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Lo stato di salute e la crisi economica sono entrambi elementi legittimamente considerabili per contestare la rettifica fondata sugli studi di settore. La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.

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Estratto: “La motivazione della sentenza, dopo aver riferito della normativa applicabile per l'accertamento fondato sugli studi di settore e dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte sulle regole di riparto dell'onere probatorio, ha ritenuto superata la presunzione relativa posta a favore dell'Ufficio su una serie di rilievi circostanziali quali: a) la certificata incidenza del precario stato di salute del contribuente (sulla cui valenza indiziaria, cfr. Cass. 14/05/03 n. 7423); b) la struttura uni-personale di azienda "minima"; c) gli effetti della crisi economica (sulla rilevanza delle crisi economica nel superamento della presunzione cfr. Cass. 30/01/2018 n. 12273); d) l'attrezzatura non funzionante per fatto del terzo”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 9448 del 4 aprile 2019

Rilevato che:

A seguito di controllo in relazione all'attività di lavorazioni preliminari alla stampa effettuata da F.S., l'Agenzia delle Entrate riscontrava che l'ammontare dei ricavi dichiarati per il periodo d'imposta 2003 era inferiore a quello derivante dall'applicazione degli studi di settore di cui all'art. 62 bis del decreto legge 30/08/1993 n. 331, conv. in I. 427 del 1993. Dopo rituale convocazione per l'eventuale definizione dell'accertamento, constatata la mancata presenza del S., l'Agenzia delle Entrate emetteva avviso di accertamento per Irpef ed Irap scaturente dall'applicazione dello studio di settore SD35U, cod. 22240, inerente alla lavorazione preliminari alla stampa. Il contribuente ricorreva avverso il predetto avviso di accertamento alla Commissione Tributaria Provinciale che rigettava il ricorso ritenendo che le giustificazioni addotte dal contribuente, compreso l'acquisto del bene strumentale, fossero insufficienti a giustificare lo scostamento rilevante tra ricavo di cui allo studio di settore e reddito dichiarato. Il contribuente proponeva dunque appello alla Commissione Tributaria regionale del Lazio (di seguito, per brevità, CTR), che accoglieva il ricorso. Avverso la decisione della CTR, ha proposto ricorso l'Agenzia delle Entrate, affidandosi ad un unico motivo, cui resiste con controricorso F.S.

Considerato che:

La ricorrente denuncia la violazione dell'art. 62 sexies del decreto legge 30/08/1993 n. 331, conv. in I. 427 del 1993 e dell'art. 10 della legge 08/05/1998 n. 146, in riferimento all'art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., per non aver la CTR valutato, ai fini della legittimità dell'accertamento, il comportamento omissivo tenuto dal contribuente in fase endoprocedimentale, come evidenziato dall'Ufficio in primo ed in secondo grado, e per avere espresso un giudizio di generale inattendibilità della ricostruzione induttiva operata attraverso l'applicazione dei c.d. parametri, in dispregio della normativa riguardante l'accertamento fiscale fondato sui cd. studi di settore. Il contribuente, con il controricorso, deduce l'inammissibilità del ricorso erariale, sul rilievo che esso riguarderebbe l'affermazione della possibilità, prevista dalla legge per l'ente accertatore, di porre a fondamento dell'atto di accertamento gli studi di settore, presupposti che, invece, non è sarebbero stati affatto negati dal giudice di appello, il quale avrebbe deciso la controversia su un accertamento di merito che non ha costituito oggetto di specifica impugnazione.

2. Il ricorso, espresso in un unico motivo, è inammissibile.

3. La CTR, pur tenendo in considerazione la mancata presentazione del contribuente nella fase accertativa e pur affermando la legittimità, in astratto, dell'accertamento fiscale fondato sugli studi di settore, ha poi verificato, in concreto, ed in base ad un accertamento di puro merito, i fatti posti a fondamento delle eccezioni del contribuente, ritenendo superata la presunzione relativa che regge gli studi di settore ed accogliendo, perciò, l'appello.

3.1. La motivazione della sentenza, dopo aver riferito della normativa applicabile per l'accertamento fondato sugli studi di settore e dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte sulle regole di riparto dell'onere probatorio, ha ritenuto superata la presunzione relativa posta a favore dell'Ufficio su una serie di rilievi circostanziali quali: a) la certificata incidenza del precario stato di salute del contribuente (sulla cui valenza indiziaria, cfr. Cass. 14/05/03 n. 7423); b) la struttura uni-personale di azienda "minima"; c) gli effetti della crisi economica (sulla rilevanza delle crisi economica nel superamento della presunzione cfr. Cass. 30/01/2018 n. 12273); d) l'attrezzatura non funzionante per fatto del terzo riguardante il fallimento del fornitore (v. sentenza, pagina 3: «...va rimarcato che trattasi di un tipografo operante in un

territorio in profonda crisi economica, che soffre di artrosi deformante che spesso per lunghi periodi è costretto ad immobilità come da certificato di invalidità, che nel 2001 aveva acquistato un'attrezzatura mai entrata in produzione ed ancora non funzionante per fallimento del fornitore, che è un piccolo artigiano che lavora senza dipendenti; che l'Ufficio nel contraddittorio con il contribuente non è pervenuto ad una più fondata e ragionevole misurazione del presupposto impositivo confrontando gli elementi offerti con le metodologie presuntive di accertamento. L'ufficio non dimostra alcunchè tranne il trincerarsi che sul fatto degli studi di settore sono strumento assolutamente legittimo su cui fondare l'accertamento.»).

3.2. In altri termini, la CTR, con un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità ha, nel merito, escluso l'applicabilità al caso di specie dell'accertamento statistico, ponendo in rilievo gli elementi "a discarico" offerti dal contribuente e sopra evidenziati, sui quali ha negato che il S. fosse imprenditore "non congruo" per studio di settore. La ratio decidendi, cioè, è tutta accentrata sull'adeguata giustificazione da parte del contribuente dello scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli scaturenti dall'applicazione parametrica e non, invece, sulle questioni di diritto dedotte dall'Agenzia delle Entrate.

4. Orbene, poiché su tali circostanziali rilievi di cui alla sentenza impugnata la ricorrente omette l'impugnazione, né profila una questione d'insufficiente o contraddittoria motivazione - questione che, in considerazione delle specifiche deduzioni di cui al ricorso esclusivamente incentrate sulla violazione di legge (artt. 62 sexies del d.l. n. 331 del 1993 e 10 della I. n. 146 del 1998) non può ritenersi, neppure implicitamente proposta - ne consegue che il ricorso è inammissibile per carenza di interesse: l'eventuale esito favorevole della questione di diritto dedotta, non potrebbe portare alcun vantaggio alla parte ricorrente rimanendo ferme, in mancanza di specifica impugnazione, le statuizioni di merito assunte dalla CTR.

5. In ogni caso, anche rispetto alle questioni di diritto dedotte, il ricorso appare infondato.

5.1. E' principio fermo in giurisprudenza che la mancata partecipazione al contraddittorio preventivo, non preclude al contribuente di provare, in via giudiziaria, l'infondatezza della pretesa erariale.

5.2. Questa Corte ha da tempo chiarito e ribadito (da Cass. Sez. U. 18/12/2009 n. 26635, Rv. 610691 - 01 alle più recenti tra cui Cass. 20/09/2017 n. 21754, Rv. 645461-02; Cass. 30/10/2018 n. 27617, Rv. 651218-01) che l'accertamento mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è "ex lege" determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli "standards" in sè considerati, ma nasce solo in esito al contraddittorio, da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento, con il contribuente. Già in fase di accertamento, infatti, il contribuente ha l'onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni tali da giustificare l'esclusione dagli "standards" o la specifica realtà dell'attività economica, ciò in disparte la motivazione dell'atto di accertamento che deve spiegare in concreto l'applicabilità dello "standard" prescelto e le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. Tuttavia, qualunque sia l'esito del contraddittorio, non condiziona l'impugnabilità dell'accertamento, potendo (e dovendo) il giudice tributario liberamente valutare tanto l'applicabilità degli "standards" quanto la controprova offerta dal contribuente, il quale dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all'invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte (cfr. Cass. 20/02/2015 n. 3415, Rv. 634928 - 01).

6. Nella fattispecie, pur vedendosi in ipotesi nella quale il contribuente non aveva risposto all'invito dell'Ufficio al contraddittorio, il contribuente ha impugnato l'accertamento ed ha offerto a sua discolpa una serie di elementi indiziari che i giudici d'appello hanno verificato e ritenuto prevalenti rispetto agli strumenti parametrici, il che non contrasta, ma, anzi, conferma la corretta applicazione, della normativa in materia.

8. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi euro 5.600,00 oltre a 200,00 euro per esborsi, il 15% per spese generali e gli oneri di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19 marzo 2019.

 

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