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Corte di Cassazione, Sez. 5,
sentenza n. 33039 del 16 dicembre 2019
FATTI DI CAUSA
1. La Commissione tributaria regionale per la Sicilia accoglieva il ricorso proposto dall'I. avente a oggetto l'ottemperanza alla sentenza resa dalla Commissione tributaria di primo grado di Palermo n. 2968/91, definitiva in data 10 ottobre 2001, con cui era stato accertato il diritto del contribuente a detrarre dal proprio reddito imponibile dichiarato per l'anno 1985 la somma di Lit. 6.093.901.037.
2. La sentenza impugnata, per quanto ancora in questa sede rileva, ha respinto l'eccezione di prescrizione del diritto fatto valere, rilevando che la decorrenza della prescrizione andava identificata nel momento della definitività della sentenza della Commissione tributaria di 2° grado, verificatasi in data 10 ottobre 2001 e che successivamente, in data 25 maggio 2009, era intervenuta un'interruzione del decorso del relativo termine per effetto di una costituzione in mora, seguita poi dall'inizio del giudizio di ottemperanza in data 25 maggio 2013.
3. Per la cassazione della citata sentenza l'Agenzia delle Entrate ricorre un motivo; l'I. resiste con controricorso.
4. Il controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso lamenta: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, con riferimento agli artt. 2934, 2935 e 2946 c.c., all'art. 327 c.p.c., nonché con riferimento all'art. 360, I comma, n. 3 c.p.c.» per avere la CTR erroneamente identificato il termine iniziale di decorrenza della prescrizione.
Invero, come puntualmente eccepito dall'odierna ricorrente, la circostanza che la sentenza di secondo grado fosse stata di mero rito, per essersi limitata a rilevare l'inammissibilità dell'appello per tardività, collocava la decorrenza della prescrizione dalla data di definitività della sentenza di primo grado ottemperanda, verificatasi in data 25 settembre 1992.
2. La controricorrente rileva che, dalla documentazione da essa depositata nel corso del giudizio innanzi alla CTP in data 25 novembre 2013, emergerebbe la circostanza che il termine prescrizionale, decorrente dalla data di deposito della sentenza ottemperanda, sarebbe stato interrotto una prima volta in data 4 gennaio 2002 e una seconda volta in data in data 25 maggio 2009, con conseguente infondatezza dell'eccezione avversaria. 3. Il ricorso va respinto.
4. In via preliminare si deve rilevare come il ricorso sia ammissibile.
Deve richiamarsi, in proposito, la condivisibile giurisprudenza di questa Corte che, in ordine alla natura del giudizio di ottemperanza di cui all'art. 70, comma 10, del D.Igs. n. 546 del 1992, ha stabilito che la citata norma, nello stabilire che contro la sentenza conclusiva del giudizio di ottemperanza davanti alle Commissioni Tributarie "è ammesso soltanto il ricorso per cassazione per inosservanza delle norme sul procedimento", va inteso nel senso che avverso provvedimenti giurisdizionali aventi carattere decisorio che non ammettono altro mezzo di impugnazione che il ricorso per cassazione,
quest'ultimo, ai sensi dell'art. 111 Cost., è sempre consentito per violazione di legge, con riferimento tanto alla legge regolatrice del rapporto sostanziale controverso che a quella regolatrice del processo (Cass. Sez. 5, n. 15084/04; id. 8752/08).
Ne deriva che la questione della prescrizione del diritto fatto valere nel giudizio di ottemperanza, in quanto attinente al rapporto sostanziale controverso, risulta legittimamente sollevata in questo giudizio, posto che esso si palesa come l'unico in cui può essere fatto valere per paralizzare l'altrui pretesa.
5. Nel merito deve rilevarsi che la prescrizione decennale da actio iudicati, prevista dall'art. 2953 cod. civ., decorre non dal giorno della pubblicazione della sentenza, ma dal momento del suo passaggio in giudicato (Sez. 3, Sentenza n. 15765 del 10/07/2014) e, se appellata, da quando, con la necessaria declaratoria giudiziale, si dà luogo all'effetto processuale che rende definitiva la decisione (Sez. 1, Sentenza n. 19639 del 07/10/2005). L'effetto di cui all'art. 2953 c.c. sul termine di prescrizione si collega, rispetto all'ottemperanza ex art. 70 proc. trib., a un provvedimento giurisdizionale passato in giudicato, e tale qualità non può che essergli attribuita che dal momento in cui acquista efficacia di giudicato formale.
In una simile evenienza, infatti, la statuizione giudiziale, quand'anche in esito a pronuncia in rito, come nella specie, non incide in alcun modo sull'effettività del processo - che resta pendente, con tutte le conseguenze fattuali e giuridiche che ne derivano, fino alla pronuncia della sentenza - ma lo chiude in senso sfavorevole a una parte, così fondando la definitività della pretesa avanzata dall'altra (in caso analogo tra stesse parti, Cass. n. 24878/2016).
6. Nella specie la sentenza di secondo grado è passata in giudicato in data 10 ottobre 2001. E' dunque da tale data che si è determinato anche il passaggio in giudicato in senso formale della sentenza di primo grado (per effetto della natura in rito della sentenza di appello).
Dunque la messa in mora datata 25 maggio 2009 è stata idonea a interrompere il termine prescrizionale dell'actio iudicati, come correttamente ha rilevato la sentenza impugnata.
7. Le spese di lite seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l'Agenzia delle Entrate a rifondere all'I. le spese di lite del presente grado, che liquida in euro 12.000,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 novembre 2019.
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