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Corte di Cassazione, Sez. 5
Ordinanza n. 34094 del 19 dicembre 2019
Rilevato che:
M. impugnava l'avviso di accertamento con il quale l'Agenzia delle Entrate aveva accertato maggior imponibile Irpef relativo all'anno 2006 a causa di omessa dichiarazione di parte dei redditi percepiti in forza di contratto di locazione ad uso commerciale. Deduceva, in particolare, di non avere incassato i canoni di locazione in conseguenza della morosità dell'inquilino.
L'Amministrazione, con provvedimento di autotutela del 12 gennaio 2012, annullava parzialmente l'accertamento, rilevando che i canoni si riferivano ad immobile destinato ad uso commerciale, e ricalcolava l'imponibile rideterminandolo, a fronte di un'imposta accertata di euro 2.754,00, in euro 1.992,00. La Commissione provinciale di Varese accoglieva il ricorso, motivando che la contribuente aveva dimostrato, mediante la produzione di copia del provvedimento di convalida di sfratto, la mancata percezione del reddito a causa della morosità del conduttore dei locali.
Proposto appello dall'Agenzia delle Entrate, la quale evidenziava che per gli immobili concessi in locazione ad uso commerciale non era consentita l'applicazione dell'art. 8, comma 5, della I. n. 431 del 1998 che, in deroga al principio generale, stabiliva che i redditi derivanti da locazione ad uso abitativo non concorrevano alla formazione del reddito dalla conclusione del procedimento di convalida di sfratto per morosità del conduttore, la Commissione tributaria regionale, riformando la sentenza di primo grado, richiamati gli artt. 23, comma 1, del t.u.i.r. e l'art. 8, comma 5, della I. n. 431 del 1998, accoglieva il gravame.
Ricorre per la cassazione della suddetta decisione M. con un unico motivo, ulteriormente illustrato con memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ.
L'Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Considerato che:
1. Con l'unico motivo la contribuente deduce, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 8 della I. n. 431 del 1998 e dell'art. 26 del t.u.i.r. Sostiene che i giudici di appello hanno ignorato la sentenza del 26 luglio 2000, n. 326 della Corte Costituzionale, la quale, non distinguendo gli immobili locati per uso commerciale da quelli locati per uso abitativo, ha posto in evidenza che il provvedimento di convalida di sfratto, oltre agli effetti di natura civilistica, rappresenta il presupposto giuridico che legittima anche il locatore dell'immobile ad uso non abitativo a non dichiarare i canoni non riscossi successivamente alla convalida di sfratto. Evidenzia di non avere percepito somme dal conduttore né a titolo di locazione, nella vigenza del contratto, né a titolo di risarcimento, dopo l'intervenuta risoluzione del contratto per effetto della convalida di sfratto, con la conseguenza che la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione delle disposizioni normative richiamate in rubrica.
2. La censura è fondata. 2.1. Condividendo la tesi dell'Amministrazione finanziaria, la Commissione regionale ha affermato che la possibilità di non dichiarare i redditi di locazione non percepiti riguarda esclusivamente quelli che derivano da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo — in forza della deroga introdotta dall'art. 8 della legge n. 431 del 9 dicembre 1998 — e non, come nel caso in esame, quelli per uso commerciale.
2.2. La questione posta dalla contribuente impone, tuttavia, di verificare se concorra a costituire base imponibile, ai fini della tassazione del reddito fondiario di un immobile locato ad uso commerciale, l'importo del canone di locazione convenuto in contratto, laddove, a causa della morosità del conduttore, tale canone non sia stato effettivamente percepito.
Questa Corte, affrontando la questione, con la sentenza n. 6911 del 7 maggio 2003, ha inizialmente affermato che la mancata percezione dei canoni, per morosità del conduttore, ne impedisce l'assoggettamento a Irpef, con la conseguenza che nel caso di immobile concesso in locazione deve essere assoggettata a tassazione agli effetti delle imposte sui redditi la relativa rendita catastale — e non il canone previsto dal contratto — qualora il contribuente provi la mancata percezione dei canoni, e ciò perché «i dati contrattuali forniscono solo un'indicazione presuntiva» in ordine alla percezione del reddito locativo, per cui deve essere consentita la prova contraria.
Con una successiva pronuncia (Cass. n. 12095 del 24/5/2007), aderendo ad una diversa interpretazione, si è sostenuto che «la intervenuta risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del locatario, unitamente alla circostanza del mancato pagamento dei canoni relativi a mensilità anteriori alla risoluzione, non è idonea di per sé a escludere che tali canoni concorrano a formare la base imponibile Irpef, ai sensi dell'art. 23 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917».
L'indirizzo ormai prevalente ritiene che la tassazione del reddito locativo, in caso di immobili locati per fini diversi da quello abitativo, sia strettamente collegata alla mera maturazione del diritto di percezione di un reddito e che la mancata percezione del canone locativo, per morosità del conduttore, non ne impedisce l'assoggettamento a imposta sui redditi fino a quando non sia intervenuta la risoluzione del contratto di locazione o un provvedimento di convalida di sfratto (Cass. 18/1/2012, n. 651; Cass. 10 maggio 2013, n. 11158; Cass. 28 settembre 2016, n. 19240).
Difatti, come è stato precisato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 362 del 2000, «... il riferimento al canone di locazione.., potrà operare nel tempo solo fin quando risulterà in vita un contratto di locazione e quindi sarà dovuto un canone in senso tecnico. Quando invece la locazione (rapporto contrattuale) sia cessata per scadenza del termine (art. 1596 cod. civ.) e il locatore pretenda la restituzione essendo in mora il locatario per il relativo obbligo, ovvero quando si sia verificata una qualsiasi causa di risoluzione del contratto, ivi comprese quelle di inadempimento in presenza di clausola risolutiva espressa e di dichiarazione di avvalersi della clausola (art. 1546 cod. civ.) o di risoluzione a seguito di diffida ad adempiere (art. 1454 cod. civ.), tale riferimento al reddito locativo non sarà più praticabile...» e ciò perché «...la risoluzione del contratto impedisce di configurare il pagamento, effettivo o solo presunto, come effettuato a titolo di canone, cui possa essere commisurata la base imponibile ai fini dell'imposta sul reddito...».
Tale conclusione trova pieno riscontro nella regola concernente le locazioni abitative, in forza della quale (art. 26, comma 1, del t.u.i.r., come modificato dall'art. 8, comma 5, della legge n. 431/1998) «i redditi derivanti da contratti di locazione ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore», mentre «per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti come da accertamento avvenuto nell'ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità è riconosciuto un credito d'imposta pari al loro ammontare».
3. La sentenza impugnata, dopo avere dato atto, nella parte dedicata allo svolgimento del processo, che la contribuente ha impugnato l'avviso di accertamento deducendo di non avere percepito i canoni di locazione a causa della morosità dell'inquilino, ha confermato l'atto impositivo senza avere previamente accertato in quale data è intervenuto il provvedimento di risoluzione del contratto o di convalida di sfratto e se il parziale annullamento in autotutela dell'avviso di accertamento operato dall'Ufficio abbia rideterminato la pretesa fiscale tenendo conto dei soli canoni di locazione maturati sino alla convalida di sfratto.
4. In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va, quindi, cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che dovrà provvedere a nuovo esame alla luce dei principi di diritto richiamati, oltre che alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità Così deciso in Roma nella camera di consiglio il 22 ottobre 2019
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