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Corte di Cassazione, Sez. 5
Ordinanza n. 34091 del 19 dicembre 2019
RILEVATO CHE
Con avviso di accertamento nr. XXX, l'Ufficio di Genova dell'Agenzia delle Entrate rettificava, ai fini delle Imposte dirette e dell'Irap, irrogando, altresì, le sanzioni di legge, la dichiarazione dei redditi presentata dalla società E. s.a.s., in relazione all'anno d'imposta 2003, contestando l'indebita deduzione di costi per C 42.609,75, afferenti ad operazioni concluse con imprese aventi sede in Stati c.d. a fiscalità privilegiata (nella specie, Hong Kong), in quanto non evidenziati nel quadro RF della dichiarazione secondo quanto previsto dal comma 7 ter dell'art. 76 (attuale comma 11 dell'art. 110) del D.P.R. 917 /86" (cfr. la pag. 3).
Con avvisi di accertamento nr. XXX5 e nr. XXX7, lo stesso Ufficio rettificava le dichiarazioni, presentate ai fini Irpef, in relazione all'anno 2003 dai soci, CB ed AB, imputando loro, pro quota, ai sensi e per gli effetti dell'art. 6 del D.P.R. nr. 917 /86, i maggiori redditi accertati in capo alla società. Gli accertamenti predetti, impugnati per identici motivi, davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Genova, furono da questa rigettati, con tre distinte sentenze. Impugnate dette sentenze davanti alla Commissione Tributaria Regionale della Liguria, questa, riuniti i procedimenti, con sentenza depositata il 9 novembre 2012 validava gli accertamenti, salvo quello riguardante la società, nel quale riduceva la sanzione comminata a norma dell'art. 8, comma 1, del d.lgs. 471 del 1997. Per la cassazione di questa sentenza ricorrono, per due motivi, i contribuenti. Al ricorso resiste l'Agenzia delle Entrate con controricorso. Per la trattazione è stata fissata l'adunanza in camera di consiglio dell'Il ottobre 2019, ai sensi degli artt. 375, ult. co ., e 380 bis 1, c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge n. 168 del 2016.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo i ricorrenti deducono «violazione o falsa applicazione dell'art. 110, commi 10 e 11, del D.P.R. n. 917/1986 e dell'art. 1, commi 301, 302 e 303, della legge 296/2006, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. cív.», in quanto la Commissione Tributaria Regionale non avrebbe preso in considerazione la le nuove norme introdotte dalla legge 296 che, con effetto retroattivo, avrebbero attribuito alla mancata rappresentazione in dichiarazione dei costi sostenuti in paesi inseriti nella "black list" un effetto sanzionatorio in sostituzione della loro indeducibilità, prima stabilito dalla previgente formulazione dell'art. 110 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.
Secondo la sentenza impugnata, "la materia oggetto delle controversie è regolata dall'art. 110, commi 10 e 11 del TUIR secondo il quale non sono ammessi in deduzione le spese e le altre componenti negative derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti e imprese domiciliate fiscalmente in stati o territori non appartenenti all'UE e a regime fiscale privilegiato. Le deduzioni sono ammesse soltanto qualora le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgano prevalentemente ed effettivamente una attività commerciale o meglio che le relative operazioni rispondano ad un effettivo interesse economico e che le stesse siano state concretamente eseguite. Le deduzioni sono subordinate alla separata indicazione nel quadro RE della dichiarazione, dei corrispondenti importi dedotti. Tale indicazione costituisce quindi condizione autonoma e necessaria ai fini della deducibilità come precisato anche nella Risoluzione 46/E del 16 marzo 2004 della Agenzia delle Entrate che ha evidenziato come la norma sia finalizzata a contrastare comportamenti evasivi ed elusivi di tipo internazionale. Peraltro si sarebbe potuto consentire l'integrazione della dichiarazione con separata indicazione dei costi derivanti dalle operazioni con un paese black list prima dell'inizio delle operazioni di accertamento in rettifica ma anche a tale adempimento la E. s.a.s. non ha provveduto".
Il motivo è fondato. È consolidato l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale in tema di reddito d'impresa, all'esito delle modifiche retroattive introdotte dall'art. 1, commi 301, 302 e 303 della legge n. 296 del 2006 e prima di quelle di cui alla legge n. 208 del 2015, applicabili a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015, la separata indicazione nella dichiarazione annuale dei redditi delle spese e degli altri componenti negativi inerenti ad operazioni commerciali intercorse con fornitori aventi sede in Stati a fiscalità privilegiata (cd. paesi in "black list") è un mero obbligo formale, che non ne condiziona la deducibilità e la cui violazione espone il contribuente unicamente alla sanzione amministrativa ex art. 8, comma 3 bis, del d.lgs. n. 471 del 1997, da cumulare, per le sole violazioni anteriori all'entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, con la sanzione di cui al medesimo art. 8, comma 1, a ciò non ostando la presentazione della dichiarazione integrativa di cui all'art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998, ove operata dal contribuente dopo l'avvio dei controlli (Cass., n. 11933 del 2016; Cass., n. 21955 del 2015; cass., n. 20635 del 2015).
Non è parimenti discusso l'effetto retroattivo della disciplina introdotta dalla legge 296 (Cass., n. 27613 del 2018; cass., n. 20635 del 2015). Deve quindi escludersi che nel caso in esame potesse ancora applicarsi la normativa previgente alla legge 296 e che la mancata evidenziazione in dichiarazione del costo ne comportasse l'indeducibilità.
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono «violazione e falsa applicazione dell'art. 3 del d.lgs. n. 472/1997, dell'art. 10 della legge 212/2000 e dell'art. 53 Cost. in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.» in quanto la Commissione Tributaria Regionale, nel confermare le sentenze della Commissione Tributaria Provinciale di primo grado in ordine alla indeducibilità dei costi effettivamente) , sostenuti dalla E. s.a.s. "- non ha applicato i suddetti principi che regolano la successione nel tempo le norme tributarie sanzionatorie e, pertanto, ha disatteso la norma contenuta nell'art. 8, comma 3 bis, del d. lgs. n. 471/1997 (norma introdotta - dall'art. 1, comma 302, della legge n. 296/2006), a tenore della quale quando l'omissione o incompletezza riguarda l'indicazione delle spese e degli altri componenti negativi di cui all'articolo 110, comma 11, del Testo Unico delle imposte sui redditi, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, si applica una sanzione amministrativa pari al 10 per cento dell'importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non indicati nella dichiarazione dei redditi, con un minimo di Euro 50,00 ed un massimo di Euro 50.000".
Il motivo è infondato. Come già precisato da questa Corte (cass., 20635/2015; cass., 11933/2016), l'abrogazione del regime dell'indeducibilità dei costi non dichiarati ma effettivamente sostenuti nei paesi compresi nella cosiddetta "black list" e la sua sostituzione con un sistema sanzionatorio, ha effetto retroattivo, ferma restando l'applicazione della sanzione di cui all'articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 per le violazioni commesse prima dell'entrata in vigore del nuovo sistema sanzionatorio.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo, rigetta il secondo, cassa per quanto di ragione la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Liguria, in diversa composizione, affinché si conformi ai principi di diritto sopra esposti e statuisca anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità. Roma, 11 ottobre 2019
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