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L’iscritto all’AIRE che lavora all’estero per società italiana ha diritto al rimborso delle ritenute su TFR, infatti il TFR è una retribuzione differita che sconta lo stesso regime fiscale dei redditi di lavoro dipendente prestato all’estero.

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Estratto: “il trattamento di fine rapporto costituisce un diritto di credito a pagamento differito, il quale matura anno per anno in relazione al lavoro prestato ed all'ammontare della retribuzione, costituendo in sostanza retribuzione differita (Cass. Sez. U, n. 8625 del 23/11/1987; Cass. n. 4261 del 23/3/2001). Il diritto all'indennità in questione, infatti, non nasce con la cessazione del rapporto di lavoro, ma costituisce un diritto che si concretizza quantitativamente anno per anno in modo progressivo, secondo il meccanismo di determinazione previsto dall'art. 2120 cod. civ., così come modificato dall'art. 1 della legge n. 297/1982, con la conseguenza che, in tema di imposte sui redditi, il trattamento di fine rapporto relativo ad annualità di retribuzione corrisposte per lavoro prestato all'estero deve beneficiare dello stesso regime fiscale di non assoggettamento ad IRPEF previsto dal citato art. 3, comma 3, del d.P.R. n. 917/1986 per i redditi di lavoro dipendente prestato all'estero”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 13175 del 16 maggio 2019

Rilevato che:

G. impugnava il silenzio-rifiuto dell'Amministrazione finanziaria avverso l'istanza dallo stesso presentata in data 15 luglio 2009 al fine di ottenere il rimborso di ritenute dirette, ai sensi dell'art. 37 del d.P.R. n. 602/1973, in relazione all'anno 2008. Deduceva di essere iscritto all'A.I.R.E. dal 31 agosto 1994 e di risiedere in Francia ove svolgeva attività lavorativa alle dipendenze della A. s.p.a. e che la tassazione dei redditi di fonte francese era sempre avvenuta nel paese di produzione del reddito, dato che in Italia dichiarava solo redditi fondiari derivanti da immobili ubicati in questo Stato; a seguito della corresponsione del T.F.R., erano state operate trattenute per euro 18.880,51, ma il trattamento di fine rapporto non era imponibile per mancanza del requisito della territorialità. La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso, rilevando che il contribuente non aveva prodotto certificazioni attestanti il diritto all'esenzione e poiché lavorava in Francia alle dipendenze di una società italiana, ai sensi dell'art. 23, comma 2, del d.P.R. n. 917/1986, come modificato dal d.P.R. n. 341/2003, il trattamento di fine rapporto si considerava, ai fini dell'applicazione delle imposte, prodotto nel territorio italiano, per cui doveva essere tassato in Italia. In esito all'appello proposto dal contribuente, la Commissione tributaria regionale, premettendo che in Italia il T.F.R. veniva considerato reddito avente natura di diritto di credito a pagamento differito, che maturava anno per anno in relazione al lavoro prestato ed all'ammontare della retribuzione dovuta, aderiva alla tesi difensiva del contribuente secondo cui, in forza della convenzione Italia-Francia contro le doppie imposizioni, il T.F.R. maturato in questo Paese non poteva essere ulteriormente tassato in Italia; osservava, altresì, che il contribuente, in quanto lavoratore dipendente, subiva già la ritenuta operata dalla società datrice di lavoro, per cui l'imposizione del T.F.R. riferibile agli anni di lavoro effettuati in Francia era riservata esclusivamente allo stato francese in quanto retribuzione erogata a soggetto residente ed in relazione a prestazione di lavoro effettuata in Francia. Ricorre per la cassazione della decisione d'appello l'Agenzia delle Entrate, con tre motivi, cui resiste il contribuente mediante controricorso.

Considerato che:

1. Con il primo motivo, la difesa erariale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 100 e 324 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., e sostiene che la decisione impugnata è errata laddove non ha rilevato l'inammissibilità dell'appello per carenza di interesse, non essendo stato impugnato un capo della decisione di primo grado da solo idoneo a sorreggerla. Precisa, al riguardo, che i giudici di primo grado avevano respinto il ricorso sia rilevando che, ai sensi dell'art. 23, comma 2, del d.P.R. 617/1986, sono tassabili in Italia i redditi percepiti da soggetti non residenti da parte di società italiane, sia rilevando che, comunque, la parte contribuente non aveva fornito alcuna prova in ordine alla sussistenza, in concreto, di una doppia imposizione, statuizione in ordine alla quale il contribuente non aveva proposto impugnazione.

2. Con il secondo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.. Contesta alla Commissione regionale di avere riconosciuto l'invocato diritto al rimborso, in ragione del principio di divieto di doppia imposizione, in assenza di un presupposto, ossia la avvenuta doppia imposizione, che il contribuente aveva l'onere di dimostrare, ma la cui sussistenza era stata pacificamente esclusa.

3. Con il terzo motivo, denuncia la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell'art. 23 del t.u.i.r., con riferimento all'art. 15 della Convenzione Italia-Francia contro le doppie imposizioni (ratificata con legge n. 20/1992). Evidenzia che i giudici regionali hanno ritenuto di applicare alla fattispecie in esame la disciplina contenuta nell'art. 15 della Convenzione Italia-Francia, che riguarda l'imponibilità di salari, stipendi e altre remunerazioni, pur in assenza, nell'ordinamento francese, di un istituto analogo a quello del T.F.R., ed ha giustificato detta applicazione invocando un principio di «prevalenza» della residenza del lavoratore (in Francia) rispetto alla nazionalità della società datrice di lavoro (italiana). Osserva che l'art. 23, comma 2, lett. a) del d.P.R. n. 917/1986 considera prodotto in Italia, se corrisposto da soggetti italiani, tutta una serie di redditi, tra i quali il T.F.R., avente natura di diritto di credito a pagamento differito; le indennità di fine rapporto sono, quindi, imponibili in Italia, ai sensi del citato art. 23, con conseguente legittimità della tassazione operata dal sostituto d'imposta italiano. Deduce, pertanto, che, da una parte, il criterio per stabilire le modalità di imposizione del reddito in esame non ha nulla a che vedere con il principio di «prevalenza» invocato dalla C.T.R. e che occorre valutare, dall'altra, se, a fronte della disciplina generale prevista dal citato art. 23, la parte contribuente abbia fornito prova di avere già subito una imposizione da parte del paese straniero.

4. Il primo motivo è infondato. 4.1. Come emerge dall'atto di appello, prodotto dall'Agenzia delle Entrate, il contribuente ha integralmente censurato la sentenza di primo grado, ribadendo che il trattamento di fine rapporto non era soggetto alla imposizione fiscale italiana, ma a quella francese, e sottolineando che la l'Amministrazione non poteva valorizzare la circostanza che mancava la dimostrazione del pagamento delle imposte in Francia, dato che il pagamento avrebbe dovuto essere effettuato non spontaneamente, ma tramite il sostituto d'imposta (ossia la datrice di lavoro A.), che avrebbe dovuto applicare il regime impositivo francese.

5. Il secondo ed il terzo motivo, essendo strettamente connessi, possono essere trattati unitariamente e sono infondati.

5.1. Secondo i principi assolutamente prevalenti nella giurisprudenza di questa Corte, cui si intende dare continuità, il trattamento di fine rapporto costituisce un diritto di credito a pagamento differito, il quale matura anno per anno in relazione al lavoro prestato ed all'ammontare della retribuzione, costituendo in sostanza retribuzione differita (Cass. Sez. U, n. 8625 del 23/11/1987; Cass. n. 4261 del 23/3/2001). Il diritto all'indennità in questione, infatti, non nasce con la cessazione del rapporto di lavoro, ma costituisce un diritto che si concretizza quantitativamente anno per anno in modo progressivo, secondo il meccanismo di determinazione previsto dall'art. 2120 cod. civ., così come modificato dall'art. 1 della legge n. 297/1982, con la conseguenza che, in tema di imposte sui redditi, il trattamento di fine rapporto relativo ad annualità di retribuzione corrisposte per lavoro prestato all'estero deve beneficiare dello stesso regime fiscale di non assoggettamento ad IRPEF previsto dal citato art. 3, comma 3, del d.P.R. n. 917/1986 per i redditi di lavoro dipendente prestato all'estero.

5.2. La disciplina dettata dall'art. 23 del d.P.R. n. 917/1986, invocata dall'Agenzia delle Entrate, che prevede l'imponibilità in Italia del trattamento di fine rapporto, deve essere coordinata con la regolamentazione pattizia prevista dalle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni e può essere, quindi, derogata dalle disposizioni convenzionali - generalmente definite dall'art. 15 delle Convenzioni contro le doppie imposizioni - qualora il lavoratore risulti residente nel Paese estero al momento della corresponsione e comunque relativamente alla quota parte di prestazione riferibile all'attività esercitata in tale Paese.

5.3. Anche l'Amministrazione finanziaria ha riconosciuto la residenza fiscale del percipiente al momento della corresponsione della indennità di fine rapporto da parte di soggetto erogante residente in Italia ed il luogo di svolgimento dell'attività lavorativa quali elementi fondamentali per determinare il corretto regime fiscale applicabile all'indennità di fine rapporto, come emerge dai pareri espressi con la Risoluzione n. 341/E/2008, con riferimento al trattamento di fine rapporto corrisposto da una società datrice di lavoro con sede in Italia ad un residente in Germania al momento della corresponsione, e con la Risoluzione n. 61/E/2016, con riferimento alla Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito.

5.4. Nel caso di specie, è pacifico che il contribuente ha svolto l'attività lavorativa in Francia, dove aveva anche la residenza, e, pertanto, in applicazione dell'art. 15 della Convenzione Italia-Francia - che dispone che «....i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un'attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell'altro Stato contraente. Se l'attività è quivi svolta in altro Stato, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato» - la tassazione del T.F.R. maturato, riferibile agli anni di lavoro svolti in Francia, è riservata esclusivamente a quest'ultimo Stato e va esclusa da imposizione in Italia, a nulla rilevando che non sia stata offerta prova, da parte del contribuente, della relativa tassazione nel Paese estero.

5.5. La Commissione regionale non si è discostata dai suddetti principi, avendo attribuito rilevanza alla residenza del contribuente ed espressamente richiamato a fondamento della decisione l'art. 15 della Convenzione Italia-Francia contro le doppie imposizioni.

6. Il ricorso va, pertanto, rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono i criteri della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l'art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge Così deciso in Roma in camera di consiglio il 29 marzo 2019

 

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DLP