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Comm. Trib. Reg. per la Toscana Sezione/Collegio 8
Sentenza del 12/06/2019 n. 968 -
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso presentato dall'Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Lucca, veniva interposto appello avverso la sentenza n. 722/04/15 della Commissione Tributaria Provinciale di Lucca, emessa in data 12.10.2015 e depositata in data 16/11/2015.
La controversia originaria aveva riguardo al mancato versamento di imposte dirette ed indirette relative all'anno 2009, per l'accertamento dei quali era stato emesso avviso di accertamento n. XXX nei confronti dell'impresa individuale T. In particolare, le riprese dell'Ufficio riguardavano le spese di sponsorizzazione sostenute dal contribuente e ritenute economicamente ingiustificate, nonché altri costi (quali spese per ristoranti, alberghi e mezzi di trasporto) ritenuti, del pari, indeducibili in quanto privi del requisito di inerenza. In particolare, i costi pubblicitari pari a 30.750,00 afferivano a gare sportive sponsorizzate con apposizione di piccolo logo dell'impresa contribuente su auto o imbarcazioni di corsa a favore della società M. srl per complessivi euro 30.000; nonché 750,00 per sponsorizzazione a favore della ASD V., per l'apposizione di un logo dell'impresa nei locali di XXX ove la associazione svolgeva la propria attività. Il volume complessivo di tali costi, a fronte di ricavi per euro 166.309,00, avrebbe reso evidente per l'Ufficio la mancata inerenza rispetto all'attività svolta (consulenza e installazione di impianti su imbarcazioni), attesa la scelta antieconomica e senza logica.
Secondo quanto emerge anche dalla narrativa della sentenza di primo grado, parte ricorrente aveva eccepito l'illegittimità dell'attività istruttoria svoltasi senza contraddittorio e pertanto in violazione del procedimento fiscale con conseguente nullità dell'atto stesso.
Riteneva, inoltre, che la verifica non preceduta dal verbale conclusivo della fase istruttoria fosse illegittima con specifico riferimento all'art. 12, comma 7, L. 212/00.
Nel merito, poi, il contribuente osservava che l'attività svolta riguardava "altre attività di consulenza tecnica commerciale e di coordinazione per l'installazione di impianti in genere nella nautica, nell'industria e nell'edilizia e, come secondaria (solo dopo il 31/12/2013) il montaggio di condotte per la distribuzione aria ed allaccio ai relativi macchinari, escluso macchinari elettrici ed idraulici nella nautica e nell'industria", mentre non era mai stato dichiarato, come ritenuto dall'Ufficio, che "l'attività di installazione di impianti su imbarcazioni". Il contribuente, poi, dimostrava che i costi sostenuti erano da considerarsi deducibili in quanto riconducibili all'ordinario esercizio dell'attività d'impresa, tenuto conto di quelle sostenute nell'anno rapportate al volume di affari conseguito. Riteneva, quindi, deducibili gli altri costi in quanto inerenti l'attività svolta. Chiedeva, infine, la sospensione dell'atto, concessa dai primi giudici nell'udienza del 16.07.2015.
L'Agenzia delle Entrate, per parte sua, deduceva: - di aver compiuto un corretto inquadramento dell'attività svolta dal contribuente e riteneva non sussistente un obbligo generalizzato di redazione di un processo verbale a chiusura di una indagine fiscale, né l'obbligo di emettere l'atto impositivo solo dopo 60 giorni dalla notifica del verbale stesso, in linea con quanto sostenuto dalla giurisprudenza di merito e di legittimità; - l'indeducibilità delle spese di sponsorizzazione per mancanza di inerenza di cui all'art. 109 del TUIR, non avendo il contribuente dimostrato, né in sede di istruttoria, né in sede di giudizio, l'eventuale incremento delle vendite o l'acquisizione di nuovi clienti;
- l'indeducibilità degli altri costi per mancanza di idonea documentazione a supporto e quindi la carenza dei requisiti richiesti dall'art. 109 del TUIR, - che l'onere della prova gravava sul contribuente, tenuto a dimostrare la legittimità delle deduzioni dei costi sostenuti.
I primi giudici accoglievano il ricorso condannando l'Ufficio al pagamento delle spese di giudizio oltre accessori di legge. La Commissione di primo grado riteneva: - che non era ravvisabile alcun obbligo da parte dell'Amministrazione Finanziaria di emanare un PVC, in quanto non si configurava la fattispecie prevista dall'art. 12 co. 7 L. 212/00; - che nel caso delle spese di sponsorizzazione, la scelta delle strategie d'impresa spettava all'imprenditore, che ne assumeva il rischio; solo quando elusiva di norme tributarie poteva essere messa in discussione, ma non nel caso di specie: - che le scelte pubblicitarie avevano la funzione di aumentare il volume di affari e la clientela, senza certezza dell'esito, anche se parte ricorrente aveva dimostrato un aumento di volume di affari e di clientela in termini economici; per gli altri costi, dalla documentazione prodotta era possibile desumere l'inerenza dei costi all'attività svolta dall'impresa, non trovando riscontro la presunta fatturazione di costi inesistenti e non riconducibili alla sfera propria dell'imprenditore nello svolgimento dell'attività aziendale.
L'Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale di Lucca proponeva appello, articolando i seguenti motivi di gravame.
1^ Motivo: erronea e/o falsa interpretazione ed applicazione dell'art. 109, c. 5, del D.P.R. 917/86, nonché dell'art. 2697 c.c., per erronea valutazione degli atti di causa.
Dall'esame della documentazione prodotta dal ricorrente era emerso che l'attività da questi svolta non poteva ricondursi semplicemente alla consulenza, come dichiarato nello studio di settore, ma risultava più ampia; infatti, il contribuente provvedeva ad acquistare il materiale relativo agli impianti di refrigerazione ed a curare la loro installazione sulle imbarcazioni, come dal primo confermato nel verbale del 15.04.2014.
Con riferimento alle spese di pubblicità, il contribuente aveva dedotto spese relative a n. 4 fatture, per complessivi Euro 30.750,00 emesse per sponsorizzazioni riferite all'apposizione di un piccolo logo dell'impresa del ricorrente su auto o imbarcazioni da corsa, nonché per l'apposizione di un logo nei locali dove l'associazione sportiva V. svolgeva la propria attività. Data la particolarità dell'attività svolta dal contribuente ed il ristretto numero di potenziali clienti operanti nella sua zona di interesse (il bacino di Viareggio) sembrava improbabile che i proprietari di una imbarcazione o di un cantiere navale di tale zona potessero scegliere di avvalersi della impresa del ricorrente per aver visto un piccolo logo apposto su un'auto da corsa o nei locali di una associazione di XXX.
Andava rilevata la mancanza di inerenza, poiché ai sensi dell'art. 109 c. 5 Tuir, "le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi". Il concetto di inerenza andava riferito alla complessiva attività svolta dall'impresa, rivolta al fine di produrre ricavi non immediatamente, ma nel futuro.
L'imprenditore che sosteneva spese di pubblicità mirava ad incrementare le vendite attraverso l'acquisizione di nuova clientela o l'aumento delle cessioni alla clientela preesistente. Tale intento poteva essere realizzato sia direttamente che indirettamente. Le spese di pubblicità erano caratterizzate dalla funzione di reclamizzare un prodotto o un servizio, instaurando un contatto con il pubblico dei consumatori, capace di condizionarne le abitudini di acquisto. In caso contrario sarebbe stato vanificato il fine promozionale, la "causa" stessa del contratto (Cass. 6502/2000). Ne conseguiva che anche nell'ipotesi di pubblicità, sia diretta che indiretta, andava comunque ricercato il legame logico tra l'attività dell'azienda pubblicizzata e la promozione dedotta, linea di confine tra le spese di pubblicità deducibili ed una mera erogazione liberale, come tale estranea all'attività d'impresa.
Spettava al contribuente provare l'inerenza di un costo specialmente nel caso di spese non strettamente necessarie e strumentali alla produzione del reddito.
Nel caso di specie, il contribuente non aveva dato dimostrazione dell'attitudine di un tale tipo di pubblicità a raggiungere i potenziali interlocutori interessati e condizionarne le abitudini di acquisto, né tale dimostrazione emergeva dalla sentenza dei primi giudici che si limitava ad affermare che il contribuente avrebbe dichiarato un aumento di volume di affari e di ulteriore clientela in termini economici in contrasto con quanto statuito dalla CTP di Firenze 969/06/2014 e della Corte di Cassazione n. 25100/2014 che indicavano per il requisito della inerenza la concretezza del messaggio pubblicitario.
Inoltre, per ritenere inerente e quindi deducibile un costo lo stesso doveva portare effettivi benefici a chi lo sosteneva. Era necessario allora dimostrare l'esistenza di un nesso (sia pure indiretto) tra quelle spese sopportate (e non spese qualsiasi) e l'incremento delle vendite (o l'acquisizione di nuovi clienti). Dalle stesse dichiarazioni del ricorrente si evinceva che non era stato in alcun modo provato che le spese dedotte avevano avuto un riscontro economico certo; era stato soltanto affermato ma non provato ad esempio che i nuovi contatti commerciali asseritamente acquisiti dal contribuente erano da attribuire agli investimenti in esame.
Sul criterio discretivo tra spese di rappresentanza e di pubblicità si richiamava la Corte di Cassazione 10914/2015, mentre le sentenze Cass. 27482/2014 e 14252/2014 avevano fissato un principio in ragione del quale le spese, intese genericamente come di sponsorizzazione, costituivano spese di rappresentanza ove il contribuente non provava che all'attività sponsorizzata era riconducibile una diretta aspettativa di ritorno commerciale.
Infine, veniva rilevato che, senza condizionarlo a fatti elusivi del contribuente, rientrava nei poteri dell'Amministrazione Finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nelle dichiarazioni fiscali e che i costi economicamente ingiustificati non potevano avere efficacia nei confronti del fisco per la parte che oltrepassava il normale valore di mercato; quindi era legittima la presunzione di non inerenza del costo sproporzionato, venendone meno la funzionalità dell'attività economica; concetto questo ribadito dalla Cassazione con Ordinanze 3243 - 3244 del 11/02/2013 e 9023 del 15/04/2013.
La sentenza della Cassazione 1839/2014 fissava il principio per ciò nel giudizio tributario, una volta contestato dall'Erario l'antieconomicità di una operazione posta in essere da un imprenditore commerciale, era onere del contribuente dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione ed il giudice tributario non poteva, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea.
Anche per gli altri costi non era stata fornita alcuna documentazione circa il nesso tra le spese e l'attività esercitata dal ricorrente.
Conclusivamente, parte appellante chiedeva la conferma dell'avviso di accertamento e la totale riforma della sentenza della CTP di Lucca, con condanna della parte appellata alla refusione delle spese di lite.
Il contribuente si costituiva in giudizio e presentava le controdeduzioni di seguito illustrate.
1^ controdeduzione: varie le riprove del ritorno commerciale, per quanto non richiesto ai fini della deducibilità delle spese: - aumento dei ricavi nel periodo 2009-2012 (i ricavi erano passati da 166.309 euro del 2009 a 311.76 euro del 2012, dopo essere rimasti stabili tra il 2010 ed i 2011); aumento di nuovi clienti e contratti commerciali, indicati in atto (V. s.p.a., A. B s.p.a., T., GB D. B. snc, C. N. C. Srl, aspetti peraltro non contestati dall'Ufficio, con conseguenze processuali ex art. 115 c.p.c.
2^ controdeduzione: inerenza allargata per le spese di sponsorizzazioni riconducibili all'impresa (C. n. 27198/14; C., 3340/13) e onere della prova a carico dell'A.F., in linea con il diritto alla libertà imprenditoriale, insindacabile salvo non vengano in rilievo condotte fraudolente; solo ove vi siano dubbi del collegamento delle spese rispetto alla produzione del reddito o della loro fisiologicamente riconducibilità alla sfera imprenditoriale l'onere si inverte sul contribuente; non praticabili ipotesi di impieghi di spese alternative ritenute più proficue quanto ad incremento della notorietà rispetto alle scelte, quantunque opinabili, assunte dall'imprenditore (art. 41 Cost., 1322 c.c.).
3^ controdeduzione: spese per sponsorizzazione affatto dispendiose e scarsamente efficaci, come si evinceva dalla crescita del fatturato nel 2012 (311.796 euro, con aumento dei clienti a livelli interregionali).
4^ controdeduzione: sulle altre spese difettava da parte dell'Ufficio la contestazione specifica dei documenti prodotti dal contribuente in primo grado (art. 115 c.p.c.), come nel caso dei costi per parcheggio, cialde di caffè (fattura intesta all'impresa contribuente), costi per ristorante (come da ricevute fiscali prodotte pe rimporto di oltre 5.000 euro) lavanderia e custodia beni (contratto di locazione), trasporti.
5^ controdeduzione: violazione del divieto di fishing expedition ex art. 12, comma 2, legge n. 212/00, tenuto conto della giurisprudenza della CEDU, del principio di proporzionalità.
6^ controdeduzione; mancata instaurazione del contraddittorio prima dell'emanazione dell'avviso di accertamento (con conseguente nullità di quest'ultimo) sulle ragioni in cui lo stesso si è incentrato (anti-economicità dei costi di sponsorizzazione e mancanza inerenze delle altre spese) in violazione degli artt. 111, 24 Cost., dei dicta della CGUE e della Cassazione, per ogni tipo di tributo.
7^ controdeduzione; mancata redazione di un PVC di chiusura della verifica, in violazione della normativa di settore, con termine dilatorio di 60 giorni per la presentazione delle osservazioni del contribuente.
8^ controdeduzione: mancata considerazione da parte dell'Ufficio della fatto che l'imprenditore svolgeva oltre all'attività di installazione di impianti su imbarcazione anche assistenza e consulenza professionale e tecnica a favore di imprese legate al mondo della nautica, come attestato da visura camerale.
9^ controdeduzione; deducibilità delle sponsorizzazioni (pari ad euro 750 per la A.s. V. P.) ai sensi dell'art. 90, comma 8, legge n. 289/2002.
Parte resistente, in conclusione, chiedeva il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza impugnata.
Parte appellata, ha prodotto ulteriori documenti, illustrato le proprie deduzioni con apposita memoria (con richiamo ai dicta della Cass. n. 450/2018) e chiesto la discussione in pubblica udienza
MOTIVI DELLA DECISIONE
L'appello principale è infondato e merita il rigetto.
In diritto.
Ai sensi dell'art. 109, comma 5, TUIR «Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi. Se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili e ad attività o beni produttivi di proventi non computabili in quanto esenti nella determinazione del reddito sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l'ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d'impresa o che non vi concorrono in quanto esclusi e l'ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi. Le plusvalenze di cui all' articolo 87 , non rilevano ai fini dell'applicazione del periodo precedente. Fermo restando quanto previsto dai periodi precedenti, le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti e bevande, diverse da quelle di cui al comma 3 dell'articolo 95 , sono deducibili nella misura del 75 per cento».
In tema di determinazione del reddito d'impresa, l'inerenza delle singole spese e dei costi affrontati, indispensabile per ottenerne la deduzione ai sensi dell'art. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986 (già art. 75), va definita come una relazione tra due concetti (la spesa, o il costo, e l'impresa), sicché il costo o la spesa assume rilevanza ai fini della qualificazione della base imponibile non tanto per la sua esplicita e diretta connessione ad una precisa componente di reddito, bensì in virtù di una sua correlazione con una attività potenzialmente idonea a produrre utili (Cass., Sez. 5, n. 30030 del 21/11/2018, Rv. 651424 - 01; Id., ord. n. 20049 del 2017; Id. n. 16826 del 2007). In tema di deducibilità dei costi, l'inerenza, deve essere riferita dunque all'oggetto sociale dell'impresa (Sez. 5 n. 13588 del 30/05/2018) e il principio dell'inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d'impresa (e non dall'art. 75, comma 5 del d.P.R. n. 917 del 1986, ora art. 109, comma 5, del medesimo d.P.R., riguardante il diverso principio della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili) esprimendo la necessità di riferire i costi sostenuti all'esercizio dell'attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa. A tal fine non si deve compiere alcuna valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta) della spesa, in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico e non assumendo rilevanza la congruità delle spese, perché il giudizio sull'inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 450 del 11/01/2018).
L'inerenza non integra un nesso di tipo utilitaristico tra costo e ricavo, bensì una correlazione tra costo ed attività di impresa, anche solo potenzialmente capace di produrre reddito imponibile, ma - a differenza di quanto avviene ai fini della detrazione dell'IVA, rispetto alla quale il concetto ha valenza esclusivamente qualitativa - nelle imposte dirette l'antieconomicità di una spesa, ossia la sproporzione sul piano quantitativo, può costituire significativo sintomo della non inerenza della stessa (Cass., Sez. 5 n. 13588 del 30/05/2018).
Infatti, l'inerenza deve essere apprezzata attraverso un giudizio qualitativo, scevro dai riferimenti ai concetti di utilità o vantaggio, afferenti ad un giudizio quantitativo, e deve essere distinta anche dalla nozione di congruità del costo, anche se l'antieconomicità e l'incongruità della spesa possono essere indici rivelatori del difetto di inerenza (Cass. Sez. 5, n. 27786 del 31/10/2018; Id, n. 22938 del 26/09/2018). Sotto quest'ultimo profilo, l'Amministrazione finanziaria, nel negare l'inerenza di un costo per mancanza, insufficienza od inadeguatezza degli elementi dedotti dal contribuente ovvero a fronte di circostanze di fatto tali da inficiarne la validità o la rilevanza, può contestare l'incongruità e l'antieconomicità della spesa, che assumono rilievo, sul piano probatorio, come indici sintomatici della carenza di inerenza, pur non identificandosi in essa; in tal caso è onere del contribuente dimostrare la regolarità delle operazioni in relazione allo svolgimento dell'attività d'impresa ed alle scelte imprenditoriali (Cass. Sez. 5 n. 18904 del 17/07/2018).
L'inerenza, dunque, esprime la riferibilità dei medesimi all'attività d'impresa ed implica, al contempo, quella di congruità, sicché deve escludersi la deducibilità dei costi sproporzionati, incongrui o eccessivi, -in quanto l'antieconomicità degli stessi è indice della mancanza di inerenza, risultando i medesimi contrari alle regole di corretta gestione dell'impresa (Cass. Sez. 5, n. 14579 del 06/06/2018).
In fatto.
Nel caso di specie non è dubbia la realtà delle spese oggetto di causa, né è controverso che esse siano correlabili con l'attività di impresa potenzialmente idonea a produrre utili.
In tal senso, è proprio l'Ufficio che rimarca come l'attività di impresa del contribuente sia più ampia di quella dichiarata: non solo consulenza ma anche installazione di impianti di refrigerazione.
Come sopra chiarito, i costi o le spese rilevano per la qualificazione della base imponibile in virtù di una loro correlazione con un'attività potenzialmente idonea a produrre utili. L'inerenza dei costi, dunque, deve essere riferita all'oggetto sociale dell'impresa ovvero all'esercizio dell'attività imprenditoriale. Non si deve compiere alcuna valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta) della spesa, in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico e non assume rilevanza - salvo quanto si preciserà subito dappresso - la congruità delle spese, perché il giudizio sull'inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 450 del 11/01/2018).
L'inerenza non integra un nesso di tipo utilitaristico tra costo e ricavo, bensì una correlazione tra costo ed attività di impresa, anche solo potenzialmente capace di produrre reddito imponibile. L'inerenza deve essere apprezzata, dunque, attraverso un giudizio qualitativo, scevro dai riferimenti ai concetti di utilità o vantaggio, afferenti ad un giudizio quantitativo, e deve essere distinta anche dalla nozione di congruità del costo, anche se l'antieconomicità e l'incongruità della spesa possono essere indici rivelatori del difetto di inerenza.
Nelle imposte dirette l'antieconomicità di una spesa, ossia la sproporzione sul piano quantitativo, può costituire significativo sintomo della non inerenza della stessa; di certo l'Amministrazione finanziaria può contestare l'incongruità e l'antieconomicità della spesa, adducendole come indici sintomatici della carenza di inerenza, pur non identificandosi in essa; solo in tal caso è onere del contribuente dimostrare la regolarità delle operazioni in relazione allo svolgimento dell'attività d'impresa ed alle scelte imprenditoriali (Cass. Sez. 5 n. 18904 del 17/07/2018). Si potrebbe anche rilevare che l'inerenza, dunque, esprime la riferibilità dei medesimi all'attività d'impresa ed implica, al contempo, quella di congruità, sicché deve escludersi la deducibilità dei costi sproporzionati, incongrui o eccessivi, in quanto l'antieconomicità degli stessi è indice della mancanza di inerenza, risultando i medesimi contrari alle regole di corretta gestione dell'impresa (Cass. Sez. 5, n. 14579 del 06/06/2018).
In proposito, occorre rimarcare che l'antieconomicità presuppone l'assoluta contrarietà di un comportamento del contribuente ai canoni dell'economia (tra le altre, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6918 del 20/03/2013, Rv. 625848 - 01); solo in tale caso, infatti, il dato contabile può dirsi confliggente con il criterio di ragionevolezza ed incombe sul medesimo contribuente l'onere di fornire, al riguardo, le necessarie spiegazioni.
L'Ufficio ha mostrato di dubitare dell'inerenza delle spese di sponsorizzazione, assumendo che esse sarebbero del tutto incongrue e prive dell'attitudine di raggiungere i potenziali interlocutori interessati e condizionarne le abitudini di acquisto.
Quest'ultimo profilo, come visto, introduce un indebito giudizio di utilità della spesa e potrebbe rilevare solo quale argomento ad adiuvandum ove risulti dimostrata una condizione di incongruità della spesa. Sennonché l'amministrazione finanziaria non ha addotto e men che meno ha dimostrato l'esistenza di elementi di incongruità e antieconomicità delle spese ritenute indeducibili, introducendo, sul piano probatorio, indici sintomatici della carenza di inerenza, pur se distinti da essa. Solo in presenza di detti elementi il contribuente poteva considerarsi onerato di dimostrare la regolarità delle operazioni in relazione allo svolgimento dell'attività d'impresa ed alle scelte imprenditoriali.
Il sostenimento di spese con funzione pubblicitaria o promozionale per euro 30.750 è certo di importo consistente rispetto ad un fatturato di circa 160.000 euro (quasi il 20%) ma non segnala valori abnormi e comunque assolutamente contrari ai canoni dell'economia.
Tali argomentazioni sono a maggior ragione riproponibili per le altre spese di minor importo di cui l'Ufficio contesta l'indebita deduzione disconoscendone il nesso con l'attività esercitata; nesso che posta la tipologia delle spese, il loro importo modesto e la tipologia di attività appare ricorrente a conforto della realtà dell'inerenza. Onde quelle dell'Ufficio integrano perplessità ma non elementi tali da giustificare una ripresa a tassazione dei costi sostenuti.
Il rigetto del motivo dell'appello principale esonera dalla considerazione partita delle ulteriori doglianze procedurali del contribuente, in ogni caso dovendosi sul punto richiamare e confermare le ragioni delle statuizioni del primo giudice.
In merito alle spese, l'Ufficio, quale parte soccombente, deve essere condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate forfettariamente in 1.000 euro a titolo di onorari, diritti, spese generali ed esborsi sostenuti, oltre al contributo previdenziale e l'imposta sul valore aggiunto, se dovuti.
P.Q.M.
Rigetta l'appello e condanna l'Ufficio al pagamento delle spese del giudizio liquidate in 1.000 euro, oltre IVA e CAP. Firenze, 10/06/2019
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