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Analisi casi processuali - ricorso contro avviso di accertamento dell'Agenzia delle Entrate su plusvalenza cessione terreno edificabile – annullamento integrale dell’avviso di accertamento con sentenza della Commissione Tributaria di Milano Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Nel presente articolo analizziamo un caso giurisprudenziale sottoposto alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, la quale, in accoglimento del ricorso da noi proposto, ha annullato integralmente l’avviso di accertamento notificato alla contribuente, con cui si contestava infondatamente una presunta plusvalenza in relazione alla permuta di un immobile da demolire, sito su area edificabile, a fronte della cessione di un appartamento da costruire.

La prospettiva sarà differente rispetto al consueto esame della sentenza.  Infatti, procederemo ad esaminare la fattispecie, non dalla prospettiva del corpo letterale della sentenza, ma dalla prospettiva delle argomentazioni processuali da noi sviluppate, accolte in sentenza, e che hanno condotto all’annullamento integrale dell’avviso di accertamento. In calce, sono riportati, altresì, gli estremi della sentenza.

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1 – INFONDATEZZA DELL’AVVISO DI ACCERTAMENTO – ILLEGITTIMITA’ DELL’AVVISO DI ACCERTAMENTO ALLA LUCE DELLA GIURISPRUDENZA FORMATASI IN RIFERIMENTO ALLA QUESTIO IURIS – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 67 T.U.I.R.

Il XXX veniva notificato all’odierna ricorrente l’avviso di accertamento di cui in epigrafe (documento n. X), per mezzo del quale l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale II di Milano intima il pagamento di euro XXX.XXX,XX, di cui euro XX.XXX,XX euro a titolo di maggiori imposte, ed i restanti importi a titolo di interessi e sanzioni.

All’interno dell’avviso di accertamento si contesta che la cessione effettuata dalla contribuente di un fabbricato da demolire, pervenutole per successione nel lontano 197X, abbia generato una significativa plusvalenza tassabile.

In particolare, ad avviso dell’Ufficio la cessione del fabbricato effettuata dalla contribuente dovrebbe rientrare nelle ipotesi di cui all’art. 67 T.U.I.R. (vecchio art. 81) che assoggetta a tassazione le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria.

Ad avviso della Direzione Provinciale sarebbe determinante, ai fini della riqualificazione, la circostanza che l’acquirente avesse intenzione di demolire il fabbricato e costruire nuovamente sull’area. Si allega il relativo contratto (documento n. X).

La pretesa erariale eccede gli euro XXX.XXX,00 euro (circa il 40% dell’intero valore/prezzo finale di cessione del fabbricato), di cui oltre XX.XXX,XX a titolo di interessi e sanzioni.

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A ben vedere, la questio iuris di cui si discute è stata già risolta dalla giurisprudenza, anche di questa stessa Commissione Tributaria di Milano, che ha in più occasioni negato la fondatezza proprio della tesi erariale trasfusa nell’odierno avviso di accertamento statuendo esattamente l’opposto rispetto a quanto affermato nell’atto impositivo impugnato, e ciò per molteplici ragioni che emergeranno evidenti dall’esame giurisprudenziale che segue.

Citiamo innanzitutto la recentissima sentenza n. 254 del 23 gennaio 2018 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, particolarmente significativa non solo perché rappresenta uno dei pronunciamenti più recenti dello stesso Giudice che sarebbe competente in secondo grado nella vicenda in discussione, ma anche perché richiama nel decidere la copiosa giurisprudenza dei Giudici di legittimità formatasi al riguardo; leggiamo in sentenza:

-         Come recentemente stabilito dalla S.C. (sent. n. 4361/2017), che ha confermato un orientamento giurisprudenziale avviatosi nel 2014 e che anche questa Commissione ritiene di condividere, deve infatti escludersi che la vendita di un’area già edificata possa rientrare nelle ipotesi di cui all’articolo 81 (ndr ora 67) comma 1 lett-B del Testo Unico sulle imposte dei redditi, che assoggetta a tassazione le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione. La Corte ha osservato che dalla “stessa lettera del citato art. 81 (ora 67) e dall’art. 16 (17) comma 1, lett. g bis TUIR.. non possono rientrare .., le cessioni aventi ad oggetto non un terreno “suscettibile di utilizzazione edificatoria” ma un terreno sul quale insorge un fabbricato e che, quindi, è da ritenersi già edificato, ritenendo “irrilevante l’ulteriore potenzialità edificatoria del terreno su cui esso insisteva” (Cass. 4150 del 2014)”.

Dunque, la sentenza giunge alla dichiarazione di annullamento proprio sulla scorta di un esame puntuale e dettagliato dei principi espressi, su tale esatta questione, dalla Suprema Corte di Cassazione, e finanche dello stesso tenore letterale della norma in discussione.

Ad ogni modo, sul punto la giurisprudenza che nega la fondatezza della tesi dell’Ufficio è assolutamente copiosa:

-         Corte di Cassazione n. 14113/2018, dell’1 giugno 2018: “Secondo il T.U.I.R (art. 81 – ora 67 – del d.P.R. n. 917 del 1986) sono soggette a tassazione separata, quali redditi diversi, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione, e non anche di terreni sui quali insiste già un fabbricato. Infatti, l'art. 81 del D.P.R.917/1986 tende ad assoggettare ad imposizione la plusvalenza che trovi origine dall'avvenuta destinazione edificatoria del terreno, in sede di pianificazione urbanistica, e non derivante da un'attività produttiva del proprietario o del possessore”.

Ciò perché il presupposto d’imposta nelle due diverse fattispecie non coincide affatto: un caso è infatti quello di chi ha acquistato un terreno, ha ottenuto le necessarie autorizzazioni amministrative ai fini dell’inserimento del terreno all’interno di piani particolareggiati, con un incremento di valore significativo, e corrispondente manifestazione di ricchezza, caso ben diverso è quello di chi cede il vetusto fabbricato ereditato 40 anni prima. Per di più, in tale ultimo caso la cessione avviene ad un prezzo significativamente diverso (e minore) da quello a cui sarebbe cedibile la sola area (in ragione del fatto che l’acquirente deve svolgere un’onerosa attività di ristrutturazione e/o demolizione sul fabbricato, e non può utilizzare direttamente l’area edificabile).

D’altronde, quando il legislatore ha previsto in via eccezionale e tassativa l’imponibilità della plusvalenza realizzata dalla cessione di aree edificabili aveva in mente il primo caso, ossia quello del contribuente che acquista un terreno (magari ad un prezzo contenuto), riesce ad ottenere l’inserimento dell’area all’interno di piani urbanistici particolareggiati e vede il valore del proprio terreno esponenzialmente incrementato, caso in cui la tassazione risulta giustificata; fattispecie che nulla c’entra con la fattispecie oggi in rilievo (cessione del fabbricato ricevuto in eredità 40 anni prima).

La verifica del presupposto di imposta, della capacità contributiva manifestata e della ratio legis che giustifica la tassazione rende evidente che la seconda fattispecie non è sovrapponibile alla prima.

D’altronde, nelle cessioni di immobili la regola è che le stesse non generino plusvalenza a meno che non vi siano circostanze eccezionali che giustifichino l’imposizione (come la fattispecie descritta nel precedente esempio o la vendita dell’immobile prima della decorrenza del quinquennio, e dunque a fini speculativi).

Proseguiamo nell’analisi giurisprudenziale:

-         CTR Valle D’Aosta n. 28/2017 del 30 ottobre 2018: La vendita di area già edificata non può rientrare - a fronte di una riqualificazione effettuata dall'Ufficio sulla scorta di elementi presuntivi - nelle ipotesi, sicuramente tassative, previste dall'art. 67 T.U.I.R., il quale assoggetta a tassazione separata, quali redditi diversi, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione”.

Tale pronuncia mette l’accento su un ulteriore profilo, le ipotesi di cui all’art. 67 TUIR sono tassative.

Ancora.

-         Corte di Cassazione n. 15629/2014 del 9 luglio 2014: “In materia di imposta sui redditi, come risulta dal tenore degli artt. 81, comma 1, lett. b) (ora 67) e 16 (ora 17), comma 1, lett. g) bis, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, sono soggette a tassazione separata, quali "redditi diversi", le "plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione", e non anche di terreni sui quali insiste un fabbricato e quindi, già edificati. Ciò vale anche qualora l'alienante abbia presentato domanda di concessione edilizia per la demolizione e ricostruzione dell'immobile e, successivamente alla compravendita, l'acquirente abbia richiesto la voltura nominativa dell'istanza, in quanto la "ratio" ispiratrice del citato art. 81 tende ad assoggettare ad imposizione la plusvalenza che trovi origine non da un'attività produttiva del proprietario o possessore ma dall'avvenuta destinazione edificatoria del terreno in sede di pianificazione urbanistica”.

Tale importante sentenza della Cassazione nega proprio quanto affermato nell’avviso, ossia che la riqualificazione sia possibile perché il fabbricato era destinato a subire “ristrutturazione comportante demolizione e ricostruzione del complesso medesimo” (pag. X dell’avviso di accertamento, documento n. X; il punto emerge in più parti).

In definitiva, l’esame della giurisprudenza dimostra l’illegittimità ed infondatezze delle ingenti pretese (eccedenti i XXX.XXX,XX euro) avanzate nei confronti dell’odierna contribuente.

In punto di equità si osserva che la pretesa di pagamento dell’Erario ammonta a circa il 40% dello stesso valore di cessione del fabbricato (euro XXX.XXX,00, cfr. pag. X dell’avviso di accertamento, documento n. X). In altri termini la Direzione Provinciale abbraccia una tesi che le permette di incamerare quasi la metà dell’intero valore dell’immobile ereditato dalla contribuente.

Conseguenza ictu oculi stridente con i principi di equità e capacità contributiva (art. 53 Cost.).

Peraltro, non vi è alcuna ragione sistematica che giustifichi l’assoggettamento ad imposizione della cessione del fabbricato ereditato dalla contribuente solo perché situato in area collocata all’interno di piani particolareggiati. D’altronde non vi sarebbero dubbi sul fatto che la cessione non sarebbe soggetta a tassazione se si trattasse della cessione di qualsiasi altro immobile o fabbricato non collocato in una simile area, così come se fosse stato venduto un immobile collocato in simile area ma non da demolire.

Sotto tale profilo emerge dunque il contrasto della tesi trasfusa nell’avviso con lo stesso art. 3 della Costituzione.

Non vi è alcuna razionalità giuridico-fiscale nella pretesa dell’Ufficio di sottoporre a tassazione la cessione di cui discutiamo.

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In definitiva, alla luce della giurisprudenza e di tutto quanto ut supra evidenziato l’avviso di accertamento impugnato merita senz’altro una dichiarazione di annullamento.

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2 - VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELL'ART. 10, COMMI SECONDO E TERZO, L. 27 LUGLIO 2000, N. 212 E DELL'ART. 6, SECONDO COMMA, D.LGS. 18 DICEMBRE 1997, N. 472. – INESIGIBILITA’ DELLE SANZIONI E RESPONSABILITA’ RISARCITORIE DELL’ERARIO IN CASO DI MANCATA ANNULLAMENTO DELLA PARTE RELATIVA ALLE SANZIONI ALL’INTERNO DELLA FASE DI RECLAMO.

Salvo quanto retro in ordine all’illegittimità della ripresa a tassazione, comunque, si palesa – per autonomi motivi – assolutamente illegittima la pretesa dell’Ufficio di vedersi corrispondere circa XX.XXX,XX euro a titolo di sanzioni.

Infatti, una cosa è il tentativo della Direzione Provinciale di creare, in via interpretativa, un orientamento che, in punto di imposta, le permette di attrarre a tassazione una “nuova” ed ulteriore fattispecie, mentre cosa certamente più grave e censurabile è la pretesa di sanzionare duramente un comportamento che alla luce della giurisprudenza è conforme alla legge fiscale.

Non si ritiene infatti legittima, né in punto di diritto né in punto di equità né in punto di corretto esercizio del potere amministrativo, la parte dell’avviso in cui intima il pagamento di circa XX.XXX,XX euro di sanzioni, nonostante il ben noto e pluri-confermato orientamento giurisprudenziale di senso opposto rispetto alla tesi dell’Ufficio.

Infatti, se anche in punto di imposta venisse convalidata la censurabile tesi dell’Ufficio, comunque, la presenza di un costante orientamento giurisprudenziale di segno inverso, di cui l’Ufficio è pienamente a conoscenza, perché fatto noto, perché evidenziato all’interno della fase di accertamento con adesione, e perché per l’ennesima volta enfatizzato all’interno del presente ricorso-reclamo, rende di per sé assolutamente inesigibile alcun tipo di sanzione.

D’altronde non è revocabile in dubbio che non possa essere richiesto il pagamento di alcun importo a titolo di sanzione se il comportamento del contribuente è stato determinato dall'incertezza sussistente in ordine al comportamento fiscalmente corretto da tenere. Tale norma è immanente a tutto l’ordinamento tributario e collocata all’interno di molteplici disposizioni di legge:

1) l'articolo 8, comma 1, del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, prevede che “La commissione tributaria dichiara non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce”;

2) l'articolo 6, secondo comma, D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, testo di legge che detta la cornice dell'impianto sanzionatorio tributario, stabilisce che “Non è punibile l’autore della violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono ...”;

3) l’articolo 10, comma terzo, L. 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente), in via generale dispone che “Le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria ...”.

Orbene, l’ipotesi “classica” di esistenza di un’obiettiva condizione di incertezza riguarda proprio il caso in cui vi sia contrasto di orientamenti giurisprudenziali sul punto (a fortiori nel nostro caso, in cui più che contrasto vi è un costante orientamento di segno opposto rispetto a quanto affermato dall’Ufficio).

La mera esistenza dell’orientamento giurisprudenziale rende inapplicabili le sanzioni, come peraltro è ben noto alla Direzione Provinciale.

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Pertanto, ove l’odierno ricorso-reclamo dovesse giungere innanzi al Giudice Tributario senza una pronta rettifica dell’Ufficio in punto di sanzioni all’interno della fase di reclamo, nonostante l’esistenza del costante orientamento giurisprudenziale di cui sopra, la cui mera esistenza rende indubbia l’inapplicabilità delle sanzioni, e nonostante l’Ufficio oggi non possa negare di essere consapevole di tale orientamento, si ritiene integrata la responsabilità risarcitoria della Direzione Provinciale resistente per temeraria resistenza ai sensi dell’art. 96 c.p.c.

D’altronde, di tale orientamento la Direzione oggi non può negare di essere a conoscenza, e non intervenendo in sede di reclamo, com’è suo preciso potere-dovere, per l’annullamento totale delle sanzioni, sicuramente viola l’art. 96 c.p.c., primo comma e terzo comma, nella parte in cui temerariamente resiste in giudizio su un punto in cui non vi è dubbio che abbia torto.

Al riguardo si rileva che emerge in giurisprudenza il seguente principio di diritto regolante la condanna della parte processuale ai sensi dell’art. 96 c.p.c.:

- la parte resistente può essere condannata ai sensi dell’art. 96 c.p.c. due volte, una in ragione del primo comma (che richiede l’esistenza della colpa grave, peraltro sussistente nel caso di specie perché oggi la Direzione non può negare di conoscere i principi giurisprudenziali ampiamente esposti) e, per una distinta somma, ai sensi del terzo comma (che non necessità dell’elemento colpa, ed è rimessa al libero apprezzamento e “sentire” del giudice).

Pertanto, si rileva l’assoluta illegittimità della parte sanzionatoria dell’avviso di accertamento, ed in via subordinata al mancato annullamento in sede di reclamo di tale parte, si contesta la responsabilità risarcitoria della Direzione Provinciale resistente, chiedendone la relativa condanna in giudizio ai sensi dell’art. 96 c.p.c., primo comma, ed, in via cumulativa, terzo comma.”

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L’annullamento integrale dell’avviso di accertamento è stato pronunciato con la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Milano n. 1333 del 7 marzo 2019.

 

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