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Corte di Cassazione, Sez. 5
Ordinanza n. 2608 del 30 gennaio 2019
Rilevato che:
C. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 239/02/11, depositata il 6.10.2011 dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con la quale, rigettando l'appello della contribuente, era stato confermato l'avviso di accertamento, relativo all'anno d'imposta 2001, con il quale era recuperato a tassazione il corrispettivo non dichiarato della cessione della licenza taxi nella titolarità di C., deceduto e del quale era erede l'odierna ricorrente; ha riferito che l'Agenzia aveva stimato in € 120.000,00 la plusvalenza conseguita dal padre della C., nel 2001 dalla cessione della licenza, cessione e corrispettivo invece contestate dalla contribuente perché non a sua conoscenza e prive di riscontri; era seguito il contenzioso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, che con sentenza n. 178/56/09 rigettava il ricorso. La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con la pronuncia ora impugnata, aveva rigettato l'appello.
La C. si duole della sentenza con quattro motivi: con il primo per violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., in relazione all'art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., per il malgoverno del principio di distribuzione dell'onere della prova, mancando ogni documentazione a supporto della prospettazione offerta dall'ufficio, di cui pur era onerato; con il secondo per omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., per non aver argomentato sulle contestazioni sollevate dalla contribuente in ordine al prezzo di cessione della licenza taxi; con il terzo per violazione e falsa applicazione dell'art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nonché degli artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. per l'erronea applicazione di una doppia presunzione per la determinazione del corrispettivo della cessione; con il quarto per violazione e falsa applicazione dell'art. 115, co. 2 c.p.c., in relazione all'art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c., per l'errore processuale in cui era incorsa la decisione invocando il fatto notorio a sostegno della cessione a titolo oneroso della licenza taxi. Ha pertanto chiesto la cassazione della sentenza. Si è costituita l'Agenzia, che ha contestato le avverse motivazioni, denunciando l'infondatezza dei motivi, e del secondo anche l'inammissibilità, e chiedendo il rigetto del ricorso.
Considerato che
I primi due motivi, che possono essere trattati unitariamente perché connessi, sono fondati nei limiti appresso chiariti. Con essi, sul piano del vizio di legge e del vizio motivazionale, la ricorrente critica la sentenza perché, a fronte della imputazione di una plusvalenza conseguita a seguito di cessione onerosa di una licenza taxi da parte di C., padre della C. che ne risponde in qualità di erede, ha riconosciuto sia la onerosità della cessione sia la determinazione del prezzo di cessione, nonostante l'Amministrazione non abbia allegato alcuna prova, pur essendone tenuta. In tema di accertamento tributario, ai sensi tanto degli artt. 38 co. 3 e 39 co. 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973 , quanto dell'art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, le rettifiche delle dichiarazioni possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, quando gravi, precise e concordanti, senza necessità che l'Ufficio fornisca prove "certe". Al giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell'atto impositivo, tocca valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall'Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma esclusivamente per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, ove ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, onerato ai sensi degli artt. 2727 e ss. e 2697, co. 2, c.c. (Cass., 14237/2017; 9784/2010). Questa Corte ha anche affermato che l'accertamento fiscale è provvedimento autoritativo con il quale l'Amministrazione fa valere la propria pretesa tributaria, esternandone il titolo e le ragioni giustificative, così consentendo al contribuente di valutare l'opportunità di esperire l'impugnazione giudiziale, nell'ambito della quale l'Ufficio finanziario è tenuto a passare dall'allegazione della propria pretesa alla prova del credito tributario vantato nei confronti del contribuente, fornendo la dimostrazione degli elementi costitutivi del proprio diritto, in applicazione del principio dettato dall'art. 2697 cod. civ. Compito del giudice di merito è operare, con adeguata motivazione, il controllo critico sulla correttezza e portata probatoria e sulla coerenza logica e giuridica degli elementi addotti (Cass., sent. n. 8136/2012). Inquadrata peraltro come impresa artigiana di trasporto (cfr. Cass., sent. n. 4944/2018), la presunzione di onerosità della cessione di una licenza taxi è peraltro avvertita dalla giurisprudenza, perché tale licenza costituisce un bene primario nell'ambito dei beni organizzati per l'esercizio dell'attività individuale di trasporto di persone ed il suo trasferimento, previsto dall'art. 9 della I. n. 21 del 1992, che consente al titolare di ottenere la cd. volturazione da parte del Comune, a determinate condizioni ed a favore di un terzo avente i requisiti di legge, realizza una plusvalenza che concorre alla formazione del reddito (cfr. 17476/2017). Ebbene, in ordine alla presunta onerosità della cessione, il giudice regionale ha sostenuto che «non si vede infatti in base a quale logica imprenditoriale il trasferimento dovrebbe essere avvenuto a titolo gratuito...»; qui menziona l'oggettiva sussistenza di un fiorente mercato di trasferimento delle licenze taxi, il legittimo utile economico conseguibile dalla cessione di una impresa, la assenza di riscontri relativi alla mera rinuncia alla licenza. Tenuto conto della natura imprenditoriale dell'attività di esercizio del servizio taxi, la motivazione del giudice regionale non rivela un malgoverno dei principi sulla prova presuntiva, né è affetta da contraddittorietà o salti logici nella valorizzazione dei dati e degli elementi disponibili. Spettava alla ricorrente fornire la prova contraria, quale ad es. la cessione gratuita della licenza, oppure la rinuncia alla medesima licenza. I vizi della sentenza tuttavia, sotto il duplice profilo della violazione di legge e della carenza motivazionale, quale insufficiente motivazione, si avvertono con riguardo alla determinazione della plusvalenza e della conseguente pretesa fiscale. Sul punto la decisione si limita ad affermare che «...ritiene questo collegio che l'importo richiesto dall'Ufficio sia stato correttamente determinato. Seppur in via presuntiva, sulla base di elementi quantitativi di cui l'amministrazione era in possesso, peraltro già pubblicizzati, nei quali si teneva conto di un'indagine condotta da un istituto universitario e dall'altro dell'Agenzia per il controllo e qualità dei servizi pubblici locali del Comune.». Questa Corte, proprio in merito a questa materia, ha affermato il principio secondo cui è invalido, per violazione dell'obbligo di motivazione, l'avviso di accertamento relativo all'omessa indicazione nella dichiarazione dei redditi della plusvalenza realizzata per effetto del trasferimento di una licenza taxi, che operi un mero rinvio, per la determinazione del valore accertato, ad "indagini di mercato svolte attraverso vari operatori dell'informazione specializzati nel settore, nonché ad indagini poste da autorevoli quotidiani economici", senza alcuna allegazione o specifica riproduzione dei documenti richiamati, trattandosi di una generica indicazione, che preclude al contribuente di potersene avvalere ai fini difensivi ed al giudice, in sede di eventuale sindacato giurisdizionale, di esaminare il merito della pretesa fiscale (Cass., ord. n. 25946/2015; 8770/2017). Il principio riportato, che questo Collegio condivide ed a cui intende dare continuità, è particolarmente pertinente al caso di specie, nel quale il sostegno alla determinazione del valore di cessione della licenza viene ricondotto dalla sentenza impugnata a non specificati studi universitari nonché ad incomprensibili indagini, anch'esse non identificate, condotte dalla Agenzia per il controllo e qualità dei servizi pubblici locali del Comune. Sia ai fini della formazione di una prova enucleabile da indizi gravi precisi e concordanti, nel rispetto del principio di cui all'art. 2729 c.c., sia ai fini della sufficienza motivazionale, era necessario identificare elementi più circoscritti, atti a rappresentare quei fatti noti da cui desumere il fatto ignoto (il corrispettivo della cessione). Il riferimento generico ad altrettanto generici studi si rivela del tutto inadeguato, viziando la decisione, che nei limiti chiariti va cassata. L'accoglimento, per quanto di ragione, dei primi due motivi, assorbe il terzo ed il quarto. Considerato che La sentenza va cassata per quanto di ragione e il giudizio va rinviato alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che in altra composizione deciderà sul merito, tenendo conto dei principi somministrati, nonché sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie per quanto di ragione il primo e il secondo motivo del ricorso, assorbito il terzo ed il quarto. Cassa la sentenza impugnata nei limiti dell'accoglimento e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in altra composizione, anche per le spese. Così deciso in Roma, il giorno 29 novembre 2018
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