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Deducibili i premi corrisposti ai promotori finanziari. Accolto il ricorso per cassazione della società contribuente, con annullamento dell’avviso.

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Estratto:premesso che questa tipologia di fondi, per natura e finalità cui sono destinati, può trovare sistemazione nella categoria generale dei fondi "per rischi e oneri", esposti nel passivo dello stato patrimoniale ex art. 2424 c.c. (comprensivi di quelli per trattamento di quiescenza ed obblighi simili, tra cui si rinvengono appunto i "fondi di indennità per cessazione di rapporti di agenzia, rappresentanza, ecc., i fondi di indennità suppletiva di clientela, i fondi per premi di fedeltà riconosciuti ai dipendenti" secondo la classificazione prevista nel principio contabile OIC 19), nella giurisprudenza di questa Corte vi è sempre maggiore consapevolezza che per essi la previsione, regolamentata, di condizioni al cui verificarsi segua la perdita del trattamento premiale differito alla cessazione del rapporto non esclude la deducibilità dei relativi accantonamenti secondo il principio di competenza (cfr. Cass., sent. n. 7340/2008 in riferimento ai cd. premi fedeltà; Cass., sent. n. 26534/2014 e ord. n. 19620/2018)”. 

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Corte di Cassazione, Sez. V, 

Sentenza n. 1304 del 18 gennaio 2019 

FATTI DI CAUSA 

La F. s.p.a. ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 300/14/2010, depositata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio il 24.05.2010, con la quale, rigettando l'appello della società, era confermato l'avviso di accertamento con cui l'Agenzia delle Entrate aveva contestato alla società l'indebita deduzione di costi per complessivi € 15.095.755,00 e liquidato per l'anno d'imposta 2003 € 5.132.557,00 a titolo di Irpeg, € 792.527,00 a titolo di Irap, oltre sanzioni e interessi. Ha rappresentato che l'atto impositivo, originato da una verifica eseguita dalla GdF, prospettava l'errata identificazione dell'esercizio di competenza in cui dichiarare i costi sostenuti per la attuazione, nel 2002, di piani di incentivazione predisposti in favore dei propri promotori finanziari, denominati "XXX" e "Premio XXX". La società si era opposta all'avviso di accertamento, rigettato dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma con sentenza n. 167/02/2008 e dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con la sentenza ora impugnata. La F. censura con sette motivi la pronuncia del giudice regionale: con il primo per violazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360 co. 1, n. 4 c.p.c. per aver pronunciato ultra petita poiché la contestazione della Agenzia riguardava l'erronea individuazione dell'esercizio di competenza e la sussistenza dei requisiti di certezza e determinabilità di cui all'art. 109 TUIR, laddove la decisione era stata fondata sulla presunta mancata prova del sostenimento dei costi, mai messi in discussione; con il secondo per omessa motivazione circa un fatto decisivo e controverso per la decisione, in relazione all'art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., per non aver argomentato sulla avvenuta archiviazione della notizia di reato, iscritta a seguito della denuncia dei militari accertatori; con il terzo per violazione e falsa applicazione dell'art. 109 del TUIR, in relazione all'art. 360 co. 1, n. 3 c.p.c., per aver erroneamente interpretato i concetti di certezza e definitività del costo, applicando erroneamente il principio di cassa e non di competenza al caso de quo; con il quarto per insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., in ordine alla contraria soluzione adottata dal giudice regionale rispetto alla immediata deducibilità dei costi, ammortizzati in dieci anni, sostenuti relativamente ai premi fedeltà, ancorati a presupposti già riconoscibili in capo ai dipendenti e sottoposti solo a condizioni risolutive e non sospensive; con il quinto motivo per insufficiente motivazione circa un fatto decisivo e controverso per la decisione, in relazione all'art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c. per l'apodittica affermazione della scorretta modalità di contabilizzazione dei costi; con il sesto per violazione e falsa applicazione dell'art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992, per non aver dichiarato inapplicabili le sanzioni tributarie previste dall'art. 8 cit.; con il settimo per violazione e falsa applicazione dell'art. 92 co. 2, c.p.c., in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., per l'erronea quantificazione delle spese liquidate. Chiedeva pertanto la cassazione della sentenza, con ogni conseguente decisione. Si costituiva l'Amministrazione, che contestava il ricorso avverso per inammissibilità o infondatezza dei motivi. All'udienza pubblica dell'Il dicembre 2018, dopo la discussione, le parti presenti e il P.G. concludevano e la causa era riservata per la decisione. 

RAGIONI DELLA DECISIONE 

Deve premettersi che oggetto della controversia sono i costi dedotti dalla società, sostenuti per finanziare due piani di incentivazione dei propri promotori finanziari, varati nel 2002 e denominati "XXX" e "Premio XXX". Con il primo era riconosciuto il diritto ad un premio investito in prodotti previdenziali/assicurativi, calcolato in percentuale sul portafoglio del promotore secondo scaglioni predeterminati. Era destinato ai promotori che al 31.12.2002 avessero in gestione un portafoglio clienti di almeno € 15.000.000,00; la materiale erogazione era differita al 31.12.2012 o alla data più prossima in cui il promotore raggiungeva l'età pensionabile; era previsto che l'incentivo non spettasse più qualora il promotore: a) non desse preavviso di recesso dal contratto dodici mesi prima, b) non si cancellasse dall'albo dei promotori entro tre mesi dalla cessazione del rapporto con la Società; c) esercitasse nei successivi ventiquattro mesi una attività concorrenziale nei confronti della Società. Il debito riferito al piano complessivo, pari ad oltre € 120.000.000,00, era iscritto a bilancio alla voce debitoria "Altre passività-debiti Vs private bankers". Del costo sostenuto la F. deduceva nel 2003 la quota di 1/10, corrispondente nel primo anno ad € 13.110.206. 

Con il secondo si riconosceva un premio in favore del promotore che raggiungeva alla fine di ciascun anno gli obiettivi preventivamente fissati dalla società all'inizio del medesimo anno. Anche in questo la riscossione era differita al raggiungimento di una specifica anzianità di servizio. Esso veniva meno al verificarsi di talune circostanze, quali il mancato rispetto, al momento della risoluzione del rapporto, dell'obbligo di non concorrenza, nonché dell'obbligo di cancellazione dall'albo dei promotori entro tre mesi dalla cessazione del rapporto con la società. I costi, imputati in ragione degli obiettivi raggiunti dai promotori secondo quanto fissato all'inizio di ciascun esercizio, erano ammontati nel 2003 ad € 1.939.804,00. L'Amministrazione recuperava i costi negando la loro attualità per essere esborsi subordinati al verificarsi di determinate condizioni, accertabili solo a fine 2014, sicchè la loro deduzione violava i criteri della competenza ratione temporis disciplinata dall'art. 75 TUIR (ora dall'art. 109 TUIR). Ciò chiarito, è infondato il primo motivo di ricorso, con il quale la contribuente lamenta che erroneamente il giudice regionale ha motivato il rigetto sostenendo la mancanza di prova della effettività del costo sostenuto, con ciò decidendo ultra petita. Nell'avviso di accertamento, sostiene la contribuente, non si contestava la mancata sopportazione del costo, riconosciuta anzi nell'avviso di accertamento, ma si contestava la sua erronea imputazione in violazione del criterio di competenza. Il motivo non coglie nel segno per essere la decisione impugnata basata su di un duplice ordine di ragioni, ciascuno di per sé idoneo a sorreggerla: il primo relativo alla valutazione della scorrettezza della contabilizzazione di costi non ancora certi per la molteplicità delle condizioni cui era subordinata l'erogazione del premio ai promotori al termine del rapporto lavorativo, il secondo all'effettivo sostenimento dei costi. Il primo ordine di ragioni trattato in sentenza era pertinente alle contestazioni mosse dalla Amministrazione, sicchè ciò è sufficiente a negare la nullità della sentenza per decisione ultra petita. È infondato anche il secondo, con il quale si lamenta che la Commissione regionale avrebbe omesso la motivazione sulla questione, pur evidenziata dalla contribuente nei propri atti difensivi, che la denuncia penale scaturita dalla medesima verifica si era rivelata del tutto infondata, con richiesta di archiviazione e decreto di archiviazione. Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo. Con esso ci si duole di un vizio motivazionale mentre si denuncia un vizio processuale; né il tenore del motivo può indurre al suo recupero sotto l'epigrafe del n. 4 del comma 1 dell'art. 360 c.p.c., mancando dell'error in procedendo sia la prospettazione argomentativa sia anche la semplice invocazione della nullità della sentenza. Inoltre la ricorrente, violando il principio di autosufficienza, non riproduce il decreto di archiviazione, salvo un passaggio del tutto ininfluente, la cui motivazione era preliminarmente essenziale per valutare in che termini, a fronte delle questioni discusse nel presente giudizio, le sorti del procedimento penale potevano essere utili alla decisione del giudice d'appello. Il terzo motivo è invece fondato e trova accoglimento. Il giudice regionale, concordando con la tesi della Amministrazione, ha affermato che i costi non erano certi né determinati, sulla base di una mera operazione matematica, mancando la certezza dell'effettivo esborso, in ragione della molteplicità delle condizioni previste dal regolamento disciplinante l'attribuzione degli incentivi e delle cause di esclusione. Dalla descrizione dei piani di incentivazione dei promotori finanziari, emergente dagli atti difensivi e mai oggetto di contestazione, si trattava di tipici trattamenti volti alla fidelizzazione del promotore. Con il primo si assicurava ai promotori che, alla data del 31.12.2002 si fossero trovati nel possesso di specifici presupposti (età non ancora pensionabile, portafoglio clienti superiore ad € 15.000.000,00), la fruizione di un premio investito in prodotti previdenziali/assicurativi; con il secondo era assicurato un premio a chi raggiungesse gli obiettivi prefissati all'inizio di ogni anno, anch'esso differito al momento della cessazione del rapporto. Il regolamento di acquisizione dei benefici integrativi prevedeva condizioni, al verificarsi delle quali gli stessi venivano meno. È altrettanto pacifico, perché non contestato e comunque emergente anche dall'avviso di accertamento', riportato nel ricorso per il passaggio qui di interesse, nel rispetto del principio di autosufficienza, che la F. spa effettuò un versamento con bonifico in favore della F. V. per il pagamento del premio unico di € 119.187.342,09 per la costituzione delle polizze collettive. Ebbene, i criteri di determinazione del costo sono oggettivi, così come la certezza del costo emerge sia in riferimento ai versamenti già eseguiti con il premio unico per il piano "XXX", sia con riguardo agli importi annualmente imputati a conto economico, relativi al piano "Premio XXX". Ne consegue che sulla loro inerenza all'attività della società non possono formularsi dubbi, così come, tenuto conto dei principi di contabilità e del criterio della competenza ai sensi dell'allora vigente art. 75 TUIR (ora art. 109), non può mettersi in dubbio la correttezza della appostazione in bilancio tra i costi di una quota del 10% per il versamento in unica soluzione relativo al primo piano di incentivazione e dell'intero costo annualmente sopportato per il secondo. D'altronde, premesso che questa tipologia di fondi, per natura e finalità cui sono destinati, può trovare sistemazione nella categoria generale dei fondi "per rischi e oneri", esposti nel passivo dello stato patrimoniale ex art. 2424 c.c. (comprensivi di quelli per trattamento di quiescenza ed obblighi simili, tra cui si rinvengono appunto i "fondi di indennità per cessazione di rapporti di agenzia, rappresentanza, ecc., i fondi di indennità suppletiva di clientela, i fondi per premi di fedeltà riconosciuti ai dipendenti" secondo la classificazione prevista nel principio contabile OIC 19), nella giurisprudenza di questa Corte vi è sempre maggiore consapevolezza che per essi la previsione, regolamentata, di condizioni al cui verificarsi segua la perdita del trattamento premiale differito alla cessazione del rapporto non esclude la deducibilità dei relativi accantonamenti secondo il principio di competenza (cfr. Cass., sent. n. 7340/2008 in riferimento ai cd. premi fedeltà; Cass., sent. n. 26534/2014 e ord. n. 19620/2018). Può a tal fine affermarsi l'irrilevanza della aleatorietà della percezione del trattamento integrativo premiale, che certo non incide sulla natura delle condizioni al cui verificarsi il beneficio può andare perduto, le quali restano risolutive e non sospensive. Nel caso specifico trattasi di un meccanismo di fidelizzazione del promotore, in possesso sin dall'origine di taluni requisiti, che segue il rapporto lavorativo per la sua durata sino a cessazione del medesimo, riconoscendogli il diritto ad un beneficio previdenziale integrativo sin dal momento in cui il piano viene posto in atto, con ipotesi risolutorie emergenti solo al verificarsi di condizioni specificamente predeterminate e tutte convergenti sull'unico comune denominatore del venir meno del patto di fedeltà tra promotore e società. Il meccanismo triangolare attuato, tra società concedente, promotore, società assicurativa presso la quale vengono versati gli importi per l'accensione di prodotti assicurativi e previdenziali -di cui dopo il decennio e a conclusione del rapporto lavorativo beneficeranno i promotori- evidenzia il costo sostenuto dalla società ricorrente, ancor più che se gli accantonamenti fossero stati eseguiti presso propri fondi. In conclusione i costi, comunque effettivamente sostenuti, erano stati correttamente dedotti dalla società nell'osservanza delle regole di contabilità. L'accoglimento del terzo motivo assorbe gli altri. 

La sentenza va pertanto cassata e, non richiedendosi ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa anche nel merito ex art. 384 co. 2 c.p.c., con l'accoglimento del ricorso introduttivo della F. Ai fini della regolamentazione delle spese di causa si ritiene che sussistano le condizioni per la compensazione dei due gradi di merito, mentre l'Agenzia va condannata nella misura specificata in dispositivo alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità. 

P.Q.M. 

La Corte accoglie il terzo motivo, rigetta il primo e il secondo, assorbiti gli altri, cassa e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della F. spa; compensa le spese processuali dei due gradi di merito; condanna l'Agenzia alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nell'importo di € 10.200,00 nonché di € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge. Così deciso in Roma, il giorno 11 dicembre 2018 Il Consigliere est. 

 

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