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Non si paga l’imposta di registro per la reintegrazione dei diritti lesi del legittimario. La Cassazione accoglie il ricorso originario ed annulla l’avviso di liquidazione Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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MassimaLa reintegrazione dei diritti lesi del legittimario non è assoggettata all'imposta di registro ma si applica l'art. 43 del D.Lgs. n. 346 del 1990. Quest'ultimo afferma che nelle successioni testamentarie l'imposta si applica in base alle disposizioni contenute nel testamento, anche se impugnate giudizialmente, nonché agli eventuali accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari risultanti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata. La disposizione sancisce una sorta di neutralità fiscale del negozio tra vivi, risultante da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, successivo all'apertura della successione, e volto alla reintegra dei diritti dei legittimari. Conseguentemente, nel caso di specie, tra due fratelli viene stilata una conciliazione per cui uno viene soddisfatto mediante la ricezione di una somma di denaro in base alla quale rinuncia alla disposizione testamentaria in favore dell'altro a cui vene attribuita la proprietà di immobili”.

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Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5

Ordinanza del 17/01/2019 n. 1141 -

Ritenuto

- Che: la Commissione tributaria provinciale di Lecco respinse il ricorso, proposto da C.F.M., erede universale di Ca.Ad., deceduta il (------), madre del contribuente, con il quale era stato impugnato l'avviso di liquidazione emesso dall'Ufficio del registro, in relazione al verbale di conciliazione n. (------) del (------), intervenuto nel corso del giudizio civile intentato dal fratello, C.M.C., beneficiario di legato di immobili in sostituzione di legittima, giusta testamento olografo pubblicato il (------) dal notaio P., di (------);

- che i germani, con la predetta conciliazione, si accordarono nel senso che, il secondo, soddisfatto mediante la ricezione di una somma di denaro (Euro 622.000,00), rinunciava alla disposizione testamentaria sicchè la proprietà degli immobili oggetto di legato era trasferita al primo, e ciò al fine di reintegrare i diritti di legittimario pretesamente violati, con applicazione della imposta sulle successioni, ai sensi del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 43, nella formulazione vigente al momento dell'apertura della successione testamentaria, anzichè della imposta di registro, con aliquota del 3 per cento, sulla predetta somma di denaro, come invece richiesto dall'Ufficio, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 29, con l'impugnato avviso di liquidazione;

- che la Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettò l'appello del contribuente, e confermò la sentenza di primo grado, ritenendo, in particolare, che "gli accordi transattivi tesi a reintegrare i diritti di legittima (purchè risultanti da atto pubblico o scrittura privata autenticata, quindi rivestiti di forma solenne)" sono cosa diversa dalla conciliazione giudiziale, e quella che ne occupa, disciplinata dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 29, trattandosi "sostanzialmente di transazione tra due parti", va "tassata in relazione agli obblighi di pagamento che ne derivano, in quanto transazione che non importa trasferimento di proprietà o trasferimento o costituzione di diritti reali", avendo il notaio "semplicemente effettuato la trascrizione dell'accettazione di eredità formulata da C.F., originariamente erede universale", essendo, viceversa, inapplicabile l'imposta sulle successioni, di cui al D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 43,;

- che, per la cassazione di tale sentenza, il contribuente presenta un ricorso affidato a tre motivi, mentre l'intimata Amministrazione finanziaria si è limitata a chiedere, ai sensi dell'art. 370 c.p.c., comma 1, di partecipare alla discussione orale della causa.

Considerato

- Che: con il primo motivo di impugnazione, il ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 43, motivazione apparente, omessa valutazione di elementi decisivi della controversia, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giacchè la sentenza impugnata non spiega le ragioni per le quali la rilevata natura speciale dell'indicata disposizione, che elenca gli atti destinati a reintegrare i diritti dei legittimari, non possa trovare applicazione anche con riferimento ai verbali di conciliazione giudiziale, trattandosi di atti a fede privilegiata, con sottoscrizione delle parti resa certa dalla presenza del giudice e del cancelliere, assimilabili ad un negozio di diritto privato;

- che, con il secondo motivo di impugnazione, deduce, in via subordinata, violazione degli artt. 523 e 551 c.c. e della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 497, omessa valutazione di un punto decisivo della controversia, motivazione assente, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, giacchè ove non fosse applicabile l'imposta sulle successioni, l'imposta di registro, come subordinatamente richiesto dal contribuente, avrebbe dovuto essere quantificata con riguardo al valore dei cespiti, determinato ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 52, commi 4 e 5, (TUIR), pari ad Euro 107.672,00, non potendo condividersi la tesi, fatta propria del giudicante, secondo cui C.M.C., beneficiario di legato in sostituzione di legittima, ai sensi dell'art. 551 c.c., non sarebbe mai diventato proprietario dei beni legatigli dalla madre, avendo rinunciato agli stessi, di tal che il verbale conciliativo non avrebbe trasferito alcunchè a C.F.M., atteso che, nella esaminata fattispecie, il legatario è anche legittimario, e la proprietà dei beni oggetto di legato si acquista in maniera automatica alla morte del testatore, ai sensi dell'art. 649 c.c., senza necessità di accettazione alcuna, com'è ricavabile dalla documentazione catastale e dalla denuncia di successione versate in atti;

- che, con il terzo motivo di impugnazione, deduce violazione della L. n. 12 del 2000, art. 7, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giacchè l'impugnato avviso di liquidazione è nullo, in quanto privo di scheda esplicativa, che giustifichi i dati contabili su cui si basa l'imposizione fiscale, ed il contribuente non è stato posto in grado di comprendere i motivi della pretesa creditoria, essendo di alcuna utilità il codice (109T) riportato nell'atto medesimo accanto alla voce "registro";

- che il ricorrente, infatti, il quale si duole della regolarità formale dell'atto impositivo, ammette che l'avviso di liquidazione faceva seguito a registrazione d'ufficio, che non implicava contestazione di valore, e che gli elementi da dichiarare al fisco, ai fini dell'applicazione della imposta di registro, erano soltanto quelli contenuti nell'atto da registrare (che funge da dichiarazione), segnatamente, il verbale di conciliazione intervenuto nella controversia giudiziaria ("Prot. 2569/08 C.M.C. c/ C.F.M.") pendente tra i due fratelli, donde la legittima adozione, da parte dell'Ufficio, dell'avviso di liquidazione (Cass. n. 9856/2017), e poichè la motivazione di un avviso di liquidazione ha, soprattutto, la "funzione di delimitare l'ambito delle ragioni adducibili dall'Ufficio dell'eventuale fase contenziosa successiva, consentendo al contribuente l'esercizio del diritto di difesa", non è dato comprendere, stante la genericità delle allegazioni difensive, il concreto pregiudizio arrecato al diritto di difesa del contribuente;

- che il primo motivo di ricorso è fondato, e merita accoglimento, con consequenziale assorbimento del secondo e del terzo motivo d'impugnazione; - che, ad avviso di parte ricorrente, l'attribuzione a C.F.M., con il verbale di conciliazione del (------), degli immobili oggetto del legato in sostituzione di legittima disposto dalla testatrice in favore dell'altro figlio, C.M.C., stante l'intenzione, palesata nell'atto di ultima volontà, di soddisfare il predetto legittimario con l'attribuzione di beni determinati, senza chiamarlo all'eredità insieme al fratello, non concreterebbe alcun trasferimento assoggettabile alla imposta di registro, trattandosi di attribuzione assoggettabile alla imposta sulle successioni, ai sensi del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 43, (disposizione che ripropone l'abrogato D.P.R. n. 637 del 1972, art. 28);

- che, invero, qualora il de cuius abbia disposto delle proprie sostanze, sia attraverso negozi liberali di natura donativa, sia mediante disposizioni testamentarie, venendo a ledere i diritti riservati ai legittimari, questi ultimi possono agire giudizialmente per la tutela dei propri diritti e, segnatamente, mediante l'azione di riduzione (art. 553 c.c. e ss.gg.), che è il mezzo attributo al legittimario per far dichiarare l'inefficacia (totale o parziale) delle disposizioni eccedenti la quota di cui il de cuius poteva liberamente disporre;

- che il legittimario, in alternativa alla via giudiziale, può addivenire ad un accordo negoziale con i beneficiari delle disposizioni lesive, al fine di vedere ripristinati i propri diritti, accordo non tipizzato dal legislatore, che ha rimesso alla autonomia privata l'individuazione del concreto assetto negoziale attraverso il quale raggiungere il risultato voluto, cioè quello di reintegrare la quota di riserva, o quantomeno un valore corrispondente a tale quota;

- che a tale tipologia di accordi, i quali tengono luogo della sentenza che accoglie la domanda di riduzione delle disposizioni lesive, viene generalmente attribuita natura non transattiva, ma meramente ricognitiva, di accertamento, in quanto i soggetti interessati riconoscono l'inefficacia delle disposizioni testamentarie lesive, mentre la qualificazione in termini di transazione richiede pur sempre l'esistenza dell'elemento delle reciproche concessioni, che il codice civile (art. 1965 c.c.) prevede come essenziale, e che secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 7548/2003), deve desumersi dallo stesso contenuto dell'atto, volto a prevenire una lite (l'esperimento dell'azione di riduzione), ovvero a mettere fine alla lite medesima;

- che l'ammissibilità di tale figura negoziale, ampiamente riconosciuta in dottrina, non rilevandosi alcun divieto di legge, viene espressamente affermata dal legislatore in una norma tributaria, il D.Lgs. n. 346 del 1990, art 43, che recita: "Nelle successioni testamentarie l'imposta si applica in base alle disposizioni contenute nel testamento, anche se impugnate giudizialmente, nonchè agli eventuali accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari, risultanti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, salvo il disposto, in caso di accoglimento dell'impugnazione o di accordi sopravvenuti, dell'art. 28, comma 6, o dell'art. 42, comma 1, lett. e).";

- che, dunque, la disposizione sancisce una sorta di neutralità fiscale del negozio tra vivi, risultante da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, successivo all'apertura della successione, e volto alla reintegra dei diritti dei legittimari, in quanto lo sottrae dall'ambito di applicazione dell'ordinaria imposta di registro, per assoggettarlo all'imposta di successione, in coerenza con l'effetto che gli è proprio, l'acquisto ex lege (a causa di morte) della quota di legittima del patrimonio del defunto, tant'è che esso va trascritto, ai sensi dell'art. 2648 c.c., comma 3, e art. 2650 c.c., nonchè annotato, ai sensi dell'art. 2655 c.c., ai margini della trascrizione dell'originario acquisto lesivo, al fine di assicurare la continuità delle trascrizioni;

- che al legittimario leso nei propri diritti non è preclusa l'opzione di stipulare un negozio avente natura transattiva (artt. 1965 c.c. e ss.), ma in tal caso la tassazione dell'accordo segue le ordinarie regole in tema di imposta di registro, avuto riguardo ai concreti effetti (anche eventualmente traslativi) voluti dalle parti contraenti, in quanto le attribuzioni concordate tra gli interessati non hanno natura sostanzialmente ereditaria, e non sono soggette, quindi, all'applicazione dell'imposta sulle successioni, ma si inseriscono, attraverso il meccanismo delle reciproche concessioni, nella composizione di una lite, attuale o futura, originata da una pretesa lesione dei diritti di legittima, secondo le contrapposte tesi delle parti;

- che, in detta ipotesi, la norma in tema di successione necessaria rileva soltanto come presupposto del negozio, e non lo caratterizza causalmente, perchè le parti litigiose, con la transazione, intendono sostituire una regolamentazione nuova a quella precedente, che aveva dato luogo al contrasto, e per far ciò esse necessariamente dispongono del diritto controverso, per cui le aspettative del legittimario vengono reintegrate in senso puramente economico, evitando nel contempo che in futuro il medesimo possa proporre l'azione di riduzione;

- che, tanto premesso, il nucleo essenziale della questione sottoposta all'attenzione del Collegio verte attorno all'esatta individuazione della natura e del contenuto dell'accordo oggetto del verbale di conciliazione del (------), occorrendo accertare se le parti abbiano inteso esclusivamente reintegrare i diritti di legittima lesi, ovvero modificare e/o integrare in via negoziale l'assetto della successione, rispetto a quanto disposto dal testatore;

- che, dal verbale di conciliazione (artt. 3 e 4, debitamente trascritti nel ricorso per cassazione), emerge che i litiganti sono addivenuti ad una determinazione pattizia della legittima e della reintegra conseguente, ed a tal fine è irrilevante che le parti, invece di procedere ad una nuova determinazione dell'asse ereditario e delle quote spettanti ad ognuno, abbiano convenuto che la legittima dovesse ritenersi correttamente reintegrata mediante l'attribuzione di una somma di denaro, a C.M.C., destinatario di legato in sostituzione di legittima, a fronte della sua rinuncia a conseguire la parte dei beni ereditari spettantegli ex lege, e, comunque, a conservare anche solo in parte il legato;

- che, nella esaminata fattispecie, avuto riguardo alla ratio del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 43, deve attribuirsi rilievo preminente non tanto alla veste formale assunta dall'accordo integrativo (conciliazione giudiziale/atto pubblico o da scrittura privata autenticata), quanto piuttosto alla sussistenza delle condizioni previste dalla legge per sottrarre l'atto, contenente l'accordo reintegrativo, dall'ambito di applicazione della imposta di registro, mantenendolo - causalmente - nell'orbita della imposizione mortis causa (Cass. n. 2869/1992, in fattispecie disciplinata dal D.P.R. n. 673 del 1972, art. 28);

- che l'applicazione dell'esaminata norma, quindi, della quale nella specie ricorrono le condizioni, avrebbe dovuto essere contestata mediante argomentazioni sostanzialmente diverse da quelle fatte proprie dalla sentenza impugnata, la quale va cassata, e la causa, poichè non necessita di ulteriori accertamenti, va decisa nel merito, con l'accoglimento dell'originario ricorso del contribuente;

- che l'assenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale giustifica la compensazione delle spese  processuali delle fasi di merito, mentre per quelle del giudizio di legittimità vale la regola della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo ed il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario del contribuente. Condanna la intimata Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre rimborso spese  forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge. Compensa le spese  di giudizio del merito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2019

 

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