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Conciliazione non perfezionata. Il giudizio sull’avviso pende e quindi non era consentito all’Agenzia delle Entrate pretendeva l’eccedenza con cartella. Confermato l’annullamento della cartella di pagamento. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: “l'Amministrazione finanziaria non può essere costretta all'esecuzione di una conciliazione inesistente, né essere privata della sua legittima pretesa di far valere l'interesse ad una pronuncia del giudice di merito sul rapporto giuridico controverso (Cass. n. 9219 del 2011; Cass. n. 11722 del 2011; Cass. n. 25931 del 2011; Cass. n. 5593 del 2013; Cass. n. 14547 del 13/7/2015), ma neppure è ad essa consentita la iscrizione a ruolo e l'emissione di cartella di pagamento ai fini della riscossione dell'intero importo originariamente accertato, in difetto di una pronuncia definitiva nel merito sul ricorso avverso l'avviso di accertamento”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 31251 del 29 novembre 2019

Rilevato che:

La società M. s.r.l. impugnava la cartella di pagamento n. XXX - con la quale veniva richiesto il pagamento della somma di euro 256.826,62 a titolo di IRPEG, IRAP e I.V.A. - emessa dall'Agenzia delle Entrate per l'importo originariamente accertato, in ragione del mancato perfezionamento dell'accordo di conciliazione sull'avviso di accertamento raggiunto dalle parti nel giudizio di impugnazione proposto avverso l'atto impositivo prima dell'udienza di discussione, ma non adempiuto nei termini di legge previsti dall'art. 48 del d.lgs. n. 546 del 1992. In particolare, la contribuente, premettendo di avere ricevuto la notifica di avviso di accertamento in relazione all'anno 2003, avverso il quale aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, la quale aveva dichiarato estinto il giudizio per intervenuta conciliazione, deduceva di avere versato in data 10 luglio 2008 l'importo di euro 15.000,00 e in data 28 luglio 2008 l'importo di euro 114.550,16, eccedente di euro 442,42 la somma pattuita, ma che l'Ufficio, ritenendo che l'accordo conciliativo non si fosse perfezionato, a causa del mancato versamento delle somme nei termini previsti dall'art. 48 del d.lgs. n. 546/1992, aveva proceduto all'iscrizione a ruolo e alla emissione di cartella di pagamento ai fini della riscossione dell'intero importo originariamente preteso con l'atto impositivo. Eccepiva che, diversamente da quanto ritenuto dall'Amministrazione, la conciliazione giudiziale si era perfezionata, a nulla rilevando la circostanza che il pagamento fosse avvenuto oltre il termine di venti giorni dalla comunicazione della sentenza di estinzione del giudizio. I giudici di primo grado accoglievano il ricorso, annullando la cartella di pagamento, con sentenza che veniva impugnata dinanzi alla Commissione tributaria regionale, la quale confermava la sentenza di primo grado. Rilevava, in particolare, che all'Ufficio non era consentito di iscrivere a ruolo l'intero importo originariamente accertato, poiché il mancato perfezionamento dell'accordo conciliativo determinava la necessità di una pronuncia nel merito avverso l'avviso di accertamento, e che, nel caso di specie, i giudici di secondo grado, con sentenza del 20 gennaio 2011, rigettando l'appello della contribuente avverso la sentenza dichiarativa dell'estinzione del giudizio, avevano confermato la sentenza di primo grado, sicchè l'Amministrazione poteva pretendere la somma determinata nel verbale di conciliazione, avvalendosi di quel titolo esecutivo, ma non poteva pretendere l'intero importo originariamente accertato. L'Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della suddetta decisione, affidandosi a quattro motivi. La contribuente è rimasta intimata.

Considerato che:

1. Con il primo motivo di ricorso, la difesa erariale, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 48 del d.lgs. n. 546/1992, sostiene che la Commissione regionale, attribuendo efficacia estintiva ad una conciliazione che non si è mai perfezionata a causa del mancato versamento delle somme pattuite nei termini di legge, è incorsa nella denunciata violazione di legge.

2. Con il secondo motivo, censura la sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 46 e 48 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione al n. 4 dell'art. 360, primo comma, cod. proc. civ., evidenziando che i giudici di appello hanno errato laddove hanno attribuito alla sentenza dichiarativa di estinzione del giudizio efficacia estintiva dell'obbligazione tributaria portata dalla cartella di pagamento oggetto di impugnazione.

3. Con il terzo motivo, la ricorrente, deducendo, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 46 e 48 del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché dell'art. 324 cod. proc. civ., evidenzia che la decisione impugnata ha attribuito efficacia di giudicato alla sentenza dichiarativa della estinzione, avverso la quale pendeva ricorso per cassazione, nell'ambito del quale l'Ufficio aveva proposto ricorso incidentale.

4. Con il quarto motivo, rubricato «omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo e controverso, in relazione al n. 5 dell'art. 360, primo comma, cod. proc. civ.», l'Agenzia delle Entrate sottolinea che i giudici regionali, con la sentenza n. 24/31/2011 pronunciata all'esito dell'appello proposto dalla contribuente nel giudizio avente ad oggetto l'impugnazione dell'avviso di accertamento, avevano argomentato che non si era perfezionata alcuna conciliazione giudiziale proprio perché la società non vi aveva dato corretta attuazione, con la conseguenza che l'Ufficio non avrebbe potuto portare ad esecuzione una conciliazione inesistente, ma il contenuto di tale sentenza non era stato adeguatamente esaminato dalla sentenza impugnata in questa sede.

5. I motivi, essendo strettamente connessi, possono essere trattati congiuntamente e sono infondati.

5.1. Occorre rammentare che il terzo comma dell'invocato art. 48 del d.lgs. n. 546/1992 stabilisce: «Se la conciliazione ha luogo, viene redatto apposito processo verbale nel quale sono indicate le somme dovute a titolo d'imposta, di sanzioni e di interessi. Il processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute mediante versamento diretto in un'unica soluzione ovvero in forma rateale, in un massimo di otto rate trimestrali di pari importo, ovvero in un massimo di dodici rate trimestrali se le somme dovute superano i cento milioni di lire, previa prestazione di idonea garanzia secondo le modalità di cui all'art. 38-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. La conciliazione si perfeziona con il versamento, entro il termine di venti giorni dalla data di redazione del processo verbale, dell'intero importo dovuto ovvero della prima rata e con la prestazione della predetta garanzia sull'importo delle rate successive, comprensivo degli interessi al saggio legale calcolati con riferimento alla stessa data e per il periodo di rateazione di detto importo aumentato di un anno».

5.2. Si è precisato, in giurisprudenza, che la conciliazione giudiziale prevista dall'art. 48, sia nel testo originario che in quello risultante dalle modifiche apportate dall'art. 1, comma 419, della legge n. 311 del 2004, comporta l'estinzione della pretesa fiscale originaria, contestata dal contribuente, e la sua sostituzione con una certa e concordata; tuttavia l'effetto estintivo può verificarsi esclusivamente nel caso in cui la fattispecie conciliativa si sia perfezionata, secondo le modalità previste dall'art. 48 del d.lgs. n. 546/1992, poiché solo in tale ipotesi il verbale di conciliazione, data l'acquisita incontrovertibilità di quanto in esso consacrato, potrebbe costituire titolo per la riscossione (Cass. n. 20386 del 20/9/2006; Cass. n. 14300 del 19/6/2009).

5.3. Dunque, se in caso di mancato versamento delle somme residue pattuite l'accordo non si risolve e l'amministrazione può solo esigere il loro pagamento attraverso la procedura di riscossione coattiva, la stessa cosa non accade nel caso di mancato o ritardato versamento della prima rata e/o di omessa prestazione della garanzia, perché in questi casi la conciliazione «non» si perfeziona affatto (Cass. n. 9219/11 cit.).

5.4. Si è, peraltro, precisato che la conciliazione tributaria giudiziale non ha natura negoziale, ed in particolare non ha la natura di novazione, ma ha natura unitaria (perché comune a tutte le specie) di fattispecie a formazione progressiva e procedimentalizzata e caratterizzata dall'identità temporale della sua perfezione e della sua efficacia; di conseguenza, solo nel momento in cui la conciliazione raggiunge la perfezione si estingue il rapporto giuridico tributario sostanziale e, pendente una controversia giudiziale, si produce la cessazione della materia del contendere (Cass. 13 febbraio 2009, n. 3560).

5.5. La conciliazione rateale può, dunque, considerarsi perfezionata solo con il versamento, entro il termine di venti giorni dalla data di redazione del processo verbale, dell'importo della prima rata concordata previa prestazione di idonea garanzia; in caso di mancato adempimento dei predetti obblighi, non può, di conseguenza, verificarsi l'estinzione del processo tributario per cessazione della materia del contendere, ai sensi dell'art 46 del d.lgs. n. 546/1992 (Cass. 21 aprile 2011, n. 9219).

5.6. In ipotesi di mancato perfezionamento della fattispecie estintiva, la pronuncia che abbia comunque dichiarato l'estinzione del processo per cessazione della materia del contendere è appellabile dall'Ufficio, il quale non può essere costretto all'esecuzione di una conciliazione che è sostanzialmente inesistente e, in tal caso, il giudice di appello deve procedere all'esame nel merito del rapporto controverso, non potendo l'Amministrazione finanziaria essere privata della legittima pretesa di far valere il proprio interesse ad una pronuncia sulla pretesa originariamente azionata con l'avviso di accertamento (Cass. n. 3560 del 2009 cit.).

6. Nella fattispecie in esame, è pacifico che la conciliazione fosse stata raggiunta mediante pagamento rateale e che la prima rata non fosse stata pagata entro il termine di venti giorni, previa prestazione della necessaria garanzia, con la conseguenza che l'accordo conciliativo, come peraltro rilevato dalla Commissione regionale nel giudizio di appello promosso dal contribuente avverso l'avviso di accertamento, non si è mai perfezionata e non ha prodotto effetti estintivi del giudizio. Va, tuttavia, rilevato che il mancato perfezionamento dell'accordo, raggiunto in corso di causa, imponeva che la lite dovesse proseguire nello stato in cui si presentava al momento della sua sperata definizione consensuale, senza che l'Ufficio potesse mai iscrivere a ruolo le somme indicate nell'atto conciliativo, perché oramai tamquam non esset (Cass. n. 9219 del 2011 cit.). Infatti, sebbene l'appello proposto dalla contribuente avverso l'avviso di accertamento sia stato rigettato con la sentenza della C.T.R. n. 24/31/2011 e da tale pronuncia sia derivata una implicita conferma della sentenza dichiarativa dell'estinzione del processo, è anche vero che quella sentenza di appello non è passata in giudicato, in ragione della proposizione di ricorso per cassazione da parte della contribuente e di ricorso incidentale da parte dell'Agenzia delle Entrate, con i quali è stata chiesta la riforma della sentenza dichiarativa dell'estinzione del processo. Ciò comporta che l'Amministrazione finanziaria non può essere costretta all'esecuzione di una conciliazione inesistente, né essere privata della sua legittima pretesa di far valere l'interesse ad una pronuncia del giudice di merito sul rapporto giuridico controverso (Cass. n. 9219 del 2011; Cass. n. 11722 del 2011; Cass. n. 25931 del 2011; Cass. n. 5593 del 2013; Cass. n. 14547 del 13/7/2015), ma neppure è ad essa consentita la iscrizione a ruolo e l'emissione di cartella di pagamento ai fini della riscossione dell'intero importo originariamente accertato, in difetto di una pronuncia definitiva nel merito sul ricorso avverso l'avviso di accertamento.

7. In conclusione, il ricorso va rigettato. Nulla deve disporsi in merito alle spese di lite, in difetto di attività difensiva della società contribuente. Inoltre, nei casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, l'obbligo di versare, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Cass. ord. n. 1778 del 29/01/2016; Cass. Sez. U, n. 9938 del 8/5/2014).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso Così deciso in Roma nella camera di consiglio il 24 settembre 2019.

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