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Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5
Ordinanza del 16/11/2018 n. 29551 -
RILEVATO CHE
- A.A. impugnava l'avviso di accertamento per l'anno d'imposta 2003, con il quale l'Agenzia delle entrate contestava, per l'anno in questione, l'omessa presentazione della dichiarazione Iva ed un imponibile Iva non dichiarato per euro 363.003,00, derivante da un contratto di affitto di azienda, rideterminando altresì il reddito in relazione al maggior canone di locazione di 15.000,00, non dichiarato;
- l'Ufficio rilevava, in particolare, che la contribuente, con atto del 27 gennaio 2003, aveva affittato la propria azienda per un canone di 10.000,00 euro dapprima escludendone le rimanenze di magazzino (destinate alla successiva vendita) e, poi, con scrittura privata non registrata del 29 gennaio 2003, includendole a fronte di un maggior canone di euro 15.000,00; riteneva, quindi, non configurabile una cessione in affitto delle rimanenze, che riqualificava come cessione dei beni e il relativo valore come ricavi;
- il giudice di primo grado rigettava il ricorso; la sentenza era confermata dalla CTR della Lombardia;
- la contribuente ricorre per cassazione con sei motivi, cui resiste l'Agenzia delle entrate con controricorso;
CONSIDERATO CHE
- il primo motivo denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per aver la CTR ritenuto inesistente il contratto di affitto d'azienda per carenza dei requisiti di cui all'art. 6 L. n. 310 del 1993, nonché, in termini contraddittori, per carenza di un corrispettivo della locazione ed irrituale esistenza di due scritture;
- il motivo è inammissibile;
- nella vicenda in esame la CTR non ha omesso l'esame di elementi di fatto - del resto neppure indicati dalla ricorrente - ma, semplicemente, ha ritenuto legittima la pretesa erariale sul presupposto dell'inesistenza del contratto di affitto di azienda (in quanto tale) perché non registrato e non redatto in forma pubblica o con scrittura privata autenticata, in violazione dell'art. 6 della L. n. 310 del 1993, derivandone che le merci erano state, in realtà, cedute e non conferite con l'azienda;
- si tratta, dunque, di motivazione in diritto che non può essere censurata ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c.;
- irrilevanti, poi, sono le ulteriori deduzioni sull'affermata asserita mancanza di un canone di locazione o sull'irritualità dell'esistenza di due scritture, che costituiscono mere argomentazioni integrative dell'unitaria ratio della decisione («un siffatto contratto di locazione - pertanto - è inesistente, a prescindere dalla inspiegabile asserzione di parte appellante per la quale non era stato concordato alcun canone di locazione [..] le merci attraverso una prassi negoziale del tutto contestabile e sostanzialmente inesistente sotto il profilo giuridico (i due contratti irritualmente stipulati dalle parti) sono state trasferite dalla ditta individuale alla srl»), neppure elevate ad autonomo fondamento della decisione;
- il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2556 c.c. per aver la CTR ritenuto inesistente il contratto d'affitto d'azienda di cui alla scrittura privata integrativa del 29 gennaio 2003 perché non redatto in forma pubblica e registrato;
- il motivo è fondato, restando assorbiti tutti gli altri motivi;
- va osservato, infatti, che la forma scritta prevista dall'art. 2556 c.c. (atto pubblico o scrittura privata autenticata) per l'affitto di azienda è richiesta dalla norma solo ad probationem, con effetti limitati, dunque, al processo ed alle sole parti contraenti (Cass. n. 6071 del 11/07/1987), sicché l'atto, a differenza di quanto si verifica per quelli che richiedono la forma scritta ad substantiam, è da reputarsi ontologicamente esistente per il fisco - che è, difatti, tenuto a registrare d'ufficio addirittura i contratti verbali di affitto di azienda, ai sensi dell'art. 15, lett. d), d.P.R. n. 131 del 1986 - a prescindere dalla sussistenza, in concreto, della forma specificamente prevista dall'art. 2556 c.c. (Cass. n. 20057 del 24/09/2014);
- in accoglimento del secondo motivo di ricorso, inammissibile il primo ed assorbiti i restanti, la sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese, alla CTR competente in diversa composizione che, nel valutare la fondatezza della pretesa impositiva, si atterrà al principio sopra enunciato;
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo ed assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR della Lombardia in diversa composizione.
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