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Commissione Tributaria Provinciale di Milano
Sentenza n. 2039/2017 – Sezione 7
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso notificato all'Agenzia Dir. Prov. II di Milano, la società ricorrente ha impugnato l'avviso di accertamento in oggetto indicato, riferito a maggiori imposte dovute per l'anno XXX a fini Ires, Iva e Irap, sul presupposto di un maggior valore della produzione Irap e maggior volume di affari Iva per euro XXX, accertato a seguito Studi di Settore.
Il ricorrente eccepisce la violazione dell'art. 39 dpr 600/73 per carenza di motivazione dell'avviso impugnato, in quanto fondato esclusivamente sulle presunzioni contenute negli studi di settore, senza alcun riferimento a parametri concreti e senza effettuare i dovuti controlli, come prescritto dalla citata norma. Al riguardo, l'Ufficio può rettificare la dichiarazione se l'incompletezza o la falsità degli elementi dichiarati risultano dall'ispezione della contabilità del contribuente, che nel caso di specie è risultata del tutto regolare.
L'Ufficio, infatti, a fronte della regolarità delle scritture richiama una inattendibilità delle stesse sul mero presupposto della antieconomicità, tenuto conto del solo dato riferito ai costi di produzione, che sarebbero eccessivi (totale costi produzione per euro 1.339.083,00 pari al 96,2% del totale del valore della produzione).
Ebbene questo dato può avere diverse causali, quali un trattamento economico dei dipendenti migliore o una politica commerciale più aggressiva. Con memoria successiva la parte rileva che la sola indicazione del dato dei costi non soddisfa i requisiti richiesti dalla giurisprudenza per ritenere legittimo l'accertamento condotto a mezzo studi di settore. Invero, l'Ufficio deve individuare le operazioni di cui contestare l'economicità; esplicitare gli indici di inattendibilità dei dati emergenti dalle annotazioni contabili apparentemente regolari; motivare adeguatamente le ragioni per le quali da tali indici discenderebbe l'anti-economicità delle operazioni in precedenza individuate. Solo a questo punto al contribuente corre l'obbligo di provare la regolarità delle operazioni contestate, mentre nel caso di specie l'Ufficio chiede al contribuente di provare l'infondatezza della propria tesi, sostenuta su mero sospetto. Si aggiunge che il bilancio X della società X chiudeva con un risultato positivo (22.016= euro al netto delle imposte); secondo i dati forniti dall'Ufficio, lo scostamento dei ricavi dichiarati rispetto a quelli accertati è pari a 6%. In presenza di tali dati, non può parlarsi di una condotta "palesemente antieconomica" nonché individuare il dato rivelatore di quella "abnorme irragionevolezza" che deve porsi a fondamento di un accertamento induttivo. Nella memoria, si contesta - altresì - la violazione del contraddittorio, che non risulterebbe attivato nel caso di specie, attraverso il semplice accesso di una dipendente per la consegna della documentazione. Inoltre, l'avviso non ha fornito alcuna adeguata motivazione ai rilievi esposti dalla parte in sede di chiarimenti. Chiede, quindi, che sia annullato l'atto impugnato, con vittoria di spese.
L'Agenzia delle Entrate di Milano, costituita in giudizio, ha impugnato e contestato le deduzioni della ricorrente, chiedendo il rigetto del ricorso con vittoria di spese. In primo luogo, l'Ufficio rileva la legittimità del metodo impiegato per l'accertamento del maggior ricavo imposto, che si fonda su una precisa presunzione di legge, a fronte della quale il contribuente ha l'onere di giustificare Io scostamento della propria posizione fiscale dalle risultanze dell'applicazione del relativo studio di settore. Trattandosi di inversione dell'onere della prova, il contribuente nel corso del contradditorio instaurato con l'Amministrazione non ha prodotto alcuna giustificazione o prova documentale a sostegno dello scostamento rilevato dai dati dichiarati sul valore delle spese per lavoro dipendente ed altre prestazioni rispetto al dato dello studio di settore applicato alla tipologia di impresa in esame. Di contro, dai dati di bilancio si riscontrava un totale costi di produzione per euro 1.339.083,00 pari al 96,2% del totale del valore della produzione e, secondo l'Ufficio, tale dato indica una condotta antieconomica. Il dato è rimasto incontestato anche all'esito del ricorso, non avendo il ricorrente giustificato l'esposizione di un numero di ore retribuite e di spese per lavoro dipendente inferiori a quanto constatato attraverso l'accesso ai documenti ed ispezione.
Rileva la Commissione che il ricorso proposto è fondato e va accolto. L'accertamento effettuato dall'Ufficio è di tipo analitico-deduttivo. In base all'art. 62 sexies, comma terzo, DL 331/1993, l'Amministrazione Finanziaria può esplicare l'azione accertatrice prevista dall'art. 39 dpr 600/73 in maniera alternativa: basandosi sull'applicazione degli studi di settore oppure sull'esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e condizioni dell'attività svolta. Nel caso del ricorso allo studio di settore, l'Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente.
Nel caso di specie, a fronte della regolarità non contestata delle scritture contabili della società ricorrente, l'Ufficio ha proceduto alla verifica della corrispondenza tra attività di appartenenza della società e quella dichiarata, quindi all'applicazione dello studio di settore studio UG94U, in base al quale ha riscontrato uno scostamento afferente le spese di lavoro dipendente.
In particolare, ha assunto come antieconomico il rapporto tra costi e valore della produzione, pari a 96,2%. Sulla base di questo unico dato, rettificato in base alle risultanze degli applicati studi di settore, l'Ufficio ha presunto i maggiori ricavi contestati e il maggior reddito imponibile.
Ad avviso della Commissione il procedimento applicato dall'Ufficio non rispetta i criteri di legge. Invero, la ritenuta antieconomicità è stata motivata dall'Ufficio con una presunzione di maggiori ricavi, in assenza di qualsiasi riscontro con altri elementi fattuali e contabili riferiti alla situazione della società in questione. In particolare, viene in rilevo la situazione di chiusura di bilancio, poiché una eventuale perdita sistemica potrebbe avvalorare la prospettazione di ricavi imponibili occultati. Nel caso di specie, la chiusura di bilancio della società all'anno X è in attivo e lo scostamento rilevato dall'Ufficio dei ricavi dichiarati (euro 1.386.478) rispetto a quelli maggiori accertati (euro 94.476) è pari a 6% circa. Si aggiunga che la società opera nel campo del doppiaggio e postproduzione audio, rivolta unicamente a clienti imprenditori (case di produzione, cinematografiche ecc.). Ebbene, a fronte di tali elementi fattuali, stigmatizzati già in sede di autotutela dalla società ricorrente, l'Ufficio si è limitato a richiamare la presunzione derivante dallo studio applicato e l'onere della prova incombente sul contribuente.
Siffatta impostazione dell'Ufficio non è corretta in punto di diritto. Infatti: "E' viziato da illegittimità avviso di accertamento fondato sul mero scostamento dei dati dichiarati dal contribuente rispetto a quelli relativi alla media del settore, senza che l’Amministrazione finanziaria suffraghi la pretesa con ulteriori elementi ed indizi idonei a dimostrarne l’inattendibilità, e senza che siano state prese in esame, nella motivazione dell’accertamento, le giustificazioni del contribuente, attese l’esigenza di un fattore di adeguamento personalizzato che tenga conto della probabilità di errore nella stima, come rilevato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 105 del 2003, e l’inidoneità della media di settore a costituire un fatto che di per sé solo integri la prova presuntiva di un effettivo maggior reddito o, comunque, determini l’inversione dell'onere della prova a carico del contribuente. "E' evidente, quindi, che il richiamo al solo scostamento tra costi e valore della produzione, al fine di presumere un maggior ricavo, è del tutto inadeguato a giustificare una antieconomicità della gestione d'impresa, soprattutto a fronte degli elementi fattuali sopra richiamati (chiusura in attivo, tipologia di attività d'impresa) che depongono in senso contrario. La contestazione dell'Ufficio, quindi, è carente di precisione e determinatezza, nella individuazione degli elementi a sostegno di presunte operazioni antieconomiche, che avvalorano la contestazione di maggiori ricavi e possono in tal caso giustificare la prevista inversione dell'onere probatorio.
La Commissione ritiene fondata, altresì, la censura mossa da parte ricorrente alla motivazione dell'atto, in quanto non rispetta il previsto ed obbligatorio contraddittorio preventivo. In tema di "accertamento standardizzato" mediante parametri o studi di settore, il contraddittorio con il contribuente costituisce elemento essenziale e imprescindibile del giusto procedimento che legittima l'azione amministrativa, proprio in considerazione del fatto che si fa riferimento ad una elaborazione statistica su specifici parametri, di per sé soggetta alle approssimazioni proprie dello strumento statistico, ed è necessario adeguarle alla realtà reddituale del singolo contribuente, potendo solo così emergere gli elementi idonei a commisurare la "presunzione" alla concreta realtà economica dell'impresa. "Ne consegue che la motivazione dell'atto di accertamento non può esaurirsi nel mero rilievo dello scostamento dai parametri, ma deve essere integrata (anche sotto il profilo probatorio) con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio, solo così emergendo la gravità, precisione e concordanza attribuibile alla presunzione basata sui suddetti parametri e la giustificabilità di un onere della prova contraria (ma senza alcuna limitazione di mezzi e di contenuto) a carico del contribuente". Nel caso di specie, il contraddittorio risulta solo apparentemente instaurato e svolto. Invero, l'Ufficio si è limitato a trasmettere alla società un questionario, nel quale si chiedevano alcuni dati contabili e "giustificazioni in ordine allo scostamento dallo studio di settore UG94U". Nell'avviso si legge: "Premesso che il controllo sui dati contabili non ha evidenziato particolari criticità, rimane tuttavia l'anomalia derivante dall'incongruità derivante dallo studio di settore UG94U, in riferimento al quale la parte, peraltro, non ha prodotto alcuna giustificazione o supporto documentale idoneo". A fronte della estrema genericità della contestazione, le giustificazioni addotte dalla parte - che ipotizzavano vari fattori a base dello scostamento indicato nello studio - sono state del tutto ignorate dall'Ufficio. Ritiene la Commissione che la considerazione delle circostanze del caso, segnatamente ad una situazione di assenza di perdite a bilancio, imponeva all'Ufficio la congrua motivazione della ritenuta sussistenza di ricavi extracontabili in capo alla società odierna ricorrente, tanto più che nessun elemento indiziario a conforto della presunzione ricavata dallo studio di settore è stato dedotto dall'Ufficio.
Alla luce dei principi richiamati, la motivazione dell'atto deve ritenersi lacunosa e carente quanto alla prova dell'effettività della percezione dei maggiori ricavi da parte della ricorrente, non essendo sufficiente - per le ragioni esposte - la mera presunzione richiamata dall'Ufficio. Per questi motivi, l'atto impugnato deve essere annullato con la condanna dell'Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese di lite in favore della parte ricorrente, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M. La Commissione accoglie il ricorso e per l'effetto annulla l'impugnato atto e condanna l'Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese di lite, che liquida in euro 3000,00 oltre accessori di legge e C.U.T.
Milano, 23.2.2017
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