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Studi di settore: nullo l’avviso di accertamento se l’impresa è in crisi

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Studi di settore: nullo l’avviso di accertamento se l’impresa è in crisi

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A seguito della crisi economica che a partire dagli ultimi anni del 2000 ha colpito l’economia globale, specie quella americana ed europea le aziende, specie le piccole e medie imprese, ma anche liberi professionisti hanno subito una forte diminuzione degli ordini e delle commesse con una significativa contrazione dei ricavi che li ha costretti, molto spesso, a chiudere i battenti.

Fronteggiare la crisi ha significato e significa per le imprese affrontare un enorme sforzo, talora un ridimensionamento e comunque un adattamento a nuovi indici di crescita e sviluppo, significativamente inferiori rispetto al passato.

Tuttavia, accanto alla crisi gli imprenditori italiani sono tuttora costretti a fare i conti anche con gli strumenti preposti dall’ordinamento al contrasto all’evasione fiscale: redditometri, studi di settore e strumenti analoghi.

Nonostante gli avvicendamenti politici e governativi che hanno interessato l’Italia con la promessa di affrancare i contribuenti dai calcoli degli studi di settore, in realtà questi strumenti continuano a trovare applicazione. L’amministrazione Finanziaria è imperterrita nel ricorso a questi strumenti di accertamento introdotti nel lontano 1993 (e che danno luogo ad accertamenti che non si poggiano su prove certe ed indiscutibili di evasione ma su un’ipotesi astratta, un ragionamento statistico, una “presunta” evasione).

I fatturati delle piccole e medie imprese ma anche di professionisti e lavoratori autonomi vengono quindi comparati con gli indici di normalità economica, derivanti da questi studi.

In particolare, l’Agenzia delle Entrate potrebbe ritenere che analizzando questi dati sia possibile arrivare alla reale capacità contributiva del contribuente il quale, di conseguenza, avrebbe poco margine di scostamento dalle statistiche.

Ma non vi è una variabilità elevatissima da impresa ed impresa (pur nello stesso settore)?

È corretto che un calcolo statistico, una mera ipotesi, si ponga da sola alla base di accertamenti (magari di importo tale da segnare la morte di un’impresa e la chiusura dell’attività)?

Dati che, teoricamente, andrebbero utilizzati unitamente ad altre informazioni rilevanti per conoscere potenzialità ed entrate di un’impresa o di un professionista.

Invece, nel momento in cui dalle analisi statistiche venga fuori uno scostamento rispetto ai parametri stabiliti dagli studi di settore, scatta non di rado, prevalentemente da sé, un avviso ed una richiesta di pagamento.

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I dati contenuti negli studi devono tenere conto dell’andamento delle attività economiche. Anche perché una situazione di crisi economica, di diversità di retribuzione e reddito nelle diverse aree del Paese comportano una difficoltà di fondo nell’applicazione degli studi di settore: a situazioni diverse vengono applicati parametri estrapolati da condizioni economiche diverse.

Ciò comporta, innegabilmente, una intrinseca difficoltà nell'impiego degli studi di settore che non terrebbero sufficientemente conto della reale situazione economica in cui versano singole aziende e singoli professionisti sottoposti ad accertamenti fiscali.

Anche se i correttivi agli studi di settore, introdotti varie volte negli anni scorsi, hanno tentato di apportare delle modifiche per adattare gli studi alle difficoltà economiche-finanziarie delle aziende contribuenti, in realtà questi non si sono rivelati un rimedio adeguato.

Gli esperti hanno tentato di rassicurare i contribuenti con i correttivi tesi ad adattare gli studi di settore alle condizioni economiche e dei mercati rendendoli così idonei a rilevare eventuali incoerenze nei dati dichiarati dai contribuenti. Così per non è risultando gli studi di settore del tutto inidonei a valutare i cambiamenti derivanti da situazioni eccezionali, vedi anche una calamità naturale, un terremoto, un’alluvione che possono compromettere i ricavi di un’azienda o di un professionista, o contingenze proprie di una precisa azienda.

Quello che non viene in molti casi detto è che non di rado la crisi economica (ed in generale la velocissima metamorfosi che sta subendo l’imprenditoria nei tempi più recenti) rende meno attendibile l’applicazione degli studi di settore, pensati per misurare una normalità economica, che in realtà è oggi in costante e rapidissimo cambiamento.

Questo è quanto stabilito da una recentissima sentenza della Cassazione che conferma una posizione già ribadita in altre pronunce così collocandosi su un orientamento ormai consolidato  nella giurisprudenza di legittimità.

Corte di Cassazione, ordinanza n. 4774 del 24 febbraio 2020

In questa recentissima pronuncia la Corte di Cassazione è stata investita dal ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate avverso le due precedenti sentenze di merito in cui il contribuente, titolare di un’azienda operante nel settore aereonautico, avvinto da un avviso di accertamento per Ires, Iva e Irap, aveva vinto il processo nei gradi di merito.

In particolare, sia la CTP che la CTR avevano ritenuto che lo scostamento accertato a seguito delle verifiche fiscali stimato del 20% rispetto agli studi di settore sarebbe derivato dalla situazione di crisi economica che aveva coinvolto l’azienda e non costituiva un'incongruenza significativa e rilevante a fini fiscali.

Anche la Cassazione ha finito con il condividere questo principio espresso dai giudici di merito secondo cui gli studi di settore assumono rilevanza in relazione alla situazione economica di crisi che ha investito il settore dell’aereonatuica (fortemente minato dalla concorrenza cinese).

In conseguenza di ciò l’azienda aveva dovuto affrontare una situazione di crisi economica palesata dall’esistenza di un solo cliente e dalla riduzione della metà delle ore lavorative assegnate ai dipendenti.

I giudici di Piazza Cavour hanno così consolidato l’orientamento secondo cui bisogna esaminare la reale situazione economica in cui versa l’azienda che giustifica lo scostamento rispetto agli studi di settore. Detti studi, infatti, rappresentando una procedura di accertamento tributario standardizzato, devono basarsi su presunzioni gravi, precise e concordanti e non automatiche e scontate avendo la cautela di assicurare sempre il contraddittorio col contribuente.

Il contribuente, infatti, ha la possibilità di chiarire aspetti che sfuggono agli automatismi degli studi di settore e quindi di dimostrare le condizioni di crisi e difficoltà economica in cui versa l’impresa in un dato periodo, la sua storia finanziaria, il mercato di riferimento, ecc.

Così facendo si evita l’applicazione standardizzata degli studi di settore che devono essere necessariamente tener conto della realtà dell'attività economica nel periodo di tempo in esame.

Ecco allora che nel caso analizzato lo scostamento rispetto agli studi di settore era stato abbondantemente dimostrato dal contribuente e quindi l'incongruenza non poteva essere considerata in maniera assoluta ma tenere conto di tutti fattori di crisi e difficoltà dell’impresa.

Per questi motivi è stata confermata la pronuncia di nullità dell’avviso di accertamento.

Corte di Cassazione, ordinanza n. 12273 del 18 maggio 2018

Anche in questa pronuncia la Cassazione ha confermato la nullità dell’avviso di accertamento emesso nei riguardi di una impresa edile di ridotte dimensioni che aveva risentito della flessione delle commesse e degli ordini, versando quindi in una situazione di crisi economica.

Anche per questo caso si è quindi ritenuto di non dover applicare gli studi di settore tenendo conto della particolare situazione economica dell’azienda coinvolta nell’accertamento interessata dalla riduzione di ordini e commesse e perciò costretta a licenziare i dipendenti e da ultimo si avvaleva dell’ausilio di un solo lavoratore. La difficile condizioni economica che aveva colpito la piccola azienda, a parere del Collegio, avrebbe quindi dovuto essere presa in considerazione da parte degli accertatori prima di emettere l’avviso di accertamento.

 

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