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Diventare medico di base o medico di famiglia è un’aspirazione che hanno molti laureati in medicina.
Un giovane laureato in medicina, dopo aver conseguito la specializzazione, si trova ad affrontare una scelta importante per la sua carriera: intraprendere l’attività libero professionale e quindi sobbarcarsi tutti gli adempimenti fiscali tipici di un lavoratore autonomo oppure lavorare con contratto di lavoro subordinato per il SSN o per le strutture sanitarie private dove fiscalmente si percepisce un reddito di lavoro dipendente, tassato alla fonte dal sostituto d’imposta/datore di lavoro.
In Italia, esiste una terza via ovvero diventare medico di base che, diversamente dai medici ospedalieri, non è un lavoratore dipendente del SSN ma un libero professionista convenzionato con le aziende sanitarie locali. Egli, quindi, percepisce una retribuzione in base al numero di prestazioni svolte e in base al numero dei suoi assistiti, che comunque non può essere superiore a 1500 e dunque riceve una quota variabile per ogni assistito che lo sceglie. A ciò si aggiungono gli eventuali altri ricavi per la reperibilità notturna, i contributi per gli assistiti più anziani, ecc.
I medici di famiglia affrontano tuttavia anche numerose spese, comprese quelle per la gestione dello studio e dell’attività, quali il pagamento del canone di locazione per lo studio e le spese per corsi di formazione.
Ciò nonostante, il medico di famiglia è a volte visto con sospetto, e le verifiche fiscali in alcuni casi potrebbero portare a contestare al medico che lo stesso, tramite il suo studio e la vicinanza ai pazienti abituali, utilizzando ulteriori specializzazioni, abbia erogato prestazioni private in nero. Insomma, quello di cui un medico di famiglia potrebbe venire accurato è di lavorare anche quale libero professionista puro, facendosi pagare dei compensi in nero.
Tuttavia, in tali ipotesi e senza tralasciare il fatto che il medico di base subisce numerosi controlli da parte delle ASL, scatterebbe un regime di incompatibilità oppure egli subirebbe delle riduzioni di massimale.
Il rischio dunque è quello di commettere illeciti lavorando nell'illegalità con indubbie ripercussioni sia di immagine che di carriera. Il paziente, infatti, non essendo legato al medico di base se non da un rapporto fiduciario, può tranquillamente decidere di cambiare medico non appena viene a sapere delle sue scorrettezze.
Ma quello di cui viene accusato un medico di famiglia riguarda, addirittura, aspetti molto meno gravi.
Ad attirare l’attenzione del fisco, infatti, sono alcuni comportamenti che riguardano lo svolgimento del suo lavoro quotidiano ritenuti meritevoli di tassazione.
Un caso frequente, riguarda per esempio, il mancato pagamento dell’IRAP da parte dei medici di base convenzionati con il SSN accusati di avere una struttura organizzata ed efficiente paragonabile ad un’impresa.
Vediamo quindi alcuni casi in cui queste accuse sono state messa a tacere dai giudici perché ritenute infondate.
Comm. Trib. Reg. per la Campania, Sent. n. 908 del 05 febbraio 2019
Tale vicenda ha avuto origine da un ricorso proposto da un medico di base del SSN, dopo avere proposto istanza con richiedeva il rimborso delle somme versate a titolo di IRAP in quanto ritenute non dovute.
L’agenzia delle Entrate, al contrario, riteneva sussistere tutti i presupposti idonei ad integrare un’autonoma organizzazione da parte del medico quali le spese impegnate per pagare la segretaria e quelle per il locale ove sveniva svolta la attività.
La CTR ha dato ragione al contribuente ritenendo che il medico di base nello svolgimento della sua attività non si era avvalso né di un grande apporto di capitale né del lavoro di terzi e considerato che la dotazione minima prevista per operare in regime di convenzione con il SSN non può essere considerata una struttura organizzativa idonea a configura il presupposto impositivo dell’IRAP.
Ed infatti, non si può parlare di un’organizzazione esterna se il medico fa ricorso ad una segretaria di studio e sostiene il pagamento di un canone di locazione per l’ambulatorio.
A parere dei giudici, in sostanza, il reddito del medico di base non poteva considerarsi dipendente da questi due fattori che incidevano in maniera significativa sull’entità dei suoi compensi. Per questi motivi la Commissione ha accolto l’appello del contribuente riformando la precedente sentenza che lo condannava al pagamento dell’IRAP.
Commissione Tributaria Regionale Del Lazio – sezione 38 – Sentenza 15 marzo 2013, n.96
Con questa recente sentenza la CTR si è sempre pronunciata sul ricorso promosso da un medico di base convenzionato con il SSN che ha chiesto il rimborso di 20 mila euro versati ai fini Irap in quanto egli in verità egli svolgeva la sua attività professionale in forma individuale, senza ricorrere a dipendenti o collaboratori e con beni strumentali strettamente necessari alla professione. Non esistevano, a suo dire, i requisiti per l’imposizione del tributo e quindi l’autonoma organizzazione.
Infatti, così come dimostrato dal medico, il personale dipendente era un lavoratore a tempo parziale, che non svolgeva mansioni di tipo sanitario limitandosi a svolgere le mansioni previste dalla convenzione ed in particolare, vigilare la sala di attesa, controllare il flusso dei pazienti da visitare.
La CTR ha dato ragione al contribuente non rilevando in questo caso l’utilizzo di personale, beni strumentali e mezzi finanziari in grado di potenziare l’attività del medico.
Il professionista non si avvaleva di beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile, disponendo semplicemente di un’auto, telefoni, pc e stampante, una biblioteca ed un tavolo da lavoro. Si trattava, in sostanza, del minimo indispensabile per l’esercizio della professione medica. Ed ancora, era emerso che il dipendente era impiegato a tempo parziale di quindici ore settimanali, indicato correttamente nella dichiarazione dei redditi e non aveva carattere continuativo. Secondo il Collegio, insomma, tali elementi non erano sufficienti a considerare sussistenti i requisiti dell’autonoma organizzazione.
Corte di Cassazione – Sentenza 11 settembre 2019, n. 22675
Anche in questo recente caso la Cassazione ha confermato quanto sopra esposto dalle CTR nelle pronunce di merito rigettando il ricorso dell’Agenzia delle Entrate con cui si riteneva una contribuente, medico generico convenzionato con il SSN, tenuta al pagamento dell’IRAP in quanto dotata di autonoma organizzazione.
La Cassazione, nel ribadire che l’IRAP richiede l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, ha ritenuto che la dottoressa in questione non disponesse di un’autonoma organizzazione in quanto non dotata di dotazioni strumentali o di prestazioni lavorative altrui eccedenti il minimo indispensabile
La Cassazione, in sostanza, non ha ravvisato l’autonoma organizzazione nell’ausilio del c.d. assistente di sedia di cui la contribuente si avvaleva, vale a dire di un infermiere generico assunto part time, che eseguiva semplicemente mansioni di carattere esecutivo. Tale requisito non poteva legittimamente accrescere le potenzialità professionali del medico e quindi portare a parlare di autonoma organizzazione.
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Le informazioni sopra riportate sono state scritte da un avvocato che collabora con professionisti del nostro studio ma la loro rispondenza al sistema vigente non è garantita da DLP Studio Tributario, né nessuno dei suoi avvocati, né nessun altro, non rispecchia la professionalità media di DLP Studio Tributario e non sono state sottoposte ad ulteriori controlli da parte del nostro studio.
Ulteriori approfondimenti sono comunque dovuti in dipendenza delle specificità dei singoli casi concreti, anche (ma non solo) per verificare che le informazioni siano aggiornate al momento in cui servono.
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