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Se il reato è stato dichiarato estinto per prescrizione, il costo derivante da tale presunto reato non è necessariamente indeducibile. Il giudice dovrà accertare se il reato vi fu realmente o meno.

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Estratto: “Il dato letterale indentifica semplicemente i presupposti per l'indeducibilità dei costi, compresa anche l'ipotesi in cui del reato sia dichiarata la prescrizione. Non vuole invece intendere che, ove il reato sia prescritto, l'indeducibilità trovi automatica applicazione, spettando in questo caso proprio al giudice tributario, incidenter tantum, verificare se l'ipotesi delittuosa sia o meno applicabile. Il motivo è dunque fondato.”

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Sentenza n. 9419 del 4 aprile 2019

FATTI DI CAUSA

Il C. s.r.l. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 40/12/12, depositata 1'11.06.2012 dalla Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia Romagna, che, accogliendo l'appello dell'Agenzia delle Entrate, aveva rigettato il ricorso introduttivo della società avverso l'avviso di accertamento relativo all'anno d'imposta 2005 con il quale, in applicazione dell'art. 14 co. 4 bis della I. n. 537 del 1993, come modificato dall'art. 2 co. 8 della I. n. 289 del 2002, erano stati recuperati a tassazione i costi sostenuti per la produzione di calzature antiinfortunistica, così rideterminando l'imposta ai fini Ires (€ 101.528,00), Iva (€ 19.740,00) ed Irap (€ 30.416,00), oltre sanzioni, per il complessivo importo di C 283.628,00. Ha rappresentato che l'atto impositivo trovava genesi in un controllo della G.d.F. finalizzato alla rideterminazione del reddito d'impresa relativo al 2003, per l'indeducibiltà di costi riconducibili a fatti penalmente rilevanti, ai sensi dell'art. 14 co. 4 bis cit. In particolare a seguito delle indagini era stato ipotizzato il reato previsto dall'art. 517 c.p. per aver apposto sul prodotto la dicitura "Made in Italy", nonostante le tomaie fossero cucite in Paesi extracomunitari (India), il che non soddisfaceva la condizione di trasformazione sostanziale prescritta dall'art. 24 del codice doganale comunitario (Reg. CEE 2913 del 12 ottobre 1992). Ciò non consentiva di ritenere che la merce fosse prodotta in Italia, con violazione della norma penale citata e dell'art. 4, co. 49, I. n. 350 del 2003. Contestando anche l'impostazione accusatoria delle separate indagini penali, la società impugnava l'avviso di accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Ravenna, che con sentenza n. 59/02/09 accoglieva il ricorso. L'Ufficio appellava la sentenza dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia Romagna, che con la pronuncia ora al vaglio della Corte riformava la decisione del giudice di primo grado riconoscendo il fondamento dell'atto impositivo. Il giudice regionale ha ritenuto che la trasformazione del prodotto, perfezionato in Italia con costi di lavorazione effettuati all'estero pari al 26,8% dell'intero costo di produzione, non è sufficiente a superare l'allegato 11 del Regolamento CEE 2/02/1993 n. 2994/93 CEE, che esclude le calzature incomplete formate da tomaie realizzate all'estero e fissate in Italia alle suole primarie. Ha inoltre attribuito decisività al citato art. 14 co. 4 bis come novellato dall'art. 8, co. 1 e 3, del d.l. n. 16/2012, sostenendo che la nuova formulazione della disciplina fa discendere automaticamente l'indeducibilità dei costi qualora per i fatti qualificabili come delitti non colposi sia intervenuto nel processo penale la dichiarazione di prescrizione.

La contribuente censura la sentenza con quattro motivi: con il primo per violazione dell'art. 14, co. 4 bis della I. n. 537 del 1993, come modificato dall'art. 8, co. 1 e 3, del d.I., n. 16 del 2012, conv. in I. n. 44 del 2012, in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., perché erroneamente ha fatto discendere in modo automatico l'indeducibilità dei costi "direttamente utilizzati" per il compimento di atti o attività qualificabili come delitti non colposi dalla declaratoria di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione, laddove aveva l'obbligo di valutare incidentalmente la rilevanza penale della condotta tenuta dalla società; con il secondo per violazione dell'art. 14 co. 4 bis della I. n. 537 del 1993, dell'art. 517 c.p., dell'art. 4 co. 49 della I. n. 350 del 2003, in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., perché comunque il giudice regionale, ai fini della violazione dell'art. 24 n. 2913/92 (cd. codice doganale), ha erroneamente sostenuto sufficiente la realizzazione delle tomaie all'estero e la fissazione a suole primarie in Italia, quale ipotesi prevista dall'allegato n. 11 Reg. CEE 2454/93/CE, dovendo al contrario tenersi conto della particolare tecnica di realizzazione delle suole applicate alle tomaie dalla società, la cui complessità salvaguarderebbe l'attività di trasformazione o lavorazione sostanziale del prodotto in Italia, e dunque l'estraneità della condotta al reato previsto dall'art. 517 c.p.; con il terzo per violazione e falsa applicazione dell'art. 14, co. 4 bis I. n. 537 del 1993, in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., perché non ha considerato che i costi non erano comunque "direttamente" finalizzati alla commissione del delitto, ma solo genericamente connessi con esso; con il quarto per omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., perché carente in merito alla circostanza che la condotta penalmente rilevante poteva essere ricondotta alla sola apposizione della dicitura "Made in Italy", con conseguente indeducibilità dei soli costi collegati a questa fase di lavorazione. Ha chiesto pertanto la cassazione della sentenza con ogni consequenziale provvedimento. L'Agenzia si è costituita ai soli fini della partecipazione all'udienza pubblica. Alla pubblica udienza del 14 marzo 2019, dopo la discussione, il P.G e le parti hanno concluso. La causa è stata trattenuta in decisione.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Va premesso che la decisione della sentenza impugnata è fondata su due ragioni, autonome tra loro, l'una relativa alla valutazione della attività di assemblaggio dei singoli componenti del prodotto realizzato e su cui è stata apposta la dicitura "Made in Italy", secondo cui la fattispecie rispecchierebbe proprio quanto, secondo l'allegato n. 11 del Reg. CEE 2454/93/CE, esclude la facoltà di apposizione dell'etichetta sull'origine del prodotto, così violando l'art. 517 c.p. e l'art. 4 co. 49, I. n. 350/2003; l'altra relativa ad una interpretazione dell'art. 14 co. 4 bis I. n. 537/1993, come novellato dall'art. 8, co. 1 e 3, del d.l. n. 16/2012 cit., secondo cui nella ipotesi di declaratoria di prescrizione del reato i costi di produzione sarebbero automaticamente indeducibili. Ciò chiarito, con il primo motivo la società si duole della circostanza che il giudice regionale, nella valutazione della fattispecie, abbia fatto discendere in modo "automatico" l'indeducibilità dei costi "direttamente utilizzati" per il compimento di atti o attività qualificabili come delitti non colposi dalla declaratoria di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. Sostiene la ricorrente che invece, al contrario, la commissione aveva l'obbligo di valutare incidentalmente la rilevanza penale della condotta tenuta dalla società. È innanzitutto pacifico che la modifica dell'art. 14 co. 4 bis della I. n. 537 del 1993 intervenuta nel 2012, costituendo jus superveniens astrattamente più favorevole al contribuente abbia efficacia retroattiva (ex multis, cfr. Cass., ord. n. 17788/2018; 26461/2014). Ebbene il giudice regionale, con valutazione ritenuta decisiva ai fini della decisione, ha sostenuto che per l'ipotesi di declaratoria di prescrizione del reato i costi e le spese per attività qualificate come reato non sono ammessi in deduzione. Sennonché il testo del citato art. 14 co. 4 bis, come modificato, recita, per la parte che qui interessa «Nella determinazione dei redditi di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attivita' qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall'articolo 157 del codice penale.». Il dato letterale indentifica semplicemente i presupposti per l'indeducibilità dei costi, compresa anche l'ipotesi in cui del reato sia dichiarata la prescrizione. Non vuole invece intendere che, ove il reato sia prescritto, l'indeducibilità trovi automatica applicazione, spettando in questo caso proprio al giudice tributario, incidenter tantum, verificare se l'ipotesi delittuosa sia o meno applicabile. Il motivo è dunque fondato. Fondato è anche il secondo motivo, con il quale la società contribuente lamenta l'erroneità della decisione perché il giudice regionale ha apprezzato la rilevanza penale della condotta, limitandosi ad invocare l'art. 11 dell'allegato al Reg. CE 2454/1993, il quale escluderebbe proprio una fattispecie come quella per cui è causa dalla facoltà di applicazione della dicitura "Made in Italy" (lavorazione all'estero delle tomaie delle calzature, fissazione in Italia delle medesime alle suole). Sostiene al contrario la contribuente che altre fonti normative sarebbero più pertinenti alla verifica della rilevanza penale della condotta tenuta dalla società, tanto più che nel caso concreto la fissazione delle tomaie lavorate all'estero alle suole è stata eseguita in Italia con tecnica complessa, ampiamente descritta sin dall'atto introduttivo e poi in sede d'appello. L'importanza della lavorazione del prodotto in Italia assicurerebbe dunque, secondo la prospettazione difensiva, che la trasformazione sostanziale del prodotto sia avvenuta in questo Paese. Dovendo il giudice regionale operare un accertamento dei fatti incidenter tantum, la mera invocazione dell'allegato n. 11 cit. non appare sufficiente a qualificare come penalmente rilevante la condotta tenuta dalla contribuente, tenendo conto che il dato normativo invocato costituisce una traccia certo significativa nell'alveo della regolamentazione della disciplina doganale, che non può tuttavia rappresentare un riscontro esclusivo e assorbente quando si tratti di valutare la condotta in sede penale. Tanto più alla luce proprio della giurisprudenza penale di questa Corte, in tema di violazione dell'art. 517 c.p. e dell'art. 4 co. 49 della I. n. 350/2003, certamente incline ad una interpretazione rigorosa della disciplina a tutela della corretta etichettatura sulla provenienza del prodotto, ma che ha reiteratamente evidenziato l'importanza delle varie fasi di realizzazione del prodotto. Così ad esempio si è affermato che integra il reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci, ai sensi degli artt. 517 c.p. e 4, co 49 della I. n. 350/2003, la messa in vendita con la dicitura "made in Italy" di un prodotto che non può considerarsi di origine italiana, in quanto la disciplina di settore (art. 4, comma sessantunesimo, legge 350 del 2003), considera tale marchio posto a tutela di merci integralmente prodotte sul territorio italiano o assimilate ai sensi della normativa europea in materia di origine, in particolare specificando che secondo gli artt. 23 e 24 Regolamento CEE n. 2913 del 1992 il marchio "made in Italy" può essere utilizzato quando il prodotto sia interamente fabbricato in Italia o in Italia sia avvenuta l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo, o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione (Cass., 34103/2005); o, ancora, si è affermato che integra la fattispecie penale l'importazione a fini di commercializzazione di calzature corredate dalla dicitura "Made in Italy" che siano state assemblate in via definitiva all'estero, in considerazione della potenzialità ingannatoria dell'indicazione del luogo di fabbricazione del prodotto, chiarendo tuttavia in motivazione che la fattispecie era relativa all'assemblaggio in Romania dei prodotti mediante cucitura della tomaia alla suola, da considerarsi quale fase essenziale del processo di lavorazione (Cass., sent. n. 3789/2014), il che costituisce l'implicito riconoscimento dell'importanza della suddetta cucitura, nel caso di specie avvenuta in Italia. In conclusione la qualificazione della rilevanza penale della condotta, che resta il presupposto per l'indeducibilità dei costi ai sensi dell'art. 14 co. 4 bis cit., non poteva essere ricondotta dal giudice regionale al mero ed astratto richiamo dell'allegato 11 del reg. doganale, implicando invece un esame più approfondito della fattispecie alla luce dell'interpretazione delle norme penali applicabili e dell'interpretazione giurisprudenziale ad esse riferibili. L'accoglimento del secondo motivo assorbe i residui motivi. La sentenza va pertanto cassata e il processo va rinviato alla Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia Romagna, che in diversa composizione, oltre che sulle spese del giudizio di legittimità, dovrà decidere sulla base dei principi illustrati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia Romagna, anche per le spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il giorno 14 marzo 2019

 

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