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Confermato il diritto al rimborso dell’IRAP versata dal medico pediatra. La collaboratrice aveva funzioni meramente esecutive. La Cassazione rigetta la tesi del Fisco.

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Estratto: “fra "gli elementi suscettibili di combinarsi con il lavoro dell'interessato, potenziandone le possibilità necessarie", accanto ai beni strumentali vi sono i mezzi "personali" di cui egli può avvalersi per lo svolgimento dell'attività, perché questi davvero rechino ad essa un apporto significativo occorre che le mansioni svolte dal collaboratore non occasionale concorrano o si combinino con quel che è il proprium della specifica professionalità espressa nella "attività diretta alla scambio di beni a di servizi”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 6136 dell’1 marzo 2019

Rilevato che

R. esercente la professione di medico pediatra convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale in data 19 marzo 2008 chiedeva il rimborso della somma di € 21.234,66 complessivamente versata per gli anni dal 2004 al 2007 a titolo di IRAP ritenendo non dovuto tale importo; che la R. ha proposto ricorso avverso il silenzio rifiuto formatosi in relazione a detta istanza ritenendo non dovuta l'imposta; che con sentenza n. 24/16/2010 pubblicata 1'8 febbraio 2010 la Commissione Tributaria Provinciale di Bologna ha rigettato il ricorso; che con sentenza n. 71/08/13 pubblicata il 14 novembre 2013 la Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia ha accolto l'appello proposto dalla R. avverso detta sentenza di primo grado affermando che l'utilizzo di un'autovettura per la pronta effettuazione di visite domiciliari ed i modesti compensi corrisposti a terzi non integrano il requisito dell'autonoma organizzazione ai fini del presupposto impositivo, anche in considerazione delle caratteristiche e delle dotazioni delle attrezzature indicate dall'Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale applicabile anche alla disciplina dei rapporti con i medici pediatri di libera scelta ai sensi dell'art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992; che l'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su due motivi; che R. ha resistito con controricorso chiedendo il rigetto del ricorso deducendone l'inammissibilità o l'infondatezza;

Considerato che con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2, comma 1 e 3 comma 1 lett. c) d.lgs. 446/1997, in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3) cod. proc. civ. con riferimento alla circostanza dell'utilizzo di lavoro altrui che comunque impedirebbe l'esclusione dall'IRAP affermata dalla sentenza impugnata. Il motivo così descritto è infondato: la decisione impugnata, invero, non si discosta dai principi regolatori della materia definitivamente certificati da Cass., Sez. U., Sentenza n. 9451 del 10/05/2016, laddove si afferma che, «con riguardo al presupposto dell'IRAP, il requisito dell'autonoma organizzazione - previsto dall'art. 2 del d.lgs. 446/1997, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente; a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell'impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive». A sostegno di tale principio, le Sezioni Unite hanno rimarcato che, «se fra "gli elementi suscettibili di combinarsi con il lavoro dell'interessato, potenziandone le possibilità necessarie", accanto ai beni strumentali vi sono i mezzi "personali" di cui egli può avvalersi per lo svolgimento dell'attività, perché questi davvero rechino ad essa un apporto significativo occorre che le mansioni svolte dal collaboratore non occasionale concorrano o si combinino con quel che è il proprium della specifica professionalità espressa nella "attività diretta alla scambio di beni a di servizi", di cui fa discorso l'art. 2 del d.lgs. n. 446/1997, e ciò vale tanto per il professionista che per l'esercente l'arte, come, più in generale, per il lavoratore autonomo ovvero per le figure "di confine" individuate nel corso degli anni dalla giurisprudenza di questa Corte. E', infatti, in tali casi che può parlarsi, per usare l'espressione del giudice delle leggi, di "valore aggiunto" o, per dirla con le pronunce della sezione tributaria del 2007, di "quel qualcosa in più". Diversa incidenza assume perciò l'avvalersi in modo non occasionale di lavoro altrui quando questo si concreti nell'espletamento di mansioni di segreteria o generiche o meramente esecutive, che rechino all'attività svolta dal contribuente un apporto del tutto mediato o, appunto, generico. Lo stesso limite segnato in relazione ai beni strumentali - "eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza dì organizzazione" - non può che valere, armonicamente, per il fattore lavoro, la cui soglia minimale si arresta all'impiego di un collaboratore»; orbene, dalla lettura combinata della sentenza d'appello e del ricorso per cassazione emerge che, nella specie, il thema decidendum riguarda soltanto l'utilizzo di un lavoratore dipendente non occasionale e segnatamente di una segretaria part time, il cui limitato apporto è stato logicamente desunto dal giudice dell'appello dalla modestia dei compensi corrisposti, il che esclude che i parametri enunciati dalle Sezioni Unite siano stati superati, nella specie, dall'attività del contribuente, onde il ricorso dell'Agenzia delle entrate deve essere, conclusivamente, rigettato; che con il secondo motivo si deduce omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360 comma 1 n. 5 cod. proc. civ. con riferimento alla circostanza dei compensi pacificamente corrisposti ad una collaboratrice. Il motivo è infondato in quanto, come esposto al motivo precedente, il giudice dell'appello ha tenuto conto di tali compensi considerandoli tali da far ritenere il limitato apporto all'attività della contribuente; che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l'art. 13 comma 1 quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 515 (nel caso di prenotazione a debito il contributo non è versato ma prenotato al fine di consentire, in caso di condanna della controparte alla rifusione delle spese in favore del ricorrente, il recupero dello stesso in danno della parte ricorrente); che le spese del giudizio vanno compensate fra le parti, in considerazione del carattere controverso della questione in sede di legittimità, che ha ricevuto univoca soluzione in epoca successiva alla proposizione del ricorso.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

Compensa le spese del giudizio di legittimità.

 

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