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Tassazione dell’indennità da illegittimo licenziamento. La Corte di Cassazione respinge la più onerosa qualificazione giuridica dell’Agenzia delle Entrate. Inoltre, cassa con rinvio dato che l’Agenzia non era stata condannata alle spese processuali

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Estratto: “la CTR ha correttamente ritenuto che la sentenza ex art. 18 dello Statuto dei lavoratori ha l'effetto di annullare il licenziamento illegittimo con effetto ex tunc, onde il venir meno del licenziamento comporta la continuità del rapporto di lavoro, mai interrotto, rendendo le somme percepite a seguito della sentenza del giudice del lavoro equiparabili ad emolumenti arretrati, i quali (in tale prospettiva, la decisione opera un richiamo a quanto si evince dalla Risoluzione dell'A.d.E. n. 356/E del 23.12.1997) devono essere assoggettati alla stessa tassazione dei redditi sostituiti o perduti. Non appare condivisibile, per converso, la tesi dell'A.d.E., secondo la quale l'indennità liquidata dal giudice del Tribunale di Trento ex art. 18, comma 4, Statuto lav., avendo natura risarcitoria, non potrebbe comunque assimilarsi agli emolumenti arretrati di cui alla lett. b) dell'art. 17, ma dovrebbe rientrare fra le somme "a titolo risarcitorio a seguito di provvedimenti dell'autorità giudiziaria”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 2407 del 29 gennaio 2019

Rilevato che:

l'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo, avverso la sentenza della CT di II grado di Trento n. 16/02/12 del 5.3/9.3.2012 con la quale veniva rigettato l'appello proposto dall'Ufficio e, per l'effetto, integralmente confermata la sentenza della CT di I grado di Trento, favorevole al contribuente B., in controversia relativa alle modalità di tassazione ai fini Irpef, relativamente all'anno 2003, delle somme corrisposte al contribuente a titolo di indennità ex art. 18 I. n. 300 del 1970. In particolare, nei confronti del contribuente veniva emessa, nel dicembre 2003, una cartella di pagamento per IRPEF a titolo di tassazione separata derivante dalla corresponsione al contribuente: a) di indennità risarcitoria per € 173.714,40 (calcolata sulla base della retribuzione globale che gli sarebbe spettata dalla data del licenziamento alla reintegra), a seguito delle sentenza del g.d.l. del Tribunale di Trento che aveva ordinato la reintegrazione del B. nel posto di lavoro a seguito della dichiarazione di illegittimità del licenziamento dallo stesso subito; b) di indennità sostitutiva della reintegra, pari a 15 mensilità di retribuzione (pari a € 77.670,00). Nel corso del giudizio di primo grado, originato dall'impugnazione della predetta cartella di pagamento, le parti raggiungevano un accordo sulle modalità di tassazione dell'indennità indicata sub b) ai sensi dell'art. 17, comma 1, lett. a) t.u.i.r.; il giudizio proseguiva, pertanto, unicamente in relazione alle modalità di tassazione dell'indennità sub a). In merito a tale thema decidendum, entrambe le decisioni di merito disattendevano la tesi dell'Ufficio, secondo cui avrebbe dovuto applicarsi l'art. 16, comma 1, lett. a), t.u.i.r. in combinato disposto con l'art. 19 stesso tu. (applicazione dell'aliquota media degli ultimi 5 anni), ed accoglievano quella del contribuente, secondo il quale doveva applicarsi l'art. 16, comma 1, lett. b). cit. in combinato disposto con l'art. 21, comma 4, t.u.i.r. (aliquota corrispondente alla metà del reddito complessivo netto nel biennio anteriore all'anno in cui è sorto il diritto). Il contribuente ha proposto controricorso con ricorso incidentale; l'Agenzia, a sua volta, ha depositato controricorso al predetto ricorso incidentale.

Considerato che:

1. Con l'unico motivo di ricorso, l'Agenzia ricorrente deduce violazione, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., dell'art. 16, comma 1, lett. a), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. Va precisato, come evidenziato dallo stesso Ufficio ricorrente, che nel giudizio di merito si è discusso dell'applicabilità dell'art. 17 t.u.i.r., mentre, data la materia del contendere e posto che l'imposta controversa è relativa all'anno 2003, la disposizione che viene in rilievo e che è stata oggetto di disputa fra le parti è, in realtà, l'art. 16 t.u.i.r. nel testo anteriore alla riforma introdotta con il d.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, il cui tenore, peraltro, corrisponde a quello dell'art. 17 nel testo successivo alla riforma. Secondo la tesi dell'Ufficio, la fattispecie in esame, riferita alla tassazione dell'indennità calcolata sulla base della retribuzione globale che sarebbe spettata dalla data del licenziamento alla reintegra del lavoratore, sarebbe sussumibile nella portata precettiva dell'art. 16, comma 1, lett. a) in combinato disposto con l'art. 19 t.u.i.r. e non, come ritenuto dalla CTR, in quella dell'art. 16, comma 1, lett. b) in combinato disposto con l'art. 21, comma 4, t.u.i.r. ; differenza che comporta un diverso criterio di calcolo dell'aliquota applicabile.

2. Il motivo è infondato. 2.1. Va premesso l'art. 18, comma 4, della I. 20 maggio 1970, n. 300, nel testo ratione temporis applicabile, dispone che il giudice, con la sentenza dichiarativa dell'illegittimità del licenziamento, condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento stabilendo un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell'effettiva reintegrazione. Occorre aggiungere che, in tema di licenziamento illegittimo, questa Corte ha reiteratamente affermato che la corresponsione dell'indennità commisurata alla retribuzione non effettivamente percepita costituisce presunzione iuris tantum di lucro cessante, mentre l'indennità prevista dalla I. n. 300 del 1970, art. 18, nel suo minimo ammontare di cinque mensilità, costituisce una presunzione iuris et de iure del danno causato dal recesso assimilabile ad una sorte di penale connaturata al rischio di impresa (cfr. Cass. sez. lav. n. 18146/07; id. n. 23666/2011). Ciò posto, va, altresì, rilevato che, a norma dell'art. 6, comma 2, del d.P.R. n.917 del 1986, "I proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti e le indennità conseguite, anche in forme assicurative, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti". In materia costituisce, ormai, ius receptum che «tutte le indennità conseguite dal lavoratore a titolo di risarcimento dei danni consistente nella perdita di redditi, ad esclusione di quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, e, quindi, tutte le indennità aventi causa o che traggono origine dal rapporto di lavoro, comprese le indennità per la risoluzione del rapporto per illegittimo comportamento del datore di lavoro costituiscono redditi da lavoro dipendente e come tali sono assoggettati a tassazione separata ed a ritenuta d'acconto» (v. Cass. n.3582/2003, n.22803/2006, n.10972/2009, n.2196/2012, tutte in tema di indennità risarcitorie conseguente a risoluzione del rapporto di lavoro, e Cass. n.20482/2013, in tema di somme corrisposte a titolo di risarcimento del danno da licenziamento illegittimo; cfr. anche Cass., n.23795/2010).

2.2. Venendo al dettaglio della disciplina impositiva, l'art. 16 t.u.i.r. ratione temporis applicabile prevede che l'imposta si applichi separatamente sui seguenti emolumenti: «a) trattamento di fine rapporto di cui all'articolo 2120 del codice civile e indennità equipollenti, comunque denominate, commisurate alla durata dei rapporti di lavoro dipendente, (...); altre indennità e somme percepite una volta tanto in dipendenza della cessazione dei predetti rapporti, comprese l'indennità di preavviso, le somme risultanti dalla capitalizzazione di pensioni e quelle attribuite a fronte dell'obbligo di non concorrenza ai sensi dell'articolo 2125 del codice civile nonché le somme e i valori comunque percepiti, al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito di provvedimenti dell'autorità giudiziaria o di transazioni relativi alla risoluzione del rapporto di lavoro; b) emolumenti arretrati per prestazioni di lavoro dipendente riferibili ad anni precedenti, percepiti per effetto di leggi, di contratti collettivi, di sentenze o di atti amministrativi sopravvenuti o per altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti, compresi i compensi e le indennità di cui al comma 1 dell'articolo 47 e al comma 2 dell'articolo 46». In tale quadro ricostruttivo, la CTR ha correttamente ritenuto che la sentenza ex art. 18 dello Statuto dei lavoratori ha l'effetto di annullare il licenziamento illegittimo con effetto ex tunc, onde il venir meno del licenziamento comporta la continuità del rapporto di lavoro, mai interrotto, rendendo le somme percepite a seguito della sentenza del giudice del lavoro equiparabili ad emolumenti arretrati, i quali (in tale prospettiva, la decisione opera un richiamo a quanto si evince dalla Risoluzione dell'A.d.E. n. 356/E del 23.12.1997) devono essere assoggettati alla stessa tassazione dei redditi sostituiti o perduti. Non appare condivisibile, per converso, la tesi dell'A.d.E., secondo la quale l'indennità liquidata dal giudice del Tribunale di Trento ex art. 18, comma 4, Statuto lav., avendo natura risarcitoria, non potrebbe comunque assimilarsi agli emolumenti arretrati di cui alla lett. b) dell'art. 17, ma dovrebbe rientrare fra le somme "a titolo risarcitorio a seguito di provvedimenti dell'autorità giudiziaria relativi alla risoluzione del rapporto di lavoro" di cui all'art. 16, comma 1, lett. a), ultima parte, cit.

2.3. Ritiene il Collegio che la natura risarcitoria dell'indennità in esame non imponga di per sé, sic et simpliciter, la necessaria ed indefettibile inclusione della stessa nella lett. a) dell'art. 16 t.u.i.r. Il punto, invero, è che l'art. 16, comma 1, lett. a), ultima parte, laddove si riferisce testualmente alle somme a titolo di risarcimento liquidate dal giudice, aggiunge che le stesse devono essere «relative alla risoluzione del rapporto di lavoro», con ciò riferendosi alle ipotesi in cui il rapporto sia effettivamente cessato, ovvero risolto; conclusione che giustifica, del resto, la scelta del legislatore di equiparare tali ipotesi a quelle, precedentemente elencate dalla stessa norma, relative al t.f.r. o alle altre «indennità e somme percepite una volta tanto in dipendenza della cessazione dei predetti rapporti». Nel caso in esame, il rapporto non può dirsi cessato né si è verificata alcuna risoluzione, in quanto la sentenza ex art. 18 dichiarativa dell'illegittimità del licenziamento, cui segue l'ordine di reintegro del lavoratore, ha efficacia ex tunc, lasciando inalterata la continuità del vinculum iuris, che la sentenza viene a ripristinare e determinando, in tal modo, l'assenza di soluzioni di continuità del rapporto stesso. Ne consegue che non ricorre la condizione indispensabile per l'applicazione della lett. a) del comma 1 dell'art. 16 citato. Del resto, va considerato che l'indennità percepita dal lavoratore è correlata alla perdita effettiva delle retribuzioni derivanti dal licenziamento illegittimo; in tal senso, poiché l'art. 6 t.u.i.r. stabilisce che «le indennità conseguite (...) a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti», nella specie l'indennità per la perdita di redditi derivante da licenziamento illegittimo si riferisce a redditi che avrebbero dovuto essere percepiti in un determinato periodo d'imposta e viene erogata in un periodo successivo, per effetto della sentenza del g.d.I.: ricorre, pertanto, l'ipotesi di tassazione di emolumenti arretrati di cui al comma 1, lett. b) del citato art. 16. Le considerazioni che precedono determinano, in conclusione, il rigetto del ricorso proposto dall'Agenzia.

3. Venendo all'esame del ricorso incidentale, va osservato che con il motivo formulato il contribuente deduce omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in punto di compensazione delle spese da parte della sentenza

impugnata. La CTR ha così motivato il punto controverso: «Ricorrono motivi per l'integrale compensazione tra le parti delle spese in quanto non si può dimostrare la volontà dell'Agenzia di recare danno al contribuente come da esso richiesto».

Il motivo è fondato. L'art. 15, d.lgs. n. 546/92, nel testo applicabile all'epoca della decisione, recita: «La parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con la sentenza. La commissione tributaria può dichiarare compensate in tutto o in parte le spese, a norma dell'art. 92, secondo comma, del codice di procedura civile». A sua volta, l'art. 92, comma 2, cod. proc. civ., nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla I. 18 giugno 2009, n. 69, prevede che «se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti». Se le parti si sono conciliate, le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione». Nell'interpretare il dettato normativo, questa Corte (cfr. Cass. Sez. 6 - 5, 25/09/2017, n. 22310, Rv. 645998 - 01), ha affermato che «In tema di spese giudiziali, ai sensi dell'ad 92 cod. proc. civ., nella formulazione vigente ratione temporis, le "gravi ed eccezionali ragioni", da indicarsi esplicitamente nella motivazione, che ne legittimano la compensazione totale o parziale, devono riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa e non possono essere espresse con una formula generica (nella specie, "la natura della controversia e le alterne vicende dell'iter processuale") inidonea a consentire il necessario controllo». Nella specie, risulta evidente che con il riferimento alla mancata prova della «volontà dell'Agenzia di recare danno al contribuente come da esso richiesto» la CTR ha fornito, in realtà, una motivazione che attiene alla diversa domanda, formulata dalla difesa del contribuente, di condannare l'Agenzia appellante «per aver agito e resistito in giudizio al fine di rallentare l'esecuzione del buon diritto dell'altra parte nonostante i numerosi tentativi prodotti dal difensore e dal giudice di I grado per comporre la vicenda a far data da dicembre 2007» (così la sentenza della CTR, a pag.4), ossia una domanda riconducibile alla fattispecie di responsabilità aggravata ex art. 96 cod. proc. civ. Ne segue che detta motivazione non può logicamente estendersi al profilo, del tutto eterogeneo, costituito dalla condanna alle spese, che segue il diverso criterio della soccombenza salvo gravi ed eccezionali ragioni, all'evidenza non ravvisabili sic et simpliciter nella mera assenza di mala fede o colpa grave in capo alla controparte, ossia nella semplice assenza dei presupposti per la responsabilità aggravata ex art. 96 cit. In definitiva, dunque, la CTR non ha concretamente esplicitato le "gravi ed eccezionali ragioni" che possono giustificare ex art. 92, comma 2, cod. proc. civ., nel testo vigente all'epoca della decisione, la compensazione delle spese. Sulla base delle argomentazioni che precedono, il ricorso principale deve essere, pertanto, rigettato; merita, invece, accoglimento il ricorso incidentale. La sentenza impugnata deve essere, conseguentemente, cassata con rinvio alla Commissione Tributaria di II grado di Trento, in diversa composizione, cui si demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale ed accoglie il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione Tributaria di II grado di Trento, in diversa composizione, cui si demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio. Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2018

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