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Comm. Trib. Reg. per la Toscana Sezione/Collegio 8
Sentenza del 14/02/2019 n. 225
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nel procedimento RGA 290/2016 con ricorso presentato dalla Direzione Provinciale di Lucca dell'Agenzia delle Entrate veniva interposto appello avverso la sentenza n. 361/04/2015 della Commissione Tributaria Provinciale di Lucca, emessa in data 27.5.2015 e depositata in data 24.6.2015.
La controversia originaria aveva riguardo ad avvisi di accertamento ex art. 38, commi 4 e 5, d.p.r. n. 600/73 relativi all'anno 2007 (per maggior reddito pari ad euro 22.534,00) e 2008 (per maggior redditi pari ad euro 6.553,00) emessi a seguito di determinazione del reddito del contribuente con metodologia sintetica, avvenuta nel 2013, tenuto conto della capacità di spesa manifestata dal contribuente P. C. attraverso la disponibilità di beni e/o servizi sintomatici di capacità contributiva. In particolare, tali servizi scaturivano del possesso di una abitazione principale (a titolo di proprietà sino al 18 febbraio 2008 ed in seguito di usufrutto gravata da mutuo ipotecario con rata da versare mensilmente) nonché di due autovetture; elementi che avevano indotto la amministrazione finanziaria a determinare il reddito della contribuente per l'anno 2007 in euro 65. 718,00 e per 1 'anno 2008 in euro 25.095.60 a fronte del reddito dichiarato pari a zero.
I primi giudici accoglievano il ricorso della contribuente e compensavano le spese.
La CTP di Lucca osservava che:
- a fronte della presunzione di reddito connessa alla sussistenza dei predetti elementi, parte ricorrente aveva fornito adeguata e convincente prova contraria atta a svalutarne la valenza probatoria; era stata prodotta prova documentale (non contestata) dalla quale emergeva, per il pagamento delle rate mensili del mutuo accesso sull'immobile a destinazione abitativa, che la contribuente aveva provveduto mediante le somme ad essa erogate a seguito di apposito accordo anche per le annualità 2007 e 2008 dall'ex coniuge B. M.; inoltre, con riferimento al periodo di imposta in questione, la contribuente aveva potuto disporre della somma di euro 40.000.00 conseguita a seguito del disinvestimento di un garage ceduto in vendita a L. G. con contratto stipulato in data 14 luglio 2006, nonché delle ulteriori somme precedentemente percepite pari ad euro 85.000,00 a seguito di accordo documentato nell'atto notarile in data 30 giugno 2005 e di euro 61.974.83 corrisposti dall'ex coniuge B. M. a tacitazione di ogni pretesa della P. in ordine alla causa di separazione, come risulta dalla sentenza del Tribunale di Lucca in data 18 novembre 2003 agli atti;
- infondata era l'eccezione sollevata dall'Ufficio secondo cui tale documentazione probatoria non sarebbe utilizzabile ai sensi dell'art. 32 penultimo comma DPR n. 600/1973 dal momento che la contribuente nella fase istruttoria prodromica all'emissione dell'avviso di accertamento si sarebbe rifiutata di presentare il questionario per l'anno 2007; già i dati, le notizie e i documenti acquisiti in sede di contraddittorio con la contribuente e di cui si dava conto nella motivazione dell'avviso di accertamento, sia pur parziali, avevano la valenza probatoria necessaria a vincere la presunzione reddituale semplice posta a base dell'accertamento sintetico; l'Ufficio, poi, non aveva fornito prova di aver informato il contribuente della inutilizzabilità in sede amministrativa e contenziosa dei dati, delle notizie e dei documenti non esibiti e non trasmessi a richiesta della amministrazione finanziaria.
L'Ufficio proponeva appello, articolando i seguenti motivi di gravame.
1^ Motivo: violazione dell'art. 32, penultimo comma, DPR n. 600173.
Le notizie, i dati e i documenti non esibiti o non trasmessi in risposta ad inviti ex art. 32, penultimo comma, DPR n. 600/73, non erano utilizzabili in sede contenziosa anche aderendo alle indicazioni più garantiste della Corte di Cassazione (sent. n. 4605/2008, 21768/2009 che ne inibivano l'utilizzabilità solo in presenza su specifica richiesta o ricerca da parte della PA e di un rifiuto o di un occultamento da parte del contribuente, quale comportamento con cui lo stesso si sottraeva alla prova) ed ammettendo la possibilità del contribuente di dimostrare la non volontarietà della sottrazione originaria della documentazione (Cass. 1030/2002). In concreto nel questionario vi era l'avvertimento circa l'inutilizzabilità degli elementi di prova non addotti in sede amministrativa: questionario prodotto in appello (sulla produzione in appello di documenti preesistenti cfr. Cass. n.232/2009).
2^ Motivo: mancata dimostrazione da parte della contribuente dell'impiego diretto di redditi esenti ovvero soggetti ad imposizione alla fonte per giustificare le spese espressive di capacità contributiva.
Il riparto dell'onere della prova nell'ambito della azione accertativa esercitata su base c.d. redditometrica, a differenza di quanto accade a livello generale, è retto sul seguente schema concettuale: a) Ufficio è gravato dell' onere di dimostrare la sussistenza dei c.d. fatti indice, sia dei requisiti legittimanti tale metodologia di accertamento; b) sul contribuente, invece, grava l'onere di confutare la c.d. "quantificazione redditometrica" della base imponibile, sulla base del conseguimento della provvista finanziaria per far fronte a determinati oneri economici contestati, in modo conforme alla normativa tributaria; in particolare, il contribuente al fine di contrastare efficacemente la pretesa erariale dell'ente impositore doveva necessariamente fornire la dimostrazione che le spese in argomento erano state alimentate in virtù del possesso di redditi esenti ovvero soggetti ad imposizione alla fonte (Cass. 20.03.2009 n. 6813).
Orbene, nel caso di specie, il soggetto contribuente aveva omesso di addurre elementi probatori idonei a vincere la presunzione legale relativa che sosteneva la pretesa tributaria, alla luce del ricordato nesso teleologico che deve connettere la capacità di spesa accertata e le risorse economiche già tassate o legalmente escluse dalla materia imponibile utilizzate per farvi fronte. Infatti, le rimesse ritenute giustificative consistono nei disinvestimenti patrimoniali del periodo 2005-2006, in uno con la ricezione da parte dell' ex coniuge B. di somme rilevanti ai fini dell'estinzione di una obbligazione pecuniaria derivante dalla stipulazione di un mutuo ipotecario; ma non era stato provato che l'accantonamento dei proventi finanziari conseguiti a seguito dello smobilizzo e l'impiego degli stessi direttamente ai fini dell'incremento patrimoniale, fornendo la dimostrazione che "proprio quei redditi erano stati impiegati, previo disinvestimento, per affrontare la spesa per incrementi patrimoniali considerata dall'Ufficio" (Cass. n. 4138/2013), difettando adeguata prova contraria ex art. 8, comma 6 d.p.r. 600/73 "risultante da idonea documentazione"; il contribuente doveva dimostrare per il tramite delle risultanze di movimentazioni bancarie non solo il possesso di redditi legalmente esclusi dalla base imponibile e la durata del loro possesso ma anche la circostanza che questi ultimi non erano stati utilizzati per finanziare oneri economici non rilevanti ai fini della ricostruzione sintetica del reddito (Cassazione 16 dicembre 2015 n. 25283); nel caso, alla prova del conseguimento cli una importante provvista finanziaria negli anni precedenti ai periodi di imposta accertati, a seguito di dismissioni immobiliari, non aveva fatto seguito la dimostrazione che tali disponibilità economiche erano state indirizzate al soddisfacimento delle manifestazioni di capacità contributiva sulle quali l' Ufficio ha fondato la propria azione di ripresa a tassazione su base redditometrica.
Conclusivamente, parte appellante chiedeva la riforma della sentenza di primo grado e la conferma della legittimità dell'atto impugnato, con vittoria di spese.
La contribuente si costituiva in giudizio e presentava le controdeduzioni di seguito illustrate, oltre che appello incidentale.
1^ controdeduzione: la giurisprudenza preferibile e maggioritaria assumeva che nessuna dimostrazione dovesse essere data dal contribuente circa l'effettiva destinazione del reddito, rilevando la sua esistenza (Cass. n. 6396/2014) e non doveva esser provato alcun nesso causale tra reddito posseduto, disinvestimento e spesa sostenuta (Cass. n. 8995/14, 17663/2014), in linea con la giurisprudenza della Corte Cost. 283/1987 (per cui le prove legali non potevano comportare mai l'imposizione di una base fittizia) e con la giurisprudenza di merito.
2^ controdeduzione: gli indici di capacità presuntiva addotti dall'Ufficio (possesso di immobile con destinazione abitativa e di vetture) avevano una valenza presuntiva non legale del maggior reddito, in un quadro in cui, per contro, il redditometro, fondato su premesse di logica giuridica ed economica non sempre congrue e perspicue, originava presunzioni semplici non autosufficienti (Cass. n. 23554/12).
3^ controdeduzione: non era stato trasgredito l'art. 32 d.p.r. n. 600/73 risultando già prodotti in fase amministrativa documenti idonei a vincere la presunzione del redditometro e comunque difettando un contegno doloso di antagonismo rispetto alla produzione documentale richiesto dalla giurisprudenza dominante per l'inutilizzabilità in analisi (Cass. SU 45/2000); si trattava di documenti (ritenuti in ogni caso inutili dall'Ufficio) per acquisire i quali era stato necessario disporre di tempo; peraltro l'Ufficio non aveva avanzato una richiesta specifica e precisa dei documenti non esibiti ma solo una richiesta generica, la disciplina dovendosi reggere sui principi di buona fede e di leale collaborazione (Cass. n. 453/2013).
4^ controdeduzione: nel merito era stata offerta la prova delle risorse di cui la contribuente aveva avuto la disponibilità nei periodi di imposta oggetto degli accertamenti, secondo quanto riconosciuto dal Giudice e dedotto in primo grado.
1^ Motivo di appello incidentale: decadenza dall'azione accertati va con riferimento all'avviso di accertamento relativo al 2007, notificato solo in data 28.11.2013.
Era perento inutilmente il termine quadriennale ex art. 43, comma 1, d.pr. n. 600/73 per la notifica dell'avviso di accertamento relativo al periodo 2007. Non veniva in rilievo il termine quinquennale poiché l'eventuale omessa dichiarazione di reddito imponibile non era precedente ma conseguente alle evidenze scaturenti dall'accertamento sintetico.
2^ Motivo: disapplicazione del redditometro ex art. 7, comma 5, D.lgs. n. 546/1992, in quanto ritenuto illegittimo dallo stesso legislatore (art. 22 d.l. 78/2010) .
3^ e 4^ Motivo: annullamento dell'accertamento perché fondato su prova indiziaria non autosufficiente e sprovvista di motivazione adeguata ad illustrane l'iter logico seguito per l'accertamento del maggior reddito.
Parte resistente, in conclusione, chiedeva la conferma della sentenza di primo grado, in subordine per i motivi di appello incidentale con pagamento delle spese del procedimento.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L'appello principale è infondato.
1. Infondato è il primo motivo di appello.
In tema di accertamento tributario, l'inottemperanza del contribuente a seguito dell'invio del questionario da parte dell'Amministrazione finanziaria, ex art. 32, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973, comporta l'inutilizzabilità in sede amministrativa e processuale solo dei documenti espressamente richiesti dall'Ufficio, in quanto detta disposizione normativa deve essere interpretata in coerenza con il diritto di difesa sancito dall'art. 24 Cost. e con il principio di capacità contributiva di cm all'art. 53 Cost. (Sez. 5 - Ordinanza n. 16548 del 22/06/2018 (Rv. 649229 - 01)).
Secondo principi già espressi dalla Cassazione, l'invio del questionario da parte dell'Amministrazione finanziaria, previsto dall'art. 32, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, per fornire dati, notizie e chiarimenti, assolve alla funzione di assicurare - in rispondenza ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria - un dialogo preventivo tra fisco e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni, sì da evitare l'instaurazione del contenzioso giudiziario, rimanendo legittimamente sanzionata l'omessa o intempestiva risposta con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa; a tal fine è necessario che l'Amministrazione, con l'invio del questionario, fissi un termine minimo per l'adempimento degli inviti o delle richieste, avvertendo delle conseguenze pregiudizievoli che derivano dall'inottemperanza alle stesse, senza che, in caso di mancato rispetto della suddetta sequenza procedimentale (la prova della cui compiuta realizzazione incombe sull'Amministrazione), sia invocabile la sanzione dell'inutilizzabilità della documentazione esibita dal contribuente solo con l'introduzione del processo tributario, trattandosi di obblighi di informativa espressione del medesimo principio di lealtà, il quale deve connotare - come si evince dagli artt. 6 e 10 dello Statuto del contribuente - l'azione dell'Ufficio (Cass. 22126 del 27/9/2013; n. 10489 del 14/5/14; n. 27069 del 27/12/16). Affinché possa trovare applicazione la preclusione prevista dal citato art. 32, comma 4, del d.P .R. 600/73 è necessario che il documento cui si riferisce la preclusione sia stato espressamente richiesto dall'Ufficio, dovendo tale disposizione normativa essere interpretata in coerenza con il diritto di difesa previsto dall'art. 24 Cost. e con il principio di capacità contributiva richiamato dall'art. 53 Cost. (Cass. 13289 del 2011).
Nel caso di specie, la Agenzia delle Entrate nel questionario non è stata richiesta espressamente anche della trasmissione di estratti conto bancari e degli altri documenti in effetti prodotti in giudizio dal contribuente, onde non poteva operare la preclusione prevista dal citato art. 32, comma 4, del d.P.R. 600/73.
2. Infondato è anche il secondo motivo di appello.
Come ricordato di recente dalla Cassazione (Sez. 5, n. 1510 del 20/01/2017) «in tema di accertamento cd. sintetico, ove il contribuente deduca che la spesa effettuata deriva dalla percezione di ulteriori redditi di cui ha goduto il proprio nucleo familiare, ai sensi dell'art. 38, comma 6, del d.P.R. n. 600 del 1973, (applicabile "ratione temporis"), è onerato della prova contraria in ordine sia alla disponibilità di detti redditi che all'entità degli stessi ed alla durata del possesso, sicché, sebbene non debba dimostrarne l'utilizzo per sostenere le spese contestate, è tenuto a produrre documenti dai quali emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere». Sembra questa la soluzione più equilibrata tra quelle diametralmente opposte ipotizzate dalle parti processuali.
Occorre al riguardo invero ribadire che la norma di cui all'art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, legittima la presunzione, da parte dell'amministrazione finanziaria, di un reddito maggiore di quello dichiarato dal contribuente sulla base di elementi indiziari dotati dei caratteri della gravità, precisione e concordanza richiesti dall'art. 2729 cod. civ. e, in particolare, in ragione della «spesa per incrementi patrimoniali», la quale si presume sostenuta «salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell'anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti» (art. 38, comma 5, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis). In presenza, dunque, di tale presupposto (nella specie identificato nel possesso di abitazione e di autovetture) la norma non impone altro onere all'amministrazione ma piuttosto facoltizza (e onera) il contribuente a offrire la prova contraria: prova testualmente riferita, nel successivo comma 6, al fatto che «il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte», con la espressa precisazione che «l'entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione». L'oggetto della prova contraria da parte del contribuente riguarda non solo, dunque, la disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte) ma anche «l'entità di tali redditi e la durata del loro possesso». Come la Corte di Cassazione ha avuto modo di chiarire (Cass. Civ., Sez. 5, 18 aprile 2014, n. 8995, richiamata dalle successive Cass. 26 novembre 2014, n. 25104, 16 luglio 2015, n. 14885), pur non prevedendosi esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da «idonea documentazione») della «entità» di tali eventuali ulteriori redditi e della «durata» del relativo possesso, previsione che ha l'indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell'accertamento sintetico.
Né la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l'esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la «durata» del possesso dei redditi in esame, quindi non il loro semplice «transito» nella disponibilità del contribuente.
Ciò dedotto la Cassazione ad esempio ha affermato la piena legittimità dell'accertamento in quanto fondato sulla presunzione di maggior reddito derivante dalla descritta spesa per incremento patrimoniale, ritenendo insufficiente la sola prova del godimento da parte del nucleo familiare della contribuente di redditi conseguiti dalla di lei suocera, apparendo tale sola circostanza generica e distante dal più pregnante obiettivo dimostrativo richiesto dalla norma.
Non pare questa, però, la situazione nel caso che occupa.
Quello che l'Ufficio ha contestato nel 2013 è l'apparente discrasia tra i redditi dichiarati nel 2008 e la disponibilità di beni (auto e abitazione) negli anni 2007/2008. Dalla documentazione in atti emerge che l'acquisto della abitazione è avvenuto nel 2004 ed è stato finanziato da un mutuo; che la stessa contribuente ha realizzato in prossimità e durante il biennio oggetto di accertamento alcune cessioni di beni immobili (cfr. vendita a L. in data 14.7.2006 e donazione alle figlie in data 18.2.2008) oltre che del mutuo per residui 180.000 euro (all'ex marito nel 2008, collegato alle donazione dell'abitazione alle figlie) sul presupposto dell'impossibilità di sostenere il pagamento delle rate.
Come ha osservato la CTP a fronte della presunzione di reddito connessa alla sussistenza dei predetti elementi, la contribuente aveva fornito adeguata e convincente prova contraria atta a svalutarne la valenza probatoria; era stata prodotta prova documentale (non contestata) dalla quale emergeva, per il pagamento delle rate mensili del mutuo accesso sull'immobile a destinazione abitativa, che la contribuente aveva provveduto mediante le somme ad essa erogate a seguito di apposito accordo anche per le annualità 2007 e 2008 dall'ex coniuge B. M.; inoltre, con riferimento al periodo di imposta in questione, la contribuente aveva potuto disporre della somma di euro 40.000.00 conseguita a seguito del disinvestimento di un garage ceduto in vendita a L. G. con contratto stipulato in data 14 luglio 2006, nonché delle ulteriori somme precedentemente percepite pari ad euro 85.000,00 a seguito di accordo documentato nell'atto notarile in data 30 giugno 2005 e di euro 61.974.83 corrisposti dall'ex coniuge B. M. a tacitazione di ogni pretesa della P. in ordine alla causa di separazione, come risulta dalla sentenza del Tribunale di Lucca in data 18 novembre 2003 agli atti.
La valutazione non cambia ove si ponga mente al fatto che nella formulazione vigente al momento dell'accertamento ma successiva al biennio in considerazione l'art. 38, comma 5, d.p.r. n. 600/73 (per le modifiche apportate dall'art. 22, comma 1, D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122) recita come segue: «L'ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall'articolo 39, può sempre determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo d'imposta, salva la prova che il relativo finanziamento è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d'imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile». Neppure tale norma esige esplicitamente la prova documentale che detti ulteriori redditi siano stati utilizzati direttamente per coprire (ovvero per sostenere) le spese contestate, ma una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). Sotto questo profilo, la documentazione facente capo alla contribuente (cfr. estratti conto, atti di donazione, di cessione, sentenza di separazione), infatti, appare idonea a dimostrare la «durata» del possesso dei redditi in esame, quindi non il loro semplice «transito» nella sua disponibilità e che quelle disponibilità finanziarie siano state di rilievo per il finanziamento (espressione che, in sé, non descrive una relazione di impiego immediato) delle spese ritenute incongrue, che, occorre, rimarcarlo, sono essenzialmente ricollegate al mantenimento dell'abitazione (e non al suo acquisto, finanziato da mutuo).
In merito alle spese, l'Ufficio, quale parte soccombente, deve essere condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate forfettariamente in euro 1.000,00.
P.Q.M.
Rigetta l'appello.
Condanna l'Ufficio al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida forfettariamente in euro 1.000,00, oltre IVA e CAP.
Firenze, 11.02.19
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