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Corte di Cassazione, Sez. 6
Ordinanza n. 19769 del 23 luglio 2019
Rilevato che:
Con atto registrato in data 17 aprile 2012 S. vendeva alla I. s.r.l. e alla F. s.r.I., per la quota di un terzo ciascuna, i diritti di proprietà di due fabbricati, costituenti un unico complesso in costruzione. Le società acquirenti e il venditore convenivano di completare la realizzazione dei predetti immobili mediante la realizzazione di dodici abitazioni; dichiaravano nell'atto il valore di euro 150.000,00 per ciascuna delle due cessioni, così per complessivi euro 300.000,00. L'Agenzia delle entrate rettificava, ai sensi degli artt. 51 e 52 d.P.R. n. 131/1986, il valore dichiarato in euro 350.000,00 per ciascuna cessione, per complessivi euro 700.000,00. I ricorsi proposti da S., dalla I. s.r.l. e dalla F. s.r.l. contro l'avviso di rettifica e liquidazione per il recupero delle maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale venivano respinti dalla Commissione tributaria provinciale di Roma. Con sentenza in data 11 gennaio 2018 la Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva l'appello proposto dalla F. s.r.l. avverso la decisione di primo grado. Osservava la CTR che l'atto impositivo era basato su presunzioni astratte, avendo l'Agenzia delle entrate preso in considerazione il valore dei cespiti una volta realizzate le unità immobiliari rispetto al rustico venduto, facendo riferimento ai valori minimi e massimi OMI e tenendo conto di due proposte di vendita e di due contratti di compravendita; l'Ufficio aveva poi considerato la costruzione al 40% del finito e l'incidenza delle superfici ad uso residenziale nella misura del 30%, ottenendo così il valore finale tassabile. Rilevava, in particolare, che l'Amministrazione finanziaria non aveva tenuto conto che «gli scheletri degli edifici» erano stati realizzati immediatamente dopo il rilascio della concessione edilizia nel 1990, rimanendo tali sino al 2012, data di stipula del contratto di compravendita; pertanto, siffatta struttura, deteriorata dal tempo e dagli agenti atmosferici, necessitava di un profondo restauro per la realizzazione delle unità immobiliari. Riteneva maggiormente attendibili, ai fini della determinazione dell'imposta, i valori indicati nella perizia giurata prodotta dalla contribuente riferiti alla struttura nella sua originaria consistenza, anziché l'immotivato abbattimento (40%) dei valori per i costi di costruzione operato dall'Ufficio. Avverso la suddetta sentenza, con atto dell'Il luglio 2018, l'Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo. Resiste con controricorso la società contribuente. Sulla proposta del relatore ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale. La società contribuente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con l'unico motivo dedotto la ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell'art. 51 d.P.R. n. 131/1986, nonché degli artt. 2697 e 2729 cod. civ. Censura la sentenza impugnata per avere fondato la decisione su una metodologia priva di concreti riscontri probatori, richiamando le risultanze di una perizia giurata che non comprovava i costi realmente sostenuti. Il ricorso è infondato.
La CTR ha, nella sostanza, ritenuto che il criterio fondato sull'applicazione del metodo sintetico-comparativo adottato dall'Agenzia delle entrate, pur in astratto riconducibile al parametro normativo dell'art. 51, comma 3, d.P.R. n. 131/1986, non fosse idoneo ad addivenire ad una corretta stima del valore dei cespiti immobiliari, in considerazione della peculiarità della fattispecie, caratterizzata dalla presenza di costruzioni definite «scheletri» di edifici e dalla circostanza del lungo tempo trascorso dalla realizzazione degli stessi e la vendita, evidenziando, nel contempo, come le percentuali determinate dall'Ufficio del 30% quale incidenza del prezzo delle superfici e del 40% per il costo di costruzione non fossero ancorate ad alcun concreto parametro di riferimento. Consequenzialmente, i giudici di appello hanno correttamente rilevato come i criteri addottati dall'Amministrazione ai fini dell'emissione dell'atto impositivo si palesassero astratti, in quanto tali inidonei a sorreggere il maggior valore accertato. Le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata non si pongono in contrasto con i criteri di stima di cui citato art. 51, comma 3, d.P.R. n. 131/1986, il quale è volto a far sì che la stima degli immobili sia quanto più possibile conforme - sulla scorta di elementi di valutazione non già apodittici, bensì concreti ed obiettivi - al loro effettivo valore venale. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Così deciso in Roma il 17 aprile 2019.
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