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Avviso di accertamento emesso sulla base del possesso di case, auto e barche. Argomentazioni sviluppate in memoria da ultimo accolte dalla sentenza della CTR di Milano che ha annullato integralmente l’atto.

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Riportiamo il testo della memoria che ha condotto all’annullamento di un avviso di accertamento che ricalcolava il reddito di un contribuente sulla base delle spese sostenute (c.d. redditometro), avviso precedentemente confermato in primo grado (prima che la pratica fosse affidata al nostro studio per l’appello).

La sentenza, ad avviso di chi scrive, è peraltro particolarmente significativa perché riconosce, discostandosi da altra giurisprudenza, che il contribuente può limitarsi a dimostrare l’esistenza di disponibilità ulteriori e non deve, necessariamente, dimostrare che sono stati utilizzate esattamente quelle stesse disponibilità.

La sentenza favorevole al contribuente è passata in giudicato.

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1 - CONFUTAZIONE DI QUANTO AFFERMATO DALL'UFFICIO IN SEDE DI CONTRODEDUZIONI

Come menzionato in premessa, l'Agenzia delle Entrate - costituitasi nel giudizio di appello con il deposito di controdeduzioni in data XXX - ha richiesto il rigetto dell'atto di appello depositato dal Contribuente.

A ben vedere, l'Ufficio si limita a riportare il contenuto delle controdeduzioni depositate in primo grado ed a lamentare presunte contraddittorietà dell'atto di appello, entrando ben poco nel merito della vicenda.

Pertanto, nel richiamare integralmente tutto quanto già esposto in sede di atto di appello, si propongono di seguito solamente alcune osservazioni in ordine a quanto eccepito dall'Ufficio.

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Innanzitutto, l'Amministrazione Finanziaria ricostruisce la dinamica dell'accertamento, riportando i contenuti dei relativi avvisi.

L'Ufficio, in particolare, ricorda che il Contribuente aveva rilevato, già in sede di contraddittorio, oltre al possesso di redditi idonei a sostenere le spese a base della rettifica, la presenza negli avvisi di accertamento di alcuni gravi errori materiali e di calcolo, i quali si palesavano evidenti sin da un primissimo momento.

Ciò che l'Amministrazione Finanziaria omette di menzionare chiaramente (la ricostruzione dei fatti operata dall'Agenzia si mostra, infatti, fuorviante sul punto) è che neanche questi rilievi – malgrado facilmente verificabili - sono stati esaminati in sede di contraddittorio, e i relativi errori sono stati corretti dall'Ufficio solamente nel corso del giudizio di primo grado (errori non certo marginali, posto che, solo questi, determinavano una ricostruzione del reddito di oltre 100.000,00 euro superiore a quella poi rideterminata dallo stesso Ufficio con le controdeduzioni depositate davanti alla CTP).

Nonostante ciò, a parere dell'Agenzia delle Entrate, il contraddittorio si sarebbe regolarmente tenuto.

Che tale affermazione sia priva di fondamento appare chiaro dall'esposizione che precede.

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Si rende, inoltre, opportuno ripercorrere le risposte dell'Agenzia a talune delle numerose censure evidenziate dal Contribuente (mentre sui restanti rilievi l'Amministrazione Finanziaria si mostra silente).

In sede di appello, il Contribuente evidenziava in punto di diritto, ex pluribus, la violazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, e la mancata attuazione del contraddittorio procedimentale imposto da tale norma.

La disposizione richiamata prevede quanto segue: “L'ufficio che procede alla determinazione sintetica del reddito complessivo ha l'obbligo di invitare il contribuente a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento e, successivamente, di avviare il procedimento di accertamento con adesione ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 ”.

Questa norma – cristallizzata nel settimo comma dell'art. 38 D.P.R. n. 600 del 1973 - impone, quale presupposto indispensabile per la validità dell'accertamento sintetico, che il contribuente sia invitato a comparire e sia sentito, nel corso del procedimento ed al termine dell’istruttoria, e che, una volta che sia stato edotto degli addebiti, gli sia consentita la facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta a titolo di imposta (od anche, ovviamente, che sia inesistente, per errore nel metodo seguito dall’Ufficio: cfr. Cass. n. 16472/2008 e n. 11300/2000).

Sul punto, l'Ufficio, afferma che il Contribuente si contraddice.

In particolare, si afferma (cfr. pag. 8/11) quanto segue: “In ogni caso in più punti controparte contraddice se stesso: a pagina 8, secondo capoverso dell'atto di appello scrive “(...) ma vi sono addirittura importanti omissioni nell'iter procedimentale seguito: è mancato, infatti, finanche l'invito a comparire da parte dell'ufficio (...)” mentre, nel ricorso introduttivo, scriveva: “che in data 9/11/2012 l'Agenzia delle Entrate a seguito dell'istanza di accertamento con adesione, (...) notificava invito a comparire” (omissis).

Orbene, non v è chi non veda come non sia tanto il Contribuente a contraddirsi quanto l'Ufficio che non coglie la differenza tra due atti, con funzione completamente diversa, che si inseriscono in fasi e stati differenti dell'iter procedimentale.

Una cosa è l'invito a comparire richiesto dal settimo comma dell'art. 38 D.P.R. n. 600 del 1973, cosa completamente diversa è il riscontro dato dall'Ufficio ad apposita istanza di accertamento con adesione presentata dal Contribuente.

Infatti, il primo è un adempimento ulteriore che la legge impone nei casi in cui si proceda ad accertare sinteticamente il reddito, come quello di cui trattasi.

La tipologia di accertamento “sintetico” – in altri termini – impone l'adozione di un contraddittorio procedimentale più intenso di quello ordinario, all'interno del quale sia dato al Contribuente ampio spazio per difendersi dalle asserzioni, fondate su mere presunzioni e non su dati oggettivi, proprie di tale strumento accertativo, e ciò sin da prima della notifica dell'avviso di accertamento.

La legittimità del primo (accertamento sintetico), pertanto, sussiste nei limiti in cui sia pienamente attuato il secondo (contraddittorio procedimentale), elemento da considerarsi imprescindibile.

L'Ufficio, invece, confonde tale invito a comparire, specificamente previsto nei casi di accertamento sintetico, con il normale riscontro dato dall'Ufficio ad un'istanza di accertamento con adesione.

Nel caso de quo, inoltre, non solo l'Ufficio ha notificato l'accertamento sintetico prima di instaurare il contraddittorio ma ha addirittura atteso apposita istanza di accertamento con adesione del contribuente per fornire qualsiasi tipo di informazione. Quindi è il Contribuente che ha “sollecitato” il contraddittorio – comunque successivo alla notifica degli avvisi di accertamento – che non è, invece, mai stato avviato autonomamente dall'Ufficio.

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Ancora, l'Amministrazione Finanziaria prosegue con considerazioni prive di alcun pregio giuridico e più adatte ad un arena scolastica che ad un aula di giustizia: accusa il contribuente di presunte “incoerenze di difesa” (cfr. pag. 8), di “incoerenza dell'atto di appello” (cfr. pag. 9), “di ripetere una decina di volte nell'atto di appello lo stesso concetto” (cfr. pag. 9).

Considerazioni che non entrano nel merito della vicenda e si mostrano prive di rilevanza.

Il punto principale della vicenda è solo marginalmente affrontato dall'Ufficio, con argomentazioni che, in realtà, si rivelano più idonee a corroborare, piuttosto che a confutare, la tesi del Contribuente.

L'Ufficio, infatti, con singolare “inversione di marcia”, non sembra più mettere in discussione la circostanza che il Contribuente abbia effettivamente percepito, in maniera del tutto legittima, una somma pari ad € 285.000,00 a titolo di prezzo per la vendita dell'imbarcazione “XXX”.

Sia bastevole, sul punto, scorrere quanto affermato a pagina 10 delle controdeduzioni: “si osserva, in primis, che non viene contestata la mancata percezione del prezzo; ciò che non si ritiene provato è che quel prezzo sia stato utilizzato per il mantenimento del contribuente e non, ad esempio, per investimenti finanziari o altro”.

L'Ufficio, quindi, riconosce espressamente che il Contribuente ha legittimamente percepito ulteriori € 285.000,00, somme idonee a sostenere tutte le spese a base dell'accertamento sintetico operato dall'Ufficio, trasfuso negli avvisi di accertamento, sottoposti a vaglio critico in questa sede.

Tuttavia, l'Ufficio sembra richiedere al Contribuente di dimostrare che, per sostenere le spese alla base dell'accertamento sintetico, riconducibili sostanzialmente al possesso di autoveicoli, abitazioni, imbarcazioni da diporto e collaboratori familiari, siano state usate proprio le somme percepite per effetto della cessione (ci si chiede se, facendo propri un simile ragionamento, debba dimostrare addirittura l'utilizzo delle stesse banconote?!).

L'Ufficio addirittura afferma, prima a pagina 9 (in cui si afferma: “ipoteticamente quei soldi avrebbero potuti essere depositati su un conto e subito investiti”) e poi a pagina 10 (cfr. quanto sopra già riportato), pur in assenza di alcun elemento che possa anche solo suggerire la verosimiglianza di una simile tesi, che le somme ricevute a seguito della cessione potrebbero essere state oggetto di investimento e non essere destinate a sostenere le spese a base dell'accertamento.

In altri termini, secondo l'argomentazione dell'Ente Impositore, seppure sia certo che quei denari sono entrati nella disponibilità del Contribuente, comunque quest'ultimo deve provare di aver utilizzato precisamente quelle somme per pagare, a titolo esemplificativo, i collaboratori familiari ovvero per mantenere la propria auto o la propria imbarcazione.

Secondo l'Ufficio, quindi, si deve “far finta” che le somme percepite per effetto della cessione non esistano, perchè, anche se nulla indica che ciò può essere accaduto, le stesse possono essere state investite, e quindi, seguendo un simile ragionamento, le spese di cui trattasi devono verosimilmente (?!) presumersi sostenute attraverso fantomatici ricavi c.d. in “nero” o chissà con quale altra fonte reddituale non dichiarata.

Orbene, vedere l'Agenzia delle Entrate, a cui la legge affida l'incarico non certo di ricercare – finanche con pretestuose argomentazioni – di introitare quante più somme possibili ma semmai di verificare che i Contribuenti rispettino la normativa fiscale, far propria una simile linea difensiva, rende ancor più evidente l'illegittimità degli accertamenti di cui trattasi, e la responsabilità, ai sensi dell'art. 96 c.p.c., dell'Amministrazione Finanziaria.

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Il dato finale che emerge dalle controdeduzioni dell'Ufficio, in definitiva, rimane uno ed uno soltanto: l'Ufficio non ha nulla da eccepire in ordine alle censure principali mosse dal Contribuente nei confronti della sentenza impugnata.

Pertanto, quanto già evidenziato in sede di appello dal Contribuente rimane incontestato e incontestabile, prima fra tutte la circostanza che:

il Contribuente ha dimostrato, producendo

1) il relativo atto notarile (documento n. X dell'atto di appello);

2) il relativo contratto preliminare (documento n. X dell'atto di appello);

3) la lettera di consegna dell'imbarcazione all'acquirente (documento n. X dell'atto di appello);

4) la corrispondenza intervenuta (documento n. X dell'atto di appello);

di aver legittimamente percepito, nel corso degli anni XXX e XXX, una somma pari ad euro 285.000,00, a titolo di prezzo per la cessione dell'imbarcazione “XXX”, somme idonee a permettergli di sostenere tutte le spese poste a base delle richieste di esborso contenute negli avvisi di accertamento di cui trattasi.

Inoltre, in sede di controdeduzioni, l'Ufficio riconosce che il prezzo è stato effettivamente percepito (si rammenta ancora una volta quanto affermato dall'Agenzia delle Entrate a pagina 10 delle proprie controdeduzioni: “si osserva, in primis, che non viene contestata la mancata percezione del prezzo”.

Per non tediare Codesta Commissione Tributaria Regionale non ci si sofferma, in questa sede, sulle ulteriori censure, già ampiamente esposte in sede di atto di appello, a cui si rinvia”.

 

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