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Cassata la sentenza che confermava in parte l’avviso limitandosi a ridurre gli importi accertati. Non è ammissibile una riduzione equitativa che non si basa sulle prove. Accolto il ricorso della società contribuente. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: Il percorso argomentativo seguito dalla Commissione regionale non consente di verificare i criteri e le ragioni sulla base di quali essa sia stata indotta a ridurre i maggiori ricavi accertati nella misura del 40 per cento apoditticamente individuata, atteso che le conclusioni cui essa perviene non sono supportate dalla individuazione di elementi di determinazione del reddito fondati su specifiche prove, ma sono piuttosto volte a determinare il reddito sulla base di una valutazione di tipo equitativo, non consentita al giudice tributario che non ha poteri di equità sostitutiva, dovendo il giudizio estimativo essere motivato in rapporto al materiale istruttorio”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 31250 del 29 novembre 2019

Rilevato che:

Con ricorso alla Commissione tributaria provinciale, la D. s.r.l. impugnava l'avviso di accertamento - con il quale l'Agenzia delle Entrate aveva rilevato ricavi non contabilizzati, per l'anno d'imposta 2004, con conseguente recupero a tassazione di maggiori imposte IRPEG, IRAP e I.V.A. - deducendo l'illegittimità dell'accertamento che si fondava su un presunto andamento dei lavori costante nel corso dell'anno. La Commissione provinciale, rilevando che l'accertamento non era rispondente alla attività dell'impresa che dipendeva molto dalle condizioni climatiche - situazione che probabilmente giustificava una più intensa attività nel secondo semestre dell'anno comprensivo del periodo estivo - e non era, pertanto, fondato su elementi certi, accoglieva il ricorso. In esito all'appello interposto dall'Ufficio, la Commissione regionale della Campania, evidenziando che l'accertamento, in termini di motivazione, era legittimo perché consentiva alla contribuente di individuare l'iter logico-giuridico che aveva condotto l'Amministrazione finanziaria alla determinazione di un maggior reddito, riformava parzialmente la sentenza impugnata riducendo il maggior reddito accertato nella misura del 40 per cento, ritenendo non condivisibile la determinazione operata dall'Ufficio. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la D. s.r.I., sulla base di quattro motivi, cui resiste l'Agenzia delle Entrate depositando controricorso.

Considerato che:

1. Con il primo motivo la contribuente, deducendo omessa pronuncia su un motivo di gravame, in relazione all'art. 112 cod. proc. civ., lamenta che i giudici di secondo grado non hanno esaminato il motivo di appello rivolto alla sentenza di primo grado con il quale aveva eccepito l'illegittimità dell'accertamento effettuato in virtù dell'art. 39 in luogo dell'art. 40 del d.P.R. n. 600/1973.

1.1. La censura è infondata. Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un'espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l'impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass., Sez. 1- , ordinanza n. 24155 del 13/10/2017; Cass. n. 29191 del 6/12/2017; Cass. n. 20718 del 13/8/2018).

1.2. La Commissione regionale, accogliendo, seppure parzialmente, l'appello dell'Ufficio, previa riduzione del maggior reddito accertato con l'atto impositivo, ha implicitamente ritenuto legittimo l'accertamento induttivo effettuato ed infondata la doglianza della contribuente.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia nullità della sentenza in relazione all'art. 132 cod. proc. civ. ed all'art. 111 Cost. e vizio di motivazione e sostiene che la decisione dei giudici di appello di ridurre del 40 per cento il maggior imponibile risulta essere priva della esposizione dei motivi in diritto sui quali è basata, con conseguente violazione delle disposizioni normative richiamate in rubrica.

2.1. Occorre ricordare che il vizio di motivazione apparente della sentenza ricorre quando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost.), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di illustrare le ragioni e l'iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata.

2.2. Alla luce di tali principi la sanzione di nullità colpisce sia la sentenza che sia del tutto priva di motivazione dal punto di vista grafico o che presenta un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» o una motivazione «perplessa ed obiettivamente incomprensibile», sia quella che contiene una motivazione meramente apparente, ossia che dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta non sia tale da consentire di «comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l'iter logico seguito per pervenire da essa al risultato enunciato» (Cass. n. 4448 del 25/2/2014).

2.3. La motivazione è, quindi, solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, n. 22232 del 03/11/2016).

2.4. Ciò non ricorre nel caso in esame, laddove la Commissione regionale, sia pure con motivazione estremamente sintetica, ha ritenuto legittimo l'accertamento effettuato dall'Ufficio e sussistenti, seppure in misura ridotta rispetto a quelli accertati in sede di verifica, ricavi non contabilizzati. Trattasi di motivazione che esplicita le ragioni della decisione, per cui i profili di genericità ed apoditticità della motivazione, pure censurati con il mezzo in esame, non viziano tale motivazione in modo così radicale da renderla meramente apparente e da escludere l'idoneità della stessa ad assolvere alla funzione di cui all'art. 36 del d.lgs. n. 546/1992.

3. Con il terzo motivo la contribuente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 21 del d.P.R. n. 633/1972 in combinato disposto con l'art. 6 del medesimo decreto. Trascrivendo uno stralcio dell'avviso di accertamento (pag. 1) e delle deduzioni difensive fatte valere con il ricorso introduttivo, ribadisce che l'accertamento era fondato sull'erroneo presupposto che la fattura dovesse essere emessa al momento del XXX, in evidente contrasto con l'art. 21, quarto comma, del d.P.R. n. 633/1972, secondo cui «la fattura è emessa al momento di effettuazione dell'operazione determinata a norma dell'art. 6», che a sua volta dispone che «le prestazioni di servizi si considerano effettuate all'atto del pagamento del corrispettivo».

4. Con il quarto motivo - rubricato: violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.) con riferimento all'art. 39 d.P.R. n. 600/1973 e successive modificazioni e integrazioni - illegittimità dell'accertamento per mancanza dei presupposti di cui all'art. 39 del citato citato, nonché per mancanza dei requisiti della gravità, precisione e concordanza - la ricorrente, premettendo che le fatture dei lavori eseguiti vanno emesse in concomitanza con i pagamenti degli stessi, sostiene che l'accertamento non poggia su presunzioni connotate dai requisiti di gravità, precisione e concordanza, ma su mere presunzioni, atteso che l'Ufficio ha ritenuto inattendibile la contabilità sul presupposto che fosse lecito presumere che l'andamento dei lavori fosse stato almeno costante nel corso dell'anno, senza tenere conto che l'attività edile era fortemente condizionata dalle condizioni climatiche, e, a sostegno del ragionamento presuntivo, ha evidenziato nell'avviso di accertamento che, a fronte dell'incremento dei ricavi del secondo semestre, «non c'è stato un aumento dei costi per il personale...», non considerando che il personale risultava assunto a tempo indeterminato e non a cottimo. Ad avviso della ricorrente, pertanto, gli elementi sulla base dei quali l'Ufficio ha presunto che l'andamento dei lavori fosse costante nel corso dell'anno, non costituendo presunzioni gravi, precise e concordanti, violano il disposto di cui all'art. 2729 cod. civ. 5.

Il quarto motivo è fondato, con assorbimento del terzo motivo. 5.1. Dalla sentenza impugnata si evince che i giudici regionali hanno riconosciuto la legittimità dell'accertamento induttivo effettuato dall'Ufficio ai sensi dell'art. 39, secondo comma, del d.P.R. n. 600/1973 e l'esistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, che hanno condotto l'Ufficio ad accertare maggiori ricavi, ma hanno ritenuto non integralmente condivisibile il maggior reddito accertato in via induttiva, tanto che hanno proceduto ad un abbattimento dei ricavi.

5.2. Il percorso argomentativo seguito dalla Commissione regionale non consente di verificare i criteri e le ragioni sulla base di quali essa sia stata indotta a ridurre i maggiori ricavi accertati nella misura del 40 per cento apoditticamente individuata, atteso che le conclusioni cui essa perviene non sono supportate dalla individuazione di elementi di determinazione del reddito fondati su specifiche prove, ma sono piuttosto volte a determinare il reddito sulla base di una valutazione di tipo equitativo, non consentita al giudice tributario che non ha poteri di equità sostitutiva, dovendo il giudizio estimativo essere motivato in rapporto al materiale istruttorio (Cass. n. 11354 del 3/9/2001; n. 24520 del 21/11/2005; Cass. n. 4442 del 24/2/2010; Cass. n. 25707 del 21/12/2015; Cass. n. 7534 del 23/3/2018).

5.3. La sentenza gravata, forfettizzando la riduzione del maggior imponibile, in assenza della indicazione di validi riscontri probatori desunti da elementi fattuali certi, è, quindi, censurabile per violazione dell'art. 2729 cod. civ., tenuto conto della struttura logica della prova per presunzioni.

5.4. Come è stato chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 9961 del 28/4/2006, nella prova per presunzioni, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità (Cass. 5 luglio 1990, n. 1621; Cass. 30 gennaio 1990, n. 644; Cass. 16 novembre 1989, n. 4878): basta che l'inferenza tra il fatto noto e quello ignoto sia effettuata alla stregua di un canone di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di esperienza colte dal giudice per giungere all'espresso convincimento circa tale probabilità di sussistenza e la compatibilità del fatto supposto con quello accertato (Cass. 18 settembre 1991, n. 9717; Cass. 4 maggio 1985, n. 2790).

5.5. Ne consegue che «in tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione e concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. (e non già alla stregua del n. 5 dello stesso art. 360), competendo alla Corte di Cassazione, nell'esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell'art. 2729 cod. civ., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell'applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta» (Cass. 4 agosto 2017, n. 19485; Cass. 26 giugno 2008, n. 17535).

5.6. L'art. 2729 c.c. ammette solo le presunzioni che abbiano i connotati della gravità, precisione e concordanza, laddove: la «precisione» va riferita al fatto noto (indizio) che costituisce il punto di partenza dell'inferenza e postula che esso non sia vago, ma ben determinato nella sua realtà storica; la «gravità» va ricollegata al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto che, sulla base della regola d'esperienza adottata, è possibile desumere da quello noto; la «concordanza» richiede che il fatto ignoto sia, di regola, desunto da una pluralità di indizi gravi e precisi, univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza (Cass. n. 2482 del 29/01/2019).

5.7. Nella specie, il ragionamento presuntivo operato dalla Commissione regionale, la quale si è limitata a desumere minori ricavi rispetto a quelli contestati dall'Ufficio sulla base di una valutazione meramente equitativa, non supportata da alcun valido elemento indiziario connotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, risulta viziato.

6. La sentenza va, pertanto, cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, affinchè proceda a nuovo esame, nonché alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso, accoglie il quarto motivo e dichiara assorbito il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità Così deciso in Roma nella camera di consiglio il 24 settembre 2019.

 

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