto la citata disposizione non prevede alcuna distinzione ed è, comunque, necessario redigere un verbale di chiusura delle operazioni anche in quest'ultimo caso, come prescrive il citato art. 52, sesto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Cass. n. 15624 del 9/7/2014; Cass. 2593 del 5/2/2014), sia perché, anche in caso di «accesso breve», si verifica quella peculiarità che, secondo le Sezioni Unite di questa Corte n. 24823 del 9/12/2015, giustifica, quale controbilanciamento, le garanzie di cui al citato art. 12; peculiarità consistente «nell'autoritativa intromissione dell'Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca dì elementi valutati a lui sfavorevoli”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 13176 del 16 maggio 2019

Rilevato che:

La Commissione tributaria provinciale di Varese rigettava i ricorsi riuniti proposti dalla società V. s.r.l. avverso gli avvisi di accertamento, relativi agli anni di imposta 2007 e 2008, con i quali l'Agenzia delle Entrate aveva recuperato a tassazione, ai fini IRES, IRAP e I.V.A., costi non inerenti relativi al premio "sconto" concesso dalla contribuente alla società M. s.r.l., ritenuto incongruo ed antieconomico, nonchè l'indebita detrazione dell'imposta sul valore aggiunto. In particolare, secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, i giudici di primo grado disattendevano l'eccezione di violazione dell'art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000 e, nel merito, rilevavano che, pur dovendo essere rivisti i conteggi operati dall'Ufficio nel rapporto tra fatturato e premio, la percentuale ricavabile era pur sempre spropositata sia in relazione a quanto riconosciuto agli altri clienti, sia in relazione alla redditività del rapporto intrattenuto dalla contribuente con la M. s.r.l.

Proposto appello dalla contribuente, la Commissione tributaria regionale, ritenute insussistenti le eccepite violazioni dell'art. 12, comma 7, I. n. 212/2000 e dell'art. 42 del d.P.R. n. 600/1973, confermava la sentenza di primo grado, osservando che la società appellante non aveva dimostrato l'inerenza del costo e la rispondenza dell'operazione a criteri di economicità, sicchè l'accertamento doveva considerarsi legittimo.

Ricorre per la cassazione della suddetta decisione la V. s.r.I., affidandosi ad otto motivi, ulteriormente illustrati con memoria ex art. 380- bis.l. cod. proc. civ L'Agenzia delle Entrate resiste mediante controricorso.

Considerato che:

1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000, per avere i giudici di secondo grado ritenuto che il mancato rispetto del termine previsto dalla disposizione normativa richiamata non comportasse alcuna nullità dell'avviso di accertamento, pur trattandosi di disposizione intesa a tutelare il diritto di difesa del contribuente sottoposto a verifica fiscale al quale deve essere consentito di comunicare osservazioni e richieste concernenti i rilievi oggetto della pretesa tributaria.

2. Con il secondo motivo, la contribuente denuncia violazione e falsa applicazione del disposto degli artt. 12, comma 7, e 10, comma 1, legge n. 212/2000, per avere la Commissione regionale motivato che la violazione dell'art. 12, comma 7, citato non è «invocabile nel caso di una mera richiesta di documentazione contabile». Evidenzia, al riguardo, che il rispetto del termine di 60 giorni imposto dal citato art. 12, comma 7, I. n. 212/2000 vale anche nei casi di meri accessi dell'ente accertatore presso la sede del contribuente finalizzati al reperimento di documentazione contabile, come è stato chiarito da numerose pronunce di questa Corte, e precisa che, nel caso di specie, gli avvisi di accertamento impugnati sono stati notificati alla contribuente proprio a seguito di un accesso nei locali della medesima destinati all'esercizio dell'attività commerciale, tanto che, all'esito dello stesso, l'ente verificatore ha redatto un processo verbale di accesso e richiesta documenti presso la sede della contribuente, che è stato notificato il 20 novembre 2012, «finalizzato a reperire la documentazione inerente i premi concessi dalla società medesima relativamente agli anni d'imposta 2007 e 2008». Esclude, di conseguenza, che gli atti impositivi oggetto di esame siano frutto di un controllo cd. «a tavolino», per il quale non valgono le garanzie prescritte dall'art. 12, comma 7, I. n. 212/2000, ipotesi che ricorre solo nel caso di esercizio dell'attività istruttoria svolta dall'Amministrazione finanziaria presso i propri uffici sulla base di notizie acquisite da altre pubbliche amministrazioni, da terzi o dallo stesso contribuente in conseguenza della compilazione di questionari o in sede di colloquio.

3. Con il terzo motivo, la contribuente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., nella parte in cui la Commissione regionale ha rigettato la eccezione di carenza di delega da parte del funzionario sottoscrittore degli atti impositivi impugnati, motivando: «non si ravvisa neppure un profilo di nullità degli atti per difetto della legittimità della delega, atteso che l'Ufficio ha depositato in atti la documentazione (nr. 29/2013 prot. 2013/62075 del 23 maggio 2013) che dimostra la regolarità della delega conferita dal Direttore Provinciale al Capo Ufficio controlli». Sostiene che gli avvisi impugnati risultano entrambi sottoscritti dal Capo Ufficio Controlli, Z., in assenza di prova del suo potere di apposizione della firma o di delega, recante data certa preventiva, del Direttore Provinciale dell'Ufficio emittente e che la documentazione allegata dalla Agenzia delle Entrate e richiamata dai giudici di merito nella sentenza impugnata non reca il nominativo del delegato, risulta generica e non illustra le ragioni sottostanti ed il termine di validità, sicchè non è idonea a soddisfare l'onere probatorio incombente sull'Ufficio.

4. Con il quarto motivo, la società ricorrente invoca la cassazione della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell'art. 109, comma 5, del d.P.R. n. 917/1986, nella parte in cui è stata confermata la ripresa a tassazione del premio riconosciuto alla società M. s.r.I., portato in deduzione dalla V. s.r.l. dal reddito conseguito negli anni oggetto di accertamento. Lamenta, sul punto, che i giudici regionali, condividendo i rilievi sollevati dall'Ufficio nell'avviso di accertamento, hanno dichiarato l'indeducibilità dei premi riconosciuti alla società M. s.r.l., rapportando implicitamente la valutazione di inerenza del relativo costo non all'oggetto dell'impresa, come prescritto dal comma 5 dell'art. 109 del d.P.R. n. 917/1986, ma esclusivamente ai ricavi maturati per effetto del rapporto commerciale intercorso tra le due società, nonostante fosse stato dimostrato, nel corso del giudizio di primo grado, che il costo oggetto di contestazione era strettamente collegato all'attività ed era stato sostenuto nell'intento di fornire una utilità. Deduce, altresì, che il raffronto con le «condizioni normali di mercato» e con «gli altri premi riconosciuti ai clienti terzi», compiuto dall'Ufficio ed avallato dai giudici di secondo grado al fine di dimostrare la antieconomicità del premio, sono di per sé inidonei a giustificare la pretesa erariale recata dagli atti impositivi.

5. Con il quinto motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del disposto degli artt. 41 e 53 Cost., per avere la Commissione regionale ritenuto legittima la ingerenza compiuta dall'Ufficio nelle scelte gestionali della contribuente, pur a fronte della stretta connessione del costo portato in deduzione con l'oggetto dell'impresa, con inevitabile compressione del principio di libertà dell'iniziativa economica costituzionalmente garantito.

6. Con il sesto motivo, la società contribuente deduce nullità della sentenza impugnata per violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., per avere la Commissione regionale omesso di pronunciarsi sulla lamentata nullità assoluta ed insanabile, o quantomeno sulla annullabilità, dell'atto impositivo concernente il periodo d'imposta 2008 impugnato per violazione dei principi di cooperazione, collaborazione e buona fede, sanciti dagli artt. 12, commi 2 e 7, e 10, comma 1, legge n. 212/2000, nonché di quello di imparzialità sancito dall'art. 97 Cost. Eccepisce che gli avvisi impugnati non sono stati preceduti dalla notifica di un processo verbale di constatazione, né da un invito alla contribuente ad instaurare un contraddittorio preventivo, essendo piuttosto gli stessi seguiti direttamente all'accesso ed alla richiesta del 20 novembre 2012 finalizzata a «reperire la documentazione inerente i premi concessi dalla società medesima relativamente agli anni d'imposta 2007 e 2008», documento che non specifica l'oggetto della verifica, in palese violazione dell'obbligo di informativa prescritto dall'art. 12, comma 2, legge n. 212/2000.

7. Con il settimo motivo, si deduce nullità della sentenza impugnata per violazione dell'art. 112 cod proc. civ., per avere i giudici di appello omesso di esaminare la dedotta illegittimità del rilievo di indebita detrazione di imposta sul valore aggiunto per euro 83.000,00, contenuto nell'avviso concernente il periodo d'imposta 2008, per violazione degli artt. 19, comma 1, e 26, comma 2, del d.P.R. n. 633/1972.

Precisa che l'Ufficio con l'avviso di accertamento impugnato ha contestato l'indetraibilità dell'I.V.A. connessa con l'erogazione del premio riconosciuto alla società M. s.r.l., in quanto riferita a poste passive asseritamente non inerenti all'attività d'impresa solo perché valutate incongruenti e spropositate e, quindi, integranti condotta antieconomica, in relazione ai ricavi conseguiti, pur non avendo l'Ufficio mai contestato la presunta inesistenza delle operazioni da cui deriva l'I.V.A. oggetto di detrazione.

8. Con l'ottavo motivo, la contribuente denuncia violazione e falsa applicazione del disposto dell'art. 110, comma 7, del d.P.R. n. 917/1986, nella sua interpretazione autentica resa dall'art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 147 del 14 settembre 2015 (ius superveniens). Assume che, secondo la ricostruzione operata dai verificatori, riconoscendo il premio alla M. s.r.l., avrebbe spostato materia imponibile da una società (la V. s.r.l.) in utile ad un'altra (la M. s.r.l.) in perdita, e, quindi, non soggetta a tassazione, dalla medesima controllata, al fine di ottenere un indebito risparmio d'imposta, realizzando in tal modo una operazione cd. di transfer pricing; sottolinea, tuttavia, che con l'art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 147/2015, il legislatore ha fornito un'interpretazione autentica delle disposizioni di cui all'art. 110, comma 7, precisando che «la disposizione di cui all'art. 110, comma 7, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, si interpreta nel senso che la disciplina ivi prevista non si applica per le operazioni tra imprese residenti o localizzate nel territorio dello Stato», con la conseguenza che la ricostruzione operata dall'Ufficio, fondata sulla pianificazione fiscale che sarebbe stata perseguita dalla contribuente attraverso il ricorso al meccanismo del transfer pricing domestico, risulta infondata per effetto del menzionato intervento legislativo sopravvenuto alla emissione degli atti impositivi e operante con efficacia ex tunc.

9. Il primo ed il secondo motivo del ricorso che, essendo strettamente connessi, possono essere trattati congiuntamente, sono fondati.

9.1. Come statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 18184 del 29/7/2013, «in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 deve essere interpretato nel senso che l'inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l'emanazione dell'avviso di accertamento - termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un'ispezione o una verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni - determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l'illegittimità dell'atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva....». 9.2. Le dette garanzie statutarie operano già in fase di accesso, concludendosi anche tale attività con la sottoscrizione e consegna del processo verbale di chiusura delle operazioni svolte, e ciò alla stregua delle prescrizioni dell'art. 52, comma 6, del d.P.R. n. 633/1972 ovvero dell'art. 33 del d.P.R. n. 600/1973. 9.3. La garanzia di cui all'art. 12, comma 7, della I. n. 212/2000 si applica, quindi, a qualsiasi atto di accertamento o controllo con accesso o ispezione nei locali dell'impresa, ivi compresi gli atti di accesso istantanei finalizzati all'acquisizione di documentazione, sia in quanto la citata disposizione non prevede alcuna distinzione ed è, comunque, necessario redigere un verbale di chiusura delle operazioni anche in quest'ultimo caso, come prescrive il citato art. 52, sesto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Cass. n. 15624 del 9/7/2014; Cass. 2593 del 5/2/2014), sia perché, anche in caso di «accesso breve», si verifica quella peculiarità che, secondo le Sezioni Unite di questa Corte n. 24823 del 9/12/2015, giustifica, quale controbilanciamento, le garanzie di cui al citato art. 12; peculiarità consistente «nell'autoritativa intromissione dell'Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca dì elementi valutati a lui sfavorevoli» (Cass. n. 11471 del 10/5/2017). 9.4. Va, pertanto, ribadito che «l'art. 52 del d.P.R. n. 633/1972 impone la redazione del processo verbale di chiusura delle operazioni in ogni caso di accesso o ispezione nei locali dell'impresa e solo dal rilascio di copia del predetto verbale decorre il termine di sessanta giorni trascorso il quale può essere emesso l'avviso di accertamento ai sensi dell'art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000» (Cass. n. 7843 del 17/4/2015; Cass. n. 3060 del 8/2/2018).

10. Nel caso di specie, risulta pacifico tra le parti che gli atti impositivi impugnati (rispettivamente notificati in data 21 dicembre 2012 ed in data 6 giugno 2013) sono stati preceduti da un accesso presso la società contribuente, specificamente finalizzato alla richiesta di documentazione, all'esito del quale è stato redatto verbale di accesso e richiesta di documenti, notificato alla società in data 20 novembre 2012, e che la documentazione è stata in parte reperita dai verificatori presso la sede della società ed in parte è stata successivamente esibita dalla contribuente.

10.1. L'Agenzia delle Entrate sostiene che il processo verbale di accesso è un atto con cui si è dato inizio alle operazioni di controllo (attraverso il reperimento della documentazione contabile) che si sono poi svolte presso l'Ufficio e non presso la sede dell'attività e che non è stato notificato alla contribuente un processo verbale di chiusura delle operazioni, ovvero un processo verbale di constatazione, come richiesto dal citato art. 12, per cui l'inosservanza del termine di sessanta giorni non determinerebbe nullità dell'avviso, non essendo applicabile alla fattispecie in esame l'art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000. 10.2. Le argomentazioni difensive della Amministrazione finanziaria non hanno rilievo giuridico, poiché nel caso di specie, risultando violato l'obbligo di redazione e consegna del processo verbale di chiusura delle indagini o processo verbale di constatazione, previsto dalla disposizione statutaria de qua, deve ritenersi come mai iniziata la stessa decorrenza del termine in questione (Cass. n. 3060 del 8/2/2018).

Ne consegue che la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto espressi nei citati arresti giurisprudenziali, avendo escluso la violazione dell'art. 12, comma 7, I. n. 212/2000 sul presupposto che il mancato rispetto del termine previsto dalla predetta disposizione normativa, non invocabile nel caso di mera richiesta di documentazione contabile, non determina nullità dell'atto impositivo, trattandosi di nullità non espressamente prevista dalla legge.

11. L'invalidità degli avvisi di accertamento derivante dall'inosservanza del termine previsto dall'art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000 impone di dichiarare assorbiti gli altri motivi di ricorso.

12. Il ricorso va, pertanto, accolto in relazione ai primi due motivi, assorbiti gli altri, con conseguente cassazione della sentenza; la causa può essere decisa nel merito ex art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., non richiedendo ulteriori accertamenti in punto di fatto, con l'accoglimento dei ricorsi introduttivi della contribuente. Le spese dei gradi del giudizio di merito, in ragione dello svolgimento del processo, vanno integralmente compensate tra le parti, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono i criteri della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie i ricorsi introduttivi della contribuente. Compensa integralmente tra le parti le spese dei gradi del giudizio di merito e condanna la controricorrente al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge Così deciso in Roma nella camera di consiglio il 29 marzo 2019.

 

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