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Sentenza del 24/02/2020 n. 34 - Comm. Trib. Reg. Friuli Venezia Giulia Sezione/Collegio 1
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società …… impugnava il rifiuto dell'Agenzia delle Entrate di Udine del rimborso dell'imposta IRAP versata dalla società per l'anno 2013 poiché versata in misura maggiore di quanto dovuto laddove si applicasse la speciale deduzione introdotto dall'art. 1, co. 266, legge 296/2006, normativa che appunto ha introdotto una specifica deduzione dalla base imponibile IRAP per le imprese che impiegano personale a tempo indeterminato, deduzione da cui sono escluse le imprese operanti in concessione a tariffa nei settori dei trasporti.
La ricorrente osservava che anche la Commissione dell'Unione Europea ha approvato la misura fiscale sulla base delle precisazioni rese dallo stato italiano con riferimento al settore del trasporto pubblico e sosteneva il difetto dei presupposti di esclusione dalla deduzione in questione non operando essa in forza di una concessione, ma di una concessione traslativa, e sulla base di una tariffa non remuneratoria.
Concludeva quindi per il riconoscimento del diritto al rimborso IRAP, oltre interessi e refusione delle spese di lite.
L'Ufficio si costituiva chiedendo il rigetto del ricorso e la condanna di controparte alle spese di giudizio evidenziando che dalla documentazione prodotta emerge, proprio per rispettare i parametri di compatibilità comunitaria, l'esistenza di fatto di una concessione che ricorre ogni qualvolta vi sia un trasferimento di funzioni di interesse pubblico come quelle relative al settore in questione, cioè da una pubblica amministrazione ad un soggetto privato, a prescindere dal nomen iuris di tale atto.
La Commissione Tributaria Provinciale di Udine accoglieva il ricorso in parte con sentenza n. 65/02/2019 del 06/05/2019, spese compensate.
I giudici di prima istanza riconoscevano sussistente sia il requisito della operatività in base a concessione sia quello della operatività in base a tariffa remuneratoria.
Infatti, la ricorrente è risultata aggiudicataria della concessione dei servizi di trasporto pubblico locale, a cui ha fatto seguito il relativo contratto di servizio ove si richiama il provvedimento di concessione, e nulla rileva l'esistenza del contratto a monte del quale vi è, appunto, un provvedimento di tipo concessorio.
In relazione invece al requisito dell'operatività in base a tariffa non remuneratoria, i giudici osservavano che la remunerazione del servizio non deriva solo dalle tariffe corrisposte dall'utenza e fissate dalla pubblica amministrazione, ma anche dal corrispettivo del servizio stabilito e determinato in un importo che compensa tutte le prestazioni del concessionario necessario alla corretta esecuzione dei servizi, vedi art. 4 del contratto.
Inoltre, il contratto prevede anche degli obblighi in capo al concessionario volti ad introdurre meccanismi per incrementare i ricavi di servizio, insomma una situazione che valutata complessivamente depone per un servizio che viene svolto sulla base di un assetto giuridico funzionale ad assicurare l'effetto remunerativo del capitale investito.
Appella la società ricorrente che preliminarmente rileva la mancanza di motivazione della sentenza in relazione al fatto che pongono sullo stesso piano l'istituto della concessione-contratto e quello della concessione traslativa: in sede di commissione UE., lo stato italiano aveva chiarito che l'esclusione del beneficio dev'essere disposta nei casi in cui vi sia una concessione traslativa ed una tariffa remuneratoria.
Ora, sul punto, la sentenza non chiarisce affatto il perché dell'accorpamento di tali distinte modalità concessionarie (quella traslativa e quella della concessione-contratto).
In particolare, la concessione traslativa è un provvedimento con il quale l'ente pubblico conferisce ad un soggetto privato diritti o potestà inerenti un'attività economica in origine riservata alla pubblica amministrazione, il cui scopo è quello di legittimare il concessionario all'uso di poteri sostanzialmente amministrativi.
Altra cosa invece è la concessione-contratto, in cui l'affidatario deve attenersi e rispettare le prestazioni oggetto del negozio con la P.A. che normalmente si traducono nell'imposizione dell'obbligo di applicare tariffe a prezzo politico, di un programma di esercizio con orari ed un certo numero di corse predefinite.
Dunque, poiché i giudici di prima istanza hanno accertato l'esistenza di una concessione-contratto, deve necessariamente concludersi che non essendoci una concessione traslativa non sussiste uno dei presupposti per escludere la deduzione in oggetto.
In relazione al secondo requisito della tariffa remuneratoria, parte ricorrente rileva che tariffa e corrispettivo si differenziano in modo sostanziale, nel senso che corrispettivo è il prezzo del servizio fissato e/o regolamentato dagli enti locali, tariffa è invece il dispositivo di predeterminazione del prezzo del servizio sopportata dall'utente finale.
Nel caso in esame, la tariffa percepita dalla ricorrente è a prezzo politico, fissata a livelli massimi, e quindi non aumentabile discrezionalmente e sussiste non per remunerare il vettore, ma per agevolare l'accesso dell'utenza al servizio pubblico.
Pertanto, non ricorre nel caso di specie la tariffa remuneratoria quale requisito necessario per l'esclusione del beneficio de quo.
Conclude per la riforma dell'impugnata sentenza nel senso di dichiarare la spettanza del beneficio in oggetto con la refusione delle spese del doppio grado di giudizio.
Controdeduce l'Ufficio che ribadisce la legittimità del proprio operato ribattendo punto per punto le doglianze di controparte richiamando altresì la sentenza n. 3797 del 16/2/2018 della Corte di Cassazione che ha confermato la sentenza n. 436/10/2014 pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale di Trieste che confermativa della legittimità del rifiuto al rimborso chiesto dalla ricorrente con riferimento all'anno d'imposta 2008.
Conclude per il rigetto dell'appello e con contestuale appello incidentale chiede la modifica della sentenza relativamente alla dichiarazione della compensazione delle spese di lite.
Controparte deposita ulteriore memoria con la quale ribadisce le proprie argomentazioni, in particolare relativamente all'interpretazione autentica dell'art. 11 d.lgs. n. 446/1997 richiamando altresì le sentenze nn. 474 e 475/2015 con le quali la Commissione Tributaria Regionale di Trieste ha tenuto conto dei correttivi medio tempore operati dal legislatore nazionale sulla norma in oggetto affermando quindi il principio secondo cui la verifica di spettanza del beneficio deve essere condotta tenendo conto dei requisiti di concessione traslativa e tariffa remuneratoria. Le suddette sentenze peraltro sono state confermate dalla Corte di Cassazione con sentenze n. 2244 e 1145/2018.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Si accoglie l'appello della società ricorrente e per l'effetto si riforma la sentenza emessa dai giudici di prima istanza.
Preliminarmente preme inquadrare la vicenda nel quadro normativo che nel tempo si è modificato, evidenziando in particolare che la presente vertenza riguarda l'erogazione di un servizio pubblico, quale quello del trasporto pubblico, servizio che regolarmente viene erogato dalle imprese operanti sia in forza di una concessione pubblica che di una tariffa regolamentata.
Varie sono le problematiche che si annidano intorno all'erogazione di un servizio pubblico, alla luce soprattutto dell'evoluzione normativa con cui è stata fortemente rivista la disciplina delle deduzioni in sede di dichiarazione IRAP sin dall'entrata in vigore del D.lgs. n. 446/1997, fino alla L. n. 190/2014, c.d. legge di stabilità 2015.
Invero, al principio generale di indeducibilità del costo del lavoro che caratterizza l'IRAP, sono state disposte dal legislatore una serie di deroghe con finalità agevolative, nello specifico, l'art. 11, primo comma, lett. a) del citato D.lgs. n. 446/97 che ha introdotto esclusivi sgravi fiscali per ridurre la base imponibile IRAP, in presenza di personale dipendente impiegato a tempo indeterminato. Al contempo, però, sono stati esclusi dalla fruizione delle suddette deduzioni i soggetti in concessione ed a tariffa.
Pertanto, essendo evidente il sottile discrimene tra le imprese operanti in concessione e quelle operanti in regime di appalto, inevitabilmente si è sviluppato un notevole contenzioso tributario tra le aziende che ritengono applicabile nei loro confronti le agevolazioni in questione, ed il fisco decisamente orientato nel negare il diritto ad usufruire di tali agevolazioni.
Va detto che il graduale avvicinamento dell'istituto della concessione a quello dell'appalto è avvenuto su impulso del diritto comunitario, poiché di fatto molto labili sono i confini posti tra i due istituti.
Inoltre, un notevole lavoro interpretativo è stato svolto dai giudici di merito e di legittimità fissando una linea di demarcazione netta tra le imprese operanti in concessione e tariffa e le imprese operanti in appalto di servizi.
In prima battuta è intervenuta la Commissione Europea con direttiva e comunicazioni che hanno individuato l'elemento caratterizzante della concessione nel trasferimento dell'alea in capo al concessionario, così come la sentenza del 10/9/2009 della Corte di Giustizia Europea a cui hanno fatto seguito numerose sentenze delle Commissioni Tributarie, del Consiglio di Stato e della Corte di Cassazione per addivenire al principio per cui la concessione si distingue non tanto per il titolo provvedimentale dell'attività, né per la sua natura autoritativa rispetto a quella contrattuale dell'appalto, ma per il fenomeno di traslazione vera e propria dell'alea economica inerente una certa attività in capo al soggetto privato.
La conseguenza è che l'impresa trae la propria remunerazione direttamente dall'utenza venendosi così a creare un vero e proprio rapporto trilaterale tra la PA concedente, l'impresa concessionaria ed utente, per cui il concessionario ottiene il proprio compenso non già dall'amministrazione (come avviene quando ci sia un appalto), ma dall'esterno, cioè dal cittadino che fruisce del servizio.
Sul punto, si vedano la sentenza n. 3822 del 21/6/2018 del Consiglio di Stato, la sentenza n. 2244 del 31/1/2018 della Corte di Cassazione, oltre numerose sentenze di Commissioni Regionali: CTR Lombardia, sentenza n. 2604/2019 del 17/6/2019, CTR Lazio, sentenza n. 7170/15/2016 del 22/11/2016; CTR Veneto, sentenza n. 337/2018 del 21/3/2018.
Pertanto, si può concludere che la modalità di remunerazione è il tratto distintivo della concessione dall'appalto di servizio, ove, merita sottolinearlo ancora una volta, il rischio legato alla prestazione non viene trasferito in capo al prestatore e che nella concessione di servizi la controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio.
In conclusione, le imprese operano in regime di contratto di appalto tutte le volte in cui il rischio e l'onere del servizio continuano a permanere in capo all'amministrazione venendosi così a costituire un rapporto di natura bilaterale tra la PA e l'appaltatore; l'imprenditore ottiene dall'amministrazione il compenso pattuito e non ha necessità di avere rapporti negoziali con i reali utenti finali del servizio offerto, per cui l'onere del servizio stesso viene, quindi, a gravare sostanzialmente sull'amministrazione.
Emerge dunque che è fondamentale capire se la ditta ricorrente abbia le caratteristiche di una impresa in concessione traslativa ed a tariffa o, al contrario, di un'impresa appaltatrice di servizi, atteso che nel primo caso non si potrà usufruire delle deduzioni ex art. 11 del D.lgs. n. 446/1997, mentre, nel secondo caso, di converso, sarà possibile.
Alla luce di quanto esposto, è possibile affermare che nel caso in esame è di tutta evidenza l'esistenza di un accordo sinallagmatico che esclude quindi l'esistenza sia di una concessione traslativa, che di una concessione-contratto o accordo sostitutivo di concessione come sostenuto dai giudici di prima istanza.
Infatti, non può trattarsi di una concessione traslativa poiché, proprio in virtù dell'esistenza di un accordo sinallagmatico - ove sono declinati prestazioni ed obblighi cui il vettore deve attenersi - non può sussistere un provvedimento attraverso il quale la pubblica amministrazione si spogli di attività ad essa riservate trasferendole in capo ad un terzo, assieme alla potestà di gestirla autonomamente.
In sostanza, con tale tipo di affidamento, il concessionario è legittimato all'uso di poteri sostanzialmente amministrativi e la capacità di adottare atti amministrativi materiali (vedi sentenze n. 12221/1990 e n. 3359/1992 della corte di Cassazione). Inoltre nel settore del trasporto pubblico è proprio la normativa già richiamata, in particolare agli artt. 14, 15 e 16 del d.lgs. 442/1997, che prevede che le funzioni di controllo ed indirizzo restino in capo alla pubblica amministrazione impedendone in tal modo il trasferimento in capo all'affidatario.
A riprova di un tanto, nel contratto di servizio sono puntualmente indicate le prestazioni cui la ditta ricorrente deve attenersi e ciò esclude a priori l'esistenza di un trasferimento di potestà che rimane dunque in capo all'amministrazione.
E nemmeno si è in presenza di una concessione del servizio da parte dell'amministrazione al quale sarebbe seguito un accordo negoziale con la ditta ricorrente, denominato contratto di servizio, poiché agli atti non esiste alcun provvedimento di concessione del servizio.
Infine, in relazione alla sussistenza o meno della remuneratività della tariffa, quale ulteriore elemento necessario affinché si realizzi l'esclusione del beneficio in questione, si evidenzia, come già accennato, che la tariffa del servizio in oggetto, non va intesa come remunerativa dell'attività stessa, poiché imposta autoritariamente dall'amministrazione pubblica e ciò al fine di agevolare al massimo l'accesso della collettività intera scoraggiando quindi l'utilizzo del mezzo privato in favore di quello pubblico.
In particolare, la ricorrente, non assumendosi i rischi economici della gestione del servizio che rimane quindi a gravare sull'amministrazione che sopporta il rischio e l'onere del servizio, non può agire autonomamente fissando un prezzo della tariffe più alto al fine di mutare a proprio piacimento i margini di redditività del servizio, dovendosi attenersi ai valori imposti dall'amministrazione.
Infatti, le tariffe riscosse dalla ricorrente sono state fissate a prezzo c.d. politico che ricorre, appunto, quanto è considerazione dell'interesse pubblico che assume particolare rilievo, cioè quello di favorire al massimo i cittadini a servizi del mezzo pubblico.
Sul punto si veda la sentenza n. 29648 emessa dalla Corte di Cassazione il 14/11/2019.
Infine, si rigetta l'appello incidentale dell'Ufficio in relazione alla dichiarata compensazione delle spese di lite, in considerazione del complesso dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza di cui la materia in questione è stata oggetto negli anni e si dichiara pertanto la compensazione tra le parti delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia in riforma della sentenza di I grado, accoglie l'appello principale della contribuente;
rigetta l'appello incidentale dell'Ufficio e per l'effetto, dichiara l'illegittimità dell'accertamento IRAP.
Compensa tra le parti le spese di lite di entrambi i gradi.
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