Massima: “Non costituiscono elementi sufficienti, ai fini della sussistenza del presupposto impositivo dell'autonoma organizzazione di un professionista, i costi dedotti dall'imponibile. Ciò nella considerazione che il valore assoluto dei compensi e dei costi, ed il loro reciproco rapporto percentuale, non costituiscono elementi utili per desumere il presupposto impositivo dell'autonoma organizzazione”.
Massima: “L'utilizzo da parte del contribuente di una percentuale di ricarico diversa da quella indicata negli studi di settore, in presenza di una contabilità regolarmente tenuta, non costituisce da sola una circostanza grave, precisa e concordante idonea a fondare un accertamento. Inoltre occorre valutare la situazione concreta in cui il contribuente opera, senza considerare solo l'indice di reddittività media del settore. Nel caso di specie, ad una società, con contabilità regolare, veniva notificato un avviso di accertamento ai fini IVA e delle imposte dirette con il quale si contestava l'omessa contabilizzazione di corrispettivi e l'illegittima detrazione di costi, e venivano ricalcolati i ricavi in base ad una percentuale di ricarico indicata negli studi di settore di categoria, con rideterminazione induttiva del reddito. In presenza di una regolarità contabile non è sufficiente per l'accertamento di un maggior reddito la sola applicazione da parte del contribuente di una percentuale di ricarico diversa da quella risultante dagli studi di settore in quanto quest'ultima non costituisce in ogni caso un fatto noto sul quale fondare poi la pretesa, ma solo un dato statistico inidoneo da solo ad integrare gli estremi di una prova anche solo presuntiva. Occorrono infatti altri elementi per contestare l'attendibilità della dichiarazione del contribuente, i quali devono consistere in circostanze gravi, precise e concordanti”.
Estratto: “spetta a colui che agisca in giudizio nei confronti del preteso erede per debiti del "de cuius", l'onere di provare, in applicazione del principio generale contenuto nell'art. 2697 c.c, "l'assunzione da parte del convenuto della qualità di erede, qualità che non può desumersi dalla mera chiamata all'eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all'accettazione dell'eredità”.
Estratto: “in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l'Amministrazione deve provare sia l'alterità soggettiva dell'imputazione delle operazioni, sia che il cessionario sapeva, o avrebbe dovuto sapere, che la cessione si inseriva in un'evasione Iva. La circostanza che l'operazione si inserisca in una fattispecie fraudolenta di evasione dell'Iva non comporta, infatti, ineludibilmente la perdita, per il cessionario, del diritto di detrazione, attesa l'esigenza di tutela della buona fede del soggetto passivo, il quale non può essere sanzionato, con il diniego del diritto di detrazione, se «non sapeva e non avrebbe potuto sapere che l'operazione interessata si collocava nell'ambito di un'evasione commessa dal fornitore o che un'altra operazione facente parte della catena delle cessioni, precedente o successiva a quella da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell'Iva”.
Estratto: “Il secondo motivo di ricorso, con il quale si prospetta la violazione dell'art.36 ter dPR n.600/73, in combinato disposto con l'art.7 I. n.212/2000 e dell'art.25 del dPR n.602/1973, è infondato. Ed invero, la CTR ha correttamente ritenuto viziato l'atto impugnato (cartella) che, nell'indicare le ragioni della pretesa attraverso il rinvio ad una comunicazione d'irregolarità, aveva fatto rinvio ad un atto non allegato e non comunicato previamente al contribuente, in tal modo pienamente uniformandosi all'indirizzo di questa Corte”.
Massima: “Non è possibile applicare da parte dell'Agenzia della Riscossione, gli interessi moratori sulle somme dovute a titolo di sanzioni, quando viene richiesta la rateizzazione fiscale. In altri termini, in caso di rateizzazione delle cartelle esattoriali, non si possono applicare gli interessi sulle sanzioni, ma solo sul capitale. Ai sensi dell'art. 19 del DPR n. 602/73, l'agente della riscossione, su richiesta del contribuente che dichiara di versare in temporanea situazione di obiettiva difficoltà, concede la ripartizione del pagamento delle somme iscritte a ruolo fino ad un massimo di settantadue rate mensili. Per debiti superiori a 60 mila euro, o quando le richieste di rateazione superino le 72 rate (è prevista quella a 120 rate) l'Agente della Riscossione valuta se davvero esistono le condizioni di temporanea ed obiettiva difficoltà sulla base della documentazione fiscale fornita dal richiedente. Secondo l'art. 21 del citato DPR, sulle somme il cui pagamento è stato rateizzato o sospeso ai sensi dell'articolo 19, comma 1, si applicano gli interessi al tasso del sei per cento annuo. Sennonché, l'art. 2 comma 3 del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997 n. 472 - che stabilisce che la somma irrogata a titolo di sanzione non produce interessi - trova applicazione anche nell'ipotesi di dilazione del pagamento, dove gli interessi di dilazione perseguono le medesime finalità proprie degli interessi comuni. L'art. 2 comma 3 del Decreto Legislativo 472/1997 deve considerarsi, difatti, norma "eccezionale" che prevale sulla regola generale "lex specialis derogat generali".
Estratto: "In tema di agevolazioni fiscali per l'acquisto della prima casa e con riguardo alla disciplina del D.L. n. 12 del 1985, art. 2, convertito nella L. 4 maggio 1985, n. 118 (applicabile "ratione temporis"), il requisito della residenza nel comune in cui è ubicato l'immobile deve essere riferito alla famiglia, con la conseguenza che, in caso di comunione legale tra coniugi, quel che rileva è che l'immobile acquistato sia destinato a residenza familiare, mentre non assume rilievo in contrario la circostanza che uno dei coniugi non abbia la residenza anagrafica in tale comune, e ciò in ogni ipotesi in cui il bene sia divenuto oggetto della comunione ai sensi dell'art. 177 c.c., quindi sia in caso di acquisto separato che in caso di acquisto congiunto del bene stesso".
Quarta parte della raccolta di rilevanti massime giurisprudenziali, tratte dal massimario delle Commissioni Tributarie operanti in Lombardia, relative al primo semestre del 2017.
Terza parte della raccolta di rilevanti massime giurisprudenziali, tratte dal massimario delle Commissioni Tributarie operanti in Lombardia, relative al primo semestre del 2017.
Seconda parte della raccolta di rilevanti massime giurisprudenziali, tratte dal massimario delle Commissioni Tributarie operanti in Lombardia, relative al primo semestre del 2017.
Prima parte della raccolta di rilevanti massime giurisprudenziali, tratte dal massimario delle Commissioni Tributarie operanti in Lombardia, relative al primo semestre del 2017.
Massima: “Il reato di omesso versamento delle ritenute, prima delle modifiche in vigore dal 22 ottobre 2015, non può essere provato soltanto con la dichiarazione del sostituto di imposta, essendo necessarie le certificazioni rilasciate ai percipienti. Prima del 2015, l'accusa per provare la colpevolezza del reato di omesso versamento delle ritenute, previsto dall'articolo 10 bis del Decreto legislativo n. 74/2000, si basava esclusivamente sui dati "autodichiarati" dal contribuente nel 770, ritenendo soddisfatto l'onere probatorio con la mera allegazione del modello all'interno del quale sono elencate le ritenute. Successivamente, il reato è stato collegato all'omesso versamento non delle ritenute indicate nel 770, ma di quelle risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti e quindi la prova dell'illecito veniva rappresentata dalle certificazioni e non dalla dichiarazione. Il Decreto legislativo n. 158/2015 ha modificato questa fattispecie penale, facendo dipendere il nuovo delitto dalle omissioni risultanti anche dalla dichiarazione, non essendo più necessaria la prova delle certificazioni ai sostituiti”.