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Percentuale di ricarico diversa da quella indicata dallo studio di settore non giustifica di per sé l’avviso di accertamento induttivo.

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Massima: “L'utilizzo da parte del contribuente di una percentuale di ricarico diversa da quella indicata negli studi di settore, in presenza di una contabilità regolarmente tenuta, non costituisce da sola una circostanza grave, precisa e concordante idonea a fondare un accertamento. Inoltre occorre valutare la situazione concreta in cui il contribuente opera, senza considerare solo l'indice di reddittività media del settore. Nel caso di specie, ad una società, con contabilità regolare, veniva notificato un avviso di accertamento ai fini IVA e delle imposte dirette con il quale si contestava l'omessa contabilizzazione di corrispettivi e l'illegittima detrazione di costi, e venivano ricalcolati i ricavi in base ad una percentuale di ricarico indicata negli studi di settore di categoria, con rideterminazione induttiva del reddito. In presenza di una regolarità contabile non è sufficiente per l'accertamento di un maggior reddito la sola applicazione da parte del contribuente di una percentuale di ricarico diversa da quella risultante dagli studi di settore in quanto quest'ultima non costituisce in ogni caso un fatto noto sul quale fondare poi la pretesa, ma solo un dato statistico inidoneo da solo ad integrare gli estremi di una prova anche solo presuntiva. Occorrono infatti altri elementi per contestare l'attendibilità della dichiarazione del contribuente, i quali devono consistere in circostanze gravi, precise e concordanti”.

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Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5

Ordinanza del 13/07/2018 n. 18627

Fatti di causa

La srl F. C. ed i soci C.A., C.P., nonchè D.L. D.M., D.A. e C.T.A., quali eredi di D'.Al., propongono ricorso per cassazione, con sei motivi, illustrati con successiva memoria, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia che, riuniti i giudizi, ne ha rigettato l'appello, confermando il fondamento della pretesa manifestata con gli avvisi di accertamento, ai fini dell'IRPEG, dell'IVA, dell'IRAP e dell'IRPEF per l'anno 2003, con i quali era stata contestata l'omessa contabilizzazione di corrispettivi, e l'illegittima detrazione di costi.

La CTR, con riguardo all'accertamento del reddito della società ha in particolare ritenuto che non rilevava che l'ufficio non avesse formulato alcuna formale contestazione sull'attendibilità delle scritture, ma avesse "presunto, alla stregua del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), nel contesto di accertamento induttivo fondato sulla disamina (analitica) di tali scritture, che sussistessero attività non dichiarate che necessariamente implicavano l'inattendibilità delle loro risultanze. La fondatezza dell'esito dell'accertamento non è determinata dalla mera inverosimiglianza che a ricavi di ben Euro 2.469.169 corrispondesse un utile di esercizio di soli Euro 938 - elemento ex se idoneo a determinare il sospetto di evasione -, ma dal procedimento analitico utilizzato per pervenire alla formulazione dell'argomentazione presuntiva, "qualificata" perchè grave e precisa (vds. da ultimo, Cass. 6.8.2009, n. 18020), ovvero le percentuali di ricarico concretamente applicate dall'azienda, emerse dal confronto fra i prezzi di acquisto e di vendita dei prodotti, raccolti in gruppi omogenei, prevalentemente commercializzati dall'impresa, e non già - di contro alle assolutamente assertive e contestate deduzioni degli atti d'appello - da studi o da medie di settore. In tale contesto probatorio, lungi dal dimostrare, in concreto, la infondatezza o la erroneità sotto il profilo del quantum del criterio presuntivo adottato, secondo onere pacificamente... a suo carico, gli appellanti si sono limitati a rappresentare la inutilizzabilità di astratti criteri determinativi, irriferibili al concreto modus operandi dell'ufficio accertatore".

L'Agenzia delle entrate ha depositato atto di costituzione al fine di ricevere l'avviso di fissazione dell'udienza di discussione della causa.

Ragioni della decisione

Occorre anzitutto rilevare che l'Agenzia delle entrate, in data 16 gennaio 2013, premesso che la Direzione provinciale di Lecce aveva comunicato che C.A., C.P. e D.A. avevano presentato domanda di definizione della controversia, ai sensi del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, (che richiama la L. n. 289 del 2002, art. 16), versando tutte le somme dovute, ha avanzato istanza di estinzione del giudizio nei loro confronti, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 8, allegando la comunicazione di regolarità.

Ritiene il Collegio che l'istanza vada accolta, dichiarando l'estinzione del giudizio nei confronti dei tre contribuenti.

Col primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e degli artt. 2727 e 2729, assume che li giudice di merito non potesse applicare, in presenza di scritture contabili regolarmente tenute, il metodo degli indici di ricarico senza tenere in alcuna considerazione la realtà storica in cui la società contribuente operava e le circostanze concrete addotte dalla ricorrente, "presunzioni semplici" di uguale natura di quelle utilizzate dall'ufficio accertatore.

Il motivo è fondato, per avere la sentenza impugnata riprodotta appena supra - desunto l'inattendibilità delle risultanze di una contabilità regolarmente tenuta sulla sola base di una verifica effettuata per campione di merci e su indici di redditività media del settore, non meglio specificati, senza alcun rifermento alla situazione concreta della società contribuente, che pure aveva rappresentato "la inutilizzabilità di astratti criteri determinativi".

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti, "in presenza di scritture contabili formalmente corrette, non è sufficiente, ai fini dell'accertamento di un maggior reddito d'impresa, il solo rilievo dell'applicazione da parte del contribuente di una percentuale di ricarico diversa da quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza - posto che le medie di settore non costituiscono un "fatto noto", storicamente provato, dal quale argomentare, con giudizio critico, quello ignoto da provare, ma soltanto il risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei, risultando quindi inidonee, di per sè stesse, ad integrare gli estremi di una prova per presunzioni -, ma occorre, invece, che risulti qualche elemento ulteriore - tra cui anche l'abnormità e l'irragionevolezza della difformità tra la percentuale di ricarico applicata dal contribuente e la media di settore - incidente sull'attendibilità complessiva della dichiarazione, ovverosia la concreta ricorrenza di circostanze gravi, precise e concordanti" (ex multis, Cass. n. 26388 del 2005, n. 27488 del 2013).

Col secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 40, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, assume che l'ufficio non potesse legittimamente determinare in maniera induttiva il reddito accertato sulla base di presunzioni semplici e senza cercare in concreto alcun riscontro probatorio del risultato così determinato: nell'avviso di accertamento vi sarebbe un espresso riferimento agli studi di settore per il 2003 e in seguito alla constatazione che dagli studi di settore SM21F applicati all'impresa risultava un indice di ricarico non coerente con quelli previsti nel modello GERICO, procedendosi così ad un ricalcolo del reddito di impresa con l'applicazione di percentuali di ricarico medie del settore.

Il motivo è fondato, ove si ritenga che l'accertamento è stato compiuto mediante al ricorso agli studi di settore.

Questa Corte ha infatti chiarito che "l'Amministrazione finanziaria non è legittimata a procedere all'accertamento induttivo, al di fuori delle ipotesi tipiche previste dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, allorchè si verifichi un mero scostamento non significativo tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi di settore di cui al D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 bis, conv. con modif. dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427, ma solo quando venga ravvisata una "grave incongruenza" secondo la previsione del successivo art. 62 sexies, trovando riscontro la persistenza di tale presupposto - nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva - anche dalla L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 10, comma 1, il quale, pur non contemplando espressamente il requisito della grave incongruenza, compie un rinvio recettizio al menzionato D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies: nella specie, la S.C., confermando la sentenza di merito, ha ritenuto non grave uno scostamento nella misura del sette percento dei ricavi dichiarati rispetto a quelli desumibili dai parametri previsti dagli studi di settore" (Cass. n. 20414 del 2014. Quanto all'ambito applicativo della disciplina, Cass. n. 26481 del 2014 ha in particolare precisato che "l'accertamento induttivo fondato sul mero divario, a prescindere dalla sua gravità, tra quanto dichiarato dal contribuente e quanto risultante dagli studi di settore è legittimo solo a decorrere dal 1 gennaio 2007, in base alla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 23, che non ha portata retroattiva, trattandosi di norma innovativa e non interpretativa, in quanto, con l'aggiunta di un inciso, ha soppresso il riferimento alle "gravi incongruenze", prima operato tramite il rinvio recettizio al D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 sexies, comma 3, convertito, con modificazioni, nella L. 29 ottobre 1993, n. 427").

Con il terzo motivo, denunciando violazione degli artt. 2722 e 2729 c.c., contestano la modalità, il metodo e la legittimità delle operazioni di determinazione della campionatura dei prodotti e delle conseguenti percentuali di ricarico.

Il motivo sembra assorbito dall'accoglimento delle due censure che precedono.

Con il quarto motivo, denunciando la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, e della L. n. 212 del 2000, art. 7, si duole della mancata allegazione del verbale di contestazione all'avviso di accertamento dei soci, che determinerebbe la nullità degli avvisi di accertamento impugnati; con il quinto motivo formula l'analoga censura sotto il profilo della insufficiente e contraddittoria motivazione.

I due motivi, da trattare congiuntamente in quanto legati, sono infondati, ove si consideri che nell'accertamento delle imposte sui redditi," l'obbligo di porre il contribuente in condizione di conoscere le ragioni dalle quali deriva la pretesa fiscale, sancito dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42,come modificato dal D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, art. 1, è soddisfatto dall'avviso di accertamento dei redditi del socio che rinvii "per relationem" a quello riguardante i redditi della società, ancorchè solo a quest'ultima notificato, in quanto, da un lato, l'obbligo di motivazione è assolto anche mediante il riferimento ad elementi di fatto offerti da atti nella conoscibilità del destinatario, e, dall'altro, il socio, ex art. 2261 c.c., ha il potere di consultare la documentazione relativa alla società e, quindi, di prendere visione dell'accertamento presupposto e dei suoi documenti giustificativi" (Cass. n. 5645 del 2014).

Si è poi più in generale chiarito che "la L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, che si riferisce solo agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza, consente di assolvere all'obbligo di motivazione degli atti tributari anche "per relationem", ovvero mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all'atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l'insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell'atto o del documento necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione permette al contribuente ed al giudice, in sede di eventuale sindacato giurisdizionale, di individuare i luoghi specifici dell'atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento" (Cass. n. 9323 del 2017).

Con l'ultimo motivo, denunciando insufficiente e contraddittoria motivazione, negano che la sentenza impugnata sia adeguatamente motivata nella parte in cui ha omesso di indicare il criterio mediante il quale operare, in applicazione di quanto disposto nella sentenza di primo grado, la rideterminazione dell'IVA, e chiedono a questa Corte che, "per l'effetto dichiari se sussistano validi presupposti per presumere maggiori ricavi in capo ai soci.

Il motivo sembra composto dalla somma di due distinte censure, che vanno entrambe disattese.

La prima, relativa alla rideterminazione e individuazione delle aliquote IVA, sembra non cogliere la ratio decidendi in proposito della sentenza d'appello, che ha dichiarato inammissibile la richiesta della società, formulata in udienza, di disporre "perizia" sulle aliquote IVA dei beni venduti, atteso che la società non aveva proposto alcun motivo di gravame nei confronti della decisione di primo grado di affidare all'ufficio la analitica determinazione delle aliquote. I soci, dal canto loro - prosegue la CTR - sul punto avevano domandato al giudice d'appello soltanto di "chiarire tale aspetto", senza dolersi specificamente della decisione di primo grado di affidare all'ufficio la analitica determinazione delle aliquote e senza rilevare che per i primi giudici la rideterminazione dell'aliquota IVA non produceva effetti sull'IRPEG societaria, e dunque anche sull'IRPEF dei soci.

"Pertanto, la richiesta difensiva, consequenziale rispetto alla doglianza non proposta, di disporre consulenza per tale determinazione è inammissibile".

La seconda censura chiede sia rivisto il principio più volte affermato da questa Corte in tema di presunzione di distribuzione ai soci di utili extra bilancio.

Si è in proposito anche di recente affermato che "nell'accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non essendo comunque a tal fine sufficiente la mera deduzione che l'esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili" (Cass. n. 27778 del 2017, n. 25468 del 2015, n. 15824 del 2016).

In conclusione, il primo ed il secondo motivo del ricorso devono essere accolti, l'esame del terzo si rivela assorbito dall'accoglimento dei primi due, il quarto, il quinto ed il sesto motivo devono essere rigettati, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Puglia in differente composizione.

P.Q.M.

La Corte dichiara estinto il giudizio nei confronti di C.A., C.P. e Ca.Al..

Accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso, assorbito il terzo, e rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche, per le spese alla Commissione tributaria regionale della Puglia in differente composizione.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2018

 

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