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Corte di Cassazione, Sez. 5
Sentenza n. 20341 del 26 luglio 2019
FATTI DI CAUSA
I contribuenti AM, GM e LM ricorrono, con due motivi, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che, previa riunione dei ricorsi, accogliendo l'appello dell'Ufficio, ha riformato le sentenze di primo grado delle Commissioni tributarie provinciali di Milano e di Varese, con le quali erano stati accolti i ricorsi dagli stessi proposti avverso gli avvisi di accertamento con i quali l'Agenzia delle Entrate aveva contestato, in relazione all'anno d'imposta 2002, una condotta elusiva ex art. 37-bis del d.P.R. n. 600/1973. In particolare, i giudici di appello, ritenuti ammissibili i ricorsi, hanno rilevato, nel merito, che i contribuenti, soci della i. s.r.l. (I.), in un breve arco di tempo, hanno dapprima rivalutato l'unico immobile iscritto in bilancio (da euro 159.891,00 ad euro 1.617.036,00) - operazione realizzata a norma di legge - e in un secondo tempo hanno effettuato la cessione delle quote a società del gruppo M.; «considerato che la rivalutazione corrisponde al valore di cessione dell'immobile», hanno ritenuto che fosse facile dedurre che, prima del contratto di cessione, i soci della I. fossero a conoscenza delle operazioni evasive che le società del gruppo M. avrebbero avuto intenzione di compiere e, di conseguenza, che la rivalutazione e la successiva vendita delle quote sociali avessero come unico scopo quello di eludere il fisco. L'Agenzia delle Entrate resiste con controricorso. I contribuenti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
MOTIVI DELLA DIECISIONE
1. Con il primo motivo, deducendo violazione o falsa applicazione dell'art. 112 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti con riguardo all'asserita natura elusiva dell'operazione, i ricorrenti lamentano che la Commissione regionale non ha esattamente individuato la fattispecie contestata dall'Amministrazione e ha fondato la decisione su un presupposto di fatto - cessione dell'immobile iscritto in bilancio - frutto di errore interpretativo, omettendo di valutare il fatto decisivo, ossia la omessa tassazione di utili da liquidazione ex art. 44 del t.u.i.r. Premettendo che negli atti impositivi l'Agenzia delle Entrate ha contestato che attraverso le operazioni di rivalutazione e cessione delle partecipazioni societarie e le operazioni successivamente messe in atto nell'ambito del gruppo M. era stato conseguito il risultato di liquidare la società I. s.r.I., sostengono che la motivazione della sentenza non corrisponde all'oggetto della domanda di appello, con conseguente violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., e risulta illogica ed incongrua perché fondata su presupposti di fatto errati, considerato che non risponde al vero che la rivalutazione abbia riguardato «l'immobile iscritto in bilancio», essendo pacifico che essa ha invece riguardato esclusivamente le partecipazioni societarie possedute nella I. e non rispondendo al vero che la rivalutazione corrisponde al valore di cessione dell'immobile. Ad avviso dei ricorrenti, i giudici di appello neppure hanno indicato in sentenza quali siano gli elementi sulla base dei quali hanno ritenuto dimostrata la «pretesa conoscenza» delle operazioni evasive che le società del gruppo M. avrebbero avuto intenzione di compiere successivamente all'acquisto della totalità delle quote dell'I. s.r.I., dato che agli atti non emerge prova della pretesa partecipazione dei contribuenti al «disegno evasivo» che sarebbe stato posto in essere dal gruppo M.
2. Con il secondo motivo, deducono violazione e falsa applicazione dell'art. 37-bis del d.P.R. n. 600/1973, nonché degli artt. 38, comma 3, 41 del d.P.R. 600/1973 e 2697 cod. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 23, 41, 53 e 97 della Costituzione e dell'art. 10 della legge n. 212/2000, oltre che omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. Evidenziano, al riguardo, che affinché la presunzione di elusività possa operare non è sufficiente che vengano poste in essere una o più operazioni potenzialmente elusive ricomprese nell'elenco di cui all'art. 37-bis del d.P.R. n. 600/73, ma è necessario che si verifichino determinate condizioni, e precisamente che siano assenti valide ragioni economiche, che vi sia l'aggiramento di obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario, oltre che l'ottenimento di riduzioni o rimborsi di imposte, altrimenti indebiti; secondo la prospettazione difensiva dei ricorrenti, la prova del disegno elusivo, incombente sull'Amministrazione, non è mai stata fornita, né è stata fornita prova del «disegno comune» tra i contribuenti ed il Gruppo M., tanto che non è mai stato prodotto in giudizio il rapporto redatto dalla Guardia di Finanza nell'ambito dell'indagine penale a carico del gruppo M. Contestano, quindi, alla Commissione regionale di essere partita da un fatto noto assolutamente errato (e cioè che la rivalutazione effettuata ai sensi dell'art. 2 del d.l. n. 282/2002 «corrisponde al valore di cessione dell'immobile») per arrivare a dedurre, in forza di meri indizi privi dei requisiti di cui all'art. 38 del d.P.R. n. 600/1973, che vi sia stata una compartecipazione dei soci della I. alla realizzazione del comune disegno elusivo richiesto dall'art. 37-bis del d.P.R. n. 600/1973, senza valutare l'operazione di cessione delle partecipazioni e, quindi, senza pronunciarsi circa l'esistenza, nella fattispecie, di tutte le condizioni previste dal citato art. 37-bis d.P.R. 600/73.
3. Il primo motivo è fondato, con assorbimento del secondo motivo.
3.1. Le doglianze formulate con il mezzo in esame non sono volte a denunciare un errore di fatto, consistente nell'inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, che, come tale, costituisce motivo di revocazione ai sensi dell'art. 395 n. 4 cod. proc. civ., perché tale vizio presuppone che esso non tocchi «un punto controverso» (Cass. Sez. U, n. 8984 del 11 aprile 2018). Come è stato chiarito dalle Sezioni Unite da ultimo citate, «La giurisprudenza di legittimità ha perimetrato l'errore di fatto, tracciandone, in primo luogo, il confine rispetto alla violazione o falsa applicazione di norme di diritto sostanziali o processuali, laddove l'errore di fatto riguarda solo l'erronea presupposizione dell'esistenza o dell'inesistenza di fatti considerati nella loro dimensione storica di spazio e di tempo, non potendosi far rientrare nella previsione il vizio che, nascendo ad esempio da una falsa percezione di norme che contempli la rilevanza giuridica di quegli stessi fatti e integri gli estremi dell'error iuris, sia che attenga ad obliterazione delle norme medesime, riconducibile all'ipotesi della falsa applicazione, sia che si concreti nella distorsione della loro effettiva portata, riconducibile all'ipotesi della violazione...". Resta, infatti, esclusa dall'area del vizio revocatorio la sindacabilità di errori formatisi sulla base di una errata valutazione o interpretazione di atti, fatti, documenti e risultanze processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico, poiché tale tipo di errore, se fondato, costituisce un errore di giudizio e non un errore di fatto (Cass. Sez. U, n. 30994 del 2017).
3.2. I ricorrenti, in realtà, sollecitano il sindacato di legittimità sul percorso giustificativo della decisione di appello che mira alla verifica che la relativa motivazione sia effettiva, e, quindi, non incompatibile con gli atti del processo, sì da rendere disarticolato il ragionamento e da rendere intrinsecamente incoerenti alcuni passaggi motivazionali. Con le censure dedotte si denuncia, quindi, un vizio di motivazione fondato sul travisamento della domanda e della prova che implica, non una valutazione dei fatti, ma un accertamento che le informazioni probatorie, utilizzate in sentenza, non siano contraddette da specifici atti processuali e, quindi, che non sussista un evidente contrasto tra le risultanze istruttorie e l'apprezzamento giudiziale.
3.3. Questa Corte ha avuto modo di chiarire (Cass. n. 10749 del 25/5/2015) che «ricorre tale ipotesi quando il ricorrente lamenta il vizio di travisamento delle risultanze processuali» e chiede alla Corte di accertare che «l'informazione probatoria richiamata dal giudice per fondare la decisione sia diversa ed inconciliabile» con quella rappresentata nel ricorso, con conseguente contraddittorietà tra i dati emergenti dagli atti processuali e quelli presi in considerazione dal giudice. Ovviamente, «qualora il ricorrente abbia lamentato un travisamento della prova, solo l'informazione probatoria su un punto decisivo, acquisita e non valutata, mette in crisi irreversibile la struttura del percorso argomentativo del giudice di merito...» (Cass. n. 10749 del 2015 cit.; Cass. n. 28174 del 5/11/2018).
4. Dalla pronuncia impugnata, estremamente sintetica, si evince che la Commissione regionale, nell'accogliere l'appello dell'Ufficio e nel ricostruire la fattispecie sottoposta al suo esame, confondendo le quote della società con l'immobile della stessa società, ha fatto riferimento alla rivalutazione dell'immobile iscritto nel bilancio della I. s.r.l., anziché alla rivalutazione delle partecipazioni societarie ed alla loro successiva cessione, considerando la rivalutazione corrispondente al valore di cessione dell'immobile. Così argomentando, i giudici di appello, nell'esaminare tali circostanze, che hanno costituito oggetto di discussione tra le parti e rivestono rilievo decisivo ai fini del giudizio, hanno reso una motivazione incompatibile con gli atti del processo, considerato che sia dal ricorso sia dal controricorso della Agenzia delle Entrate si evince chiaramente che le operazioni di rivalutazione e cessione hanno riguardato esclusivamente le partecipazioni societarie, e non l'unico bene immobile di proprietà della società I. s.r.l. ancora iscritto in bilancio, tanto che l'Ufficio contesta che, per effetto di tale operazione, i ricorrenti, in difetto di una valida ragione economica, hanno sostanzialmente trasformato gli utili da liquidazione, ossia i redditi di capitale che sarebbero stati percepiti ove si fosse proceduto alla liquidazione della società, in plusvalenze da cessione di partecipazioni qualificate, il cui onere fiscale è stato di fatto neutralizzato attraverso il ricorso alla rivalutazione consentita dal d.l. n. 282/2002. La grave confusione tra quote della società e immobile della società emergente dalla motivazione della decisione impugnata rende evidente che i giudici di merito hanno posto alla base del loro convincimento una ricostruzione della fattispecie non rispondente a quella emergente dagli atti processuali che impone la cassazione della sentenza.
5. In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, e la sentenza va cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, per il riesame in relazione alla censura accolta, oltre che per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbito il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 14 giugno 2019.
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