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L’avviso emesso in anticipo è nullo a prescindere dal fatto che il contribuente abbia subito o meno un danno in conseguenza dell’emissione anticipata. Respinta la tesi dell’Agenzia delle Entrate. Confermato l’annullamento dell’avviso.

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Estratto: “Né la sanzione della illegittimità dell'avviso per il mancato rispetto del termine dilatorio dei sessanta giorni può essere irrogata solo qualora il contribuente dimostri che il minor termine gli ha precluso di predisporre una adeguata e specifica linea difensiva. Tale termine deve essere, infatti, rispettato a prescindere dalla allegazione da parte del contribuente di avere subito uno specifico nocumento alla propria difesa”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Sentenza n. 15324 del 6 giugno 2019

FATTI DI CAUSA

1. - La A. s.r.l. ha impugnato un avviso d'accertamento, fondato su verbale della Guardia di Finanza, con il quale era stata contestata la violazione degli obblighi di dichiarazione, ai fini Iva, per indebita detrazione, nell'anno di imposta 2003, dall'imponibile Irpeg/Irap di costi portati da fatture per operazioni di cessione di autoveicoli soggettivamente inesistenti, emesse dalle ditte G. di BG e VG, in realtà mere "cartiere" operanti in un giro di frodi "carosello". Nell'avviso si precisava che "si procede alla notifica del presente accertamento prima dei termini previsti dall'art. 12, comma 7, della L. 27 luglio 2000 n. 212, ricorrendo il caso di motivata urgenza, in quanto sono in scadenza al 31.12.2008, i termini dell'azione accertatrice" La Commissione tributaria provinciale di Sondrio ha accolto il ricorso, ritenendo che l'avviso, per la parte relativa alle fatture emesse dalla ditta G. di BG, fosse nullo per mancata osservanza del disposto dell'art. 12, comma 7, legge 27 luglio 2000, n. 212, non essendosi indicate idonee ragioni per derogare al termine di sessanta giorni posto dalla norma. Riguardo alla parte di avviso relativa alle fatture emesse da VG, la Commissione riteneva l'accertamento infondato nel merito in mancanza della prova di compartecipazione della A. alla frode fiscale della ditta VG;

2. - La Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l'appello dell'Agenzia delle entrate, ritenendo che i motivi di urgenza indicati nell'Ufficio fossero oggettivamente inesistenti.

3. - L'Agenzia ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi. Resiste la contribuente con controricorso. Con ordinanza depositata il 20 luglio 2018, la causa è stata rinviata alla pubblica udienza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

 1 - Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 12 legge 27 luglio 2000, n. 212 in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. Si evidenzia che il pvc è stato notificato al contribuente il 29 ottobre 2008 e che il termine di sessanta giorni previsto dall'art. 12, comma 7, I.n. 212 del 2000 veniva a scadere (essendo il 28 dicembre 2008, domenica) il 29 dicembre 2008, mentre l'avviso di accertamento è stato notificato il 18 dicembre 2008. L'Ufficio, nell'atto di accertamento, ha giustificato la mancata osservanza del termine di cui sopra, con la necessità di notificare l'avviso in rettifica entro il termine di decadenza del 31 dicembre 2008 (l'anno di imposta è il 2003). La Commissione tributaria regionale avrebbe errato nel ritenere che non costituisse un caso di particolare urgenza - tale da non consentire il rispetto del termine - il fatto che l'Ufficio avesse solo due giorni per effettuare la notifica dell'avviso entro il termine di decadenza.

1.1. - Il motivo è infondato. L'art. 12, comma 7, I. n. 212 del 2000 prevede che «nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L'avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza». Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la scadenza del termine di decadenza dell'azione accertativa non rappresenta una ragione di urgenza tutelabile ai fini dell'inosservanza del termine dilatorio di cui all'art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000 (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27623; Cass. 10 aprile 2018, n. 8749), ben potendo, invece, l'amministrazione offrire come giustificazione dell'urgenza la prova che l'esercizio nell'imminenza della scadenza del termine sia dipeso da fattori ad essa non imputabili che hanno inciso sull'attività accertativa fino al punto da rendere comunque necessaria l'attivazione dell'accertamento, a pena di vedere dissolta la finalità di recupero delle imposte ritenute non versate dal contribuente. Non è, quindi, l'imminenza della scadenza del termine a integrare l'urgenza, ma, semmai, l'insorgenza di fatti concreti e precisi che possono rendere giustificata l'attivazione dell'ufficio quando non può più essere rispettato il termine dilatorio a pena di vedere decaduta l'amministrazione (per esempio in caso di reiterate violazioni delle leggi tributarie aventi rilevanza penale oppure per la partecipazione del contribuente ad una frode fiscale come in Cass. 2 luglio 2018, n. 17211). Peraltro, nella specie, l'avviso di accertamento emesso nel 2008 aveva ad oggetto l'anno 2003, sicché l'Agenzia avrebbe dovuto indicare fatti concreti e precisi che non le avevano consentito di procedere con l'accertamento tempestivamente per evitare la decadenza.

Né la sanzione della illegittimità dell'avviso per il mancato rispetto del termine dilatorio dei sessanta giorni può essere irrogata solo qualora il contribuente dimostri che il minor termine gli ha precluso di predisporre una adeguata e specifica linea difensiva. Tale termine deve essere, infatti, rispettato a prescindere dalla allegazione da parte del contribuente di avere subito uno specifico nocumento alla propria difesa, non avendo potuto produrre nel ristretto lasso temporale concesso, osservazioni, memorie e documenti. Il termine è infatti stabilito a presidio del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, espressione dei principi di collaborazione e di buona fede (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27623). Come chiarito dalla più recente giurisprudenza di questa Corte, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000 (cd. Statuto del contribuente), nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività, opera una valutazione ex ante in merito alla necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sanzionando con la nullità l'atto impositivo emesso ante tempus, anche nell'ipotesi di tributi non "armonizzati", senza che, pertanto, ai fini della relativa declaratoria debba essere effettuata la prova di "resistenza", invece necessaria, per i soli tributi "armonizzati", ove la normativa interna non preveda l'obbligo del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa (ad es., nel caso di accertamenti cd. a tavolino), ipotesi nelle quali il giudice tributario è tenuto ad effettuare una concreta valutazione ex post sul rispetto del contraddittorio (Cass. 15 gennaio 2019, n. 701).

2. - A seguito del rigetto del primo motivo, risultano assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso, in quanto la Commissione tributaria regionale, ritenendo insussistenti i motivi di urgenza addotti a giustificazione del mancato rispetto del termine di sessanta giorni dalla notifica del verbale di constatazione della Guardia di Finanza, ha respinto l'appello ritenendo assorbente tale profilo procedurale, per cui non si sarebbe potuta esprimere sul merito della controversia: - il secondo motivo con cui si prospetta la motivazione omessa o insufficiente su fatto decisivo della controversia in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c., in ordine alla circostanza se vi fossero ragioni di particolare urgenza che consentissero all'Ufficio di trascendere dal termine di 60 gg. posto a favore del contribuente dall'art. 12 co. 7 I. n. 212 del 2000; - il terzo motivo con cui ci si duole della violazione e falsa applicazione art. 19 dpr 633/72 e 2697 c.c. in combinato disposto in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. In caso di fattura emessa per operazioni soggettivamente inesistenti da un cedente apparente, chi figura come cessionario non può detrarne la relativa Iva, essendo del tutto ininfluente che il cessionario fosse consapevole o meno della inesistenza soggettiva dell'operazione e degli illeciti fiscali commessi dal preteso cedente o che ne fosse compartecipe. Di conseguenza, per il solo fatto che le fatture emesse dalla ditta V. nei confronti della controparte fossero relative a operazioni soggettivamente inesistenti, la Commissione tributaria regionale avrebbe dovuto negare che il contribuente potesse portare in detrazione l'Iva esposta in quelle fatture, risultando del tutto irrilevante la prova, ai fini del giudizio, che la A. fosse compartecipe della frode fiscale operata dalla ditta V.; - il quarto motivo con cui si deduce, in subordine, la violazione e falsa applicazione art. 19 dpr 917/86 e 2697 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. Si evidenzia, al riguardo, che il cessionario, in caso di fattura relativa a una operazione soggettivamente inesistente, emessa dal cedente apparente, può conservare il diritto di detrazione dell'Iva portata dalla fattura solo se dimostri, di aver ignorato – pur avendo operato con l'ordinaria diligenza - che la fattura fosse relativa a una operazione soggettivamente inesistente; - il quinto motivo con cui si prospetta la violazione e falsa applicazione art. 75 d.P.R. n. 917 del 1986 e 2697 c.c., in combinato disposto in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. La Commissione tributaria regionale avrebbe errato nel ritenere che le fatture emesse dalla ditta V. comprovassero i costi in esse indicate, non essendo stata provata la compartecipazione della A. alla frode fiscale perpetrata; - il sesto motivo con cui si contesta, in ulteriore subordine, la violazione e falsa applicazione art. 75 d.P.R. n. 917 del 1986 e 2697 c.c. in combinato disposto in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. La Commissione tributaria regionale avrebbe errato nel ritenere necessaria una prova irrilevante, quale la compartecipazione della A. alla frode fiscale perpetrata dalla ditta V., e a non occuparsi della prova necessaria relativa all'ignoranza incolpevole - da parte della A. - della inesistenza soggettiva dell'operazione fatturata.

3. - Il ricorso deve essere pertanto respinto. Sussistono peraltro giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità, alla luce dei chiarimenti forniti dalla più recente giurisprudenza sulla questione dibattuta.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 26 novembre 2018.

 

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