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La motivazione dell’avviso di accertamento non può limitarsi al richiamo degli studi di settore, ma deve spiegare anche perché questi sono ritenuti applicabili. Gli elementi addotti dal contribuente a giustificazione devono essere valutati.

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Estratto: “la motivazione dell'atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma va integrata con la dimostrazione dell'applicabilità in concreto dello "standard" prescelto e le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate. L'esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l'impugnabilità dell'accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l'applicabilità degli "standards" al caso concreto, da dimostrarsi dall'ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all'invito al contraddittorio”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Sentenza n. 9416 del 4 aprile 2019

Fatti di causa

La società, a responsabilità limitata, A. s.r.l. ricorre, su due motivi, nei confronti dell'Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, per la cassazione della sentenza con cui la Commissione tributaria della Toscana, in accoglimento dell'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate, ha integralmente riformato, dichiarando la fondatezza della pretesa impositiva, la decisione di primo grado che, invece, aveva accolto il ricorso proposto dalla contribuente, annullando l'avviso di accertamento, relativo ad ires , iva e irap dell' anno 2004, emesso, sulla base degli studi di settore. In particolare, il Giudice di appello, premessa la natura di presunzione qualificata degli studi di settore, vincibile da prova contraria fornita dal contribuente, non ha ritenuto gli elementi fattuali, forniti dalla contribuente, idonei allo scopo, confermando integralmente l'avviso di accertamento impugnato.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo - rubricato: art. 360 n. 3 c.p.c.: violazione dell'art.39, comma 1, lett. d. del d.P.R. n.600/1973, degli artt. 62 bis e sexies d.l n. 331/1993 e 2728 e 2729 cod. civ. - la ricorrente deduce l'errore in diritto commesso dalla C.T.R. della Toscana nell'avere ritenuto che le presunzioni sottese allo studio di settore avessero natura qualificata.

2. Con il secondo motivo - rubricato: omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione della sentenza circa un fatto controverso per il giudizio ex art.360 n. 5 c.p.c. - la ricorrente lamenta: - la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata laddove la Commissione Tributaria Regionale aveva omesso di motivare sulla "natura" grave o meno dell'incongruenza riscontrata, quando lo scostamento era appena del 5%: - l'illogicità, per alcuni versi, e l'insufficienza, per altri, della motivazione resa in ordine agli elementi giustificativi addotti dalla contribuente.

3. E' pacifico, nella giurisprudenza di legittimità, che l'accertamento induttivo fondato sul mero divario, a prescindere dalla sua gravità, tra quanto dichiarato dal contribuente e quanto risultante dagli studi di settore è legittimo solo a decorrere dal 1 gennaio 2007, in base alla legge 27 dicembre 2006, n.296, arti, comma 3, che non ha portata retroattiva, trattandosi di norma innovativa e non interpretativa, in quanto, con l'aggiunta di un inciso, ha soppresso il riferimento alle "gravi incongruenze" prima operato, tramite rinvio recettizio al d.l. 30 agisto 1993, n.331, art.62 sexies, comma 3, convertito con modificazioni nella legge 29 ottobre 1993 n.427 (v.Cass.26481 del 17/12/2014; id.n. 22421 del 4/11/2016 e n.27847/2018).

4. Al caso in esame, trattandosi di accertamento relativo all'annualità 2005, trova applicazione la normativa precedente per la quale soccorre il principio, altrettanto consolidato, secondo cui “l'accertamento tributario standardizzato mediante applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è "ex lege" determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli "standards" in sé considerati - meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività - ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento, con il contribuente. In tale sede, questi ha l'onere di provare, senza limitazione di mezzi e contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l'esclusione dell'impresa dall'area dei soggetti cui possono essere applicati gli "standards" o la specifica realtà dell'attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell'atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma va integrata con la dimostrazione dell'applicabilità in concreto dello "standard" prescelto e le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate. L'esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l'impugnabilità dell'accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l'applicabilità degli "standards" al caso concreto, da dimostrarsi dall'ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all'invito al contraddittorio in sede amministrativa. In tal caso, però, egli ne assume le conseguenze, in quando l'Ufficio può motivare l'accertamento sulla sola base dell'applicazione degli "standards", dando conto dell'impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all'invito» (v.Cass. n. 9484 del 12/04/2017; Ordinanza n. 769 del 15/01/2019 per citare solo le più recenti)

5. Dall'applicazione di tali principi alla fattispecie deriva la fondatezza del primo motivo e parzialmente del secondo, nella parte in cui si denuncia un'insufficienza della motivazione con riguardo agli elementi fattuali addotti dalla contribuente a giustificazione dello scostamento accertato.

5.1 Dalla motivazione della sentenza impugnata, infatti, emerge come il Giudice di appello abbia reso, su alcuni degli elementi fattuali addotti dalla contribuente a giustificazione dello scostamento (fallimento di due clienti, trasformazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, costi da leasing e assicurazioni) una motivazione insufficiente in quanto non rispondente ai dettami di questa Corte (V.Cass. Ordinanza n. 15964 del 29/07/2016; Cass.n. 32980 del 20/12/2018: «Ai fini della sufficienza della motivazione della sentenza, il giudice non può, quando esamina i fatti di prova, limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, perché questo è il solo contenuto "statico" della complessa dichiarazione motivazionale, ma deve anche descrivere il processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua situazione di iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta il necessario contenuto "dinamico" della dichiarazione stessa»).

5.2. Rimane, invece, assorbito dall'accoglimento del primo motivo, l'esame del secondo nella parte in cui si deduce una motivazione illogica e contraddittoria in ordine alla "gravità" dello scostamento. 3. In conclusione, in accoglimento del ricorso, nei limiti sopra esposti, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla C.T.R. della Toscana, in diversa composizione, affinché provveda al riesame, fornendo congrua motivazione, e regoli le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 13 marzo 2019.

 

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