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Accusa di partecipazione ad una frode carosello: nel dubbio si presume che il contribuente sia in buona fede. Annullato l’avviso di accertamento.

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Estratto: “Vista la documentazione e le prove prodotte dalla parte privata, in considerazione che tutti gli acquisti risultavano effettuati a costi in linea con quelli praticati da tutti gli altri fornitori, risulta impossibile o comunque molto difficile valutare che la XXX Srl potesse essere a conoscenza della frode messa in atto dalla società S., fornitrice della contribuente, poiché non risultano forniti da parte dell'Ufficio validi elementi probatori contrari, dato che tutte le operazioni commerciali realizzate risultavano commercialmente corrette e S. Srl aveva sempre effettuato versamenti IVA a fronte della merce acquistata e rivenduta a prezzi in linea con quelli di mercato. Nel dubbio, dobbiamo necessariamente presumere che parte privata abbia svolto, in quel tempo, le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente”.

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Comm. Trib. Reg. per la Toscana Sezione/Collegio 7

Sentenza del 22/11/2018 n. 2057 –

Il XXX con studio in XXX (XX) Via ... n. , quale difensore e domiciliatario della società C. SRL con sede in XXX (XX), Via ... n. (Cod.fisc. XXX) in persona del legale rappresentante pro tempore XX (Cod. fisc. XXX) nato a XXX (XX) il XXX e residente in XX (XX) Via .... n. riassume il giudizio davanti a questa Commissione Tributaria Regionale a seguito dell'ordinanza N. 4294/18 del 25.01.2018 della Suprema Corte di Cassazione depositata in cancelleria il 22.02.20 18, che cassando in relazione al primo e al terzo motivo del ricorso dell'Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Pisa avverso la sentenza n. 932/30/2016 della Commissione Tributaria Regionale di Firenze depositata il 20.05.2016, rinvia a quo, in diversa composizione, per un nuovo esame della vertenza, anche per le spese di giustizia.

FATTO

L'Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Pisa, si costituisce nel presente giudizio di riassunzione sopra specificato, incardinato a seguito dell'Ordinanza della Corte di Cassazione N. 4294/2018 depositata in data 22/02/2018, con un atto di controdeduzioni per evidenziare l'infondatezza delle argomentazioni esposte dalla parte privata ed a tal fine espone quanto segue:
la vertenza oggetto di riassunzione tra origine da P.V.C. per verifica fiscale redatto dalla Guardia di Finanza di Pisa in data 07/10/2014 e da conseguente avviso di accertamento notificato alla società C. S.r.l. in data 16/12/2014, con recupero di indebita detrazione dell'imposta IVA pari ad euro 67.673,00 ex art. 19 D.P.R.N.633/72, in quanto relativa ad operazioni soggettivamente inesistenti poste in essere dalla società nel periodo d'imposta 2005, per un imponibile pari ad euro 338.365,00; sia nel Processo Verbale di Constatazione che nelle motivazioni dell'avviso di accertamento, entrambi già depositati agli atti ed a cui si rimanda, sono stati dettagliatamente individuati gli elementi costitutivi della frode avente ad oggetto le suddette operazioni inesistenti, frode alla quale ha partecipato anche la società S. S.r.l. (c .f.. XXX) in liquidazione volontaria dal 20/04/2015 quale soggetto interposto ed inoltre sono stati evidenziati i dati contabili e documentali da cui desumere che la società C. S.r.l. era a conoscenza e/o nella situazione di conoscibilità dell'esistenza di tale frode, con l'utilizzo della diligenza di un imprenditore mediamente accorto; a fronte dell'impugnazione dell'avviso di accertamento da parte della società e di tempestive controdeduzioni dell'Ufficio, si è svolto il giudizio di primo grado all'esito del quale con Sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Pisa N. 421/02/2015 depositata in data 08/09/2015, è stato respinto il ricorso e sono state compensate le spese di lite, in quanto i primi giudici dopo l'esame complessivo della vertenza hanno stabilito che: "Ne consegue che difficilmente la ricorrente poteva non essere a conoscenza della frode"; la società ha impugnato la Sentenza di primo grado con tempestivo appello, contrastando le argomentazioni dei primi giudici in ordine a quanto rilevato per la misurazione delle pelli oggetto della frode, in ordine al mancato utilizzo del plafond per gli acquisti oggetto di operazioni soggettivamente inesistenti, in ordine alla presunta scarsa attendibilità delle dichiarazioni dei dipendenti della società terzista S., in ordine ad una presunta contraddizione di affermazioni relative alla presunta convenienza dei prezzi di acquisto del pellame dalla S. ed in ordine alla presunta non applicabilità del raddoppio dei termini per la notifica dell'accertamento (ex art. 57 D.P.R.N.633/72) per presunta incostituzionalità della norma e presunta prescrizione del reato tributario; l'Ufficio si è tempestivamente costituito nel giudizio di secondo grado e con articolate controdeduzioni ha puntualmente specificato l'infondatezza in relazione ad ogni motivo di appello. In forza di quanto sopra l' A.F. insiste nel sostenere che non si tratta di dichiarazioni fumose e confuse, ma di attestazioni precise e puntuali che non possono essere confutate appellandosi ad una presunta inattendibilità dovuta al trascorrere del tempo: come se, a distanza di sette anni le dichiarazioni di una persona che non riconosce come proprie le firme apposte su documenti di trasporto attestanti gli spostamenti di merci dai magazzini delle cartiere ai depositi della S. oppure che sostiene di non essere mai stato in un magazzino a prelevare e consegnare merci potessero essere messe in dubbio in virtù del mero trascorrere del tempo.

Questa Commissione, pur ritenendo legittime tutte le osservazioni dell'Agenzia delle Entrate che in base agli elementi verificati, ha coerentemente dedotto che esistevano responsabilità della C. Srl nell'acquistare da una società cartiera le merci destinate alla lavorazione ed alla rivendita, deve necessariamente prendere in esame il tema delle frodi carosello per cui è ormai un principio di diritto consolidato, nella giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, quello secondo cui "è possibile negare ad un soggetto passivo il beneficio del diritto a detrazione solamente qualora si dimostri, alla luce di elementi oggettivi, che detto soggetto passivo, al quale sono stati ceduti o forniti i beni o i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un'operazione che si iscriveva in un'evasione dell'IVA commessa dal fornitore o da un altro operatore intervenuto a monte o a valle nella catena di tali cessioni o prestazioni".

La Corte di Cassazione ha da tempo aderito a tale interpretazione, cui ha dato recentemente applicazione con la sentenza n. 10120 del 21.04.2017, che ha riesaminato la ripartizione l'onere della prova tra Ufficio e contribuente in caso di contestazione di una frode carosello.

La Corte di Cassazione ha respinto la contestazione relativa mancata partecipazione del contribuente alla frode carosello sostenendo che tale doglianza ineriva ad un profilo non decisivo "poiché non ha rilievo, ai fini della configurabilità della frode carosello, la partecipazione all'operazione frodatoria da parte di colui che occupa la posizione terminale delle operazioni illecite ma solo se egli era, o meno, in buona fede, ossia se sapeva, o poteva sapere, con l'uso dell'ordinaria diligenza che il soggetto formalmente cedente aveva, con l'emissione della relativa fattura, evaso l'imposta o partecipato a una frode". Inoltre La Suprema Corte ha respinto la tesi che vi sia violazione e falsa applicazione dell'articolo 19 del D.P.R.633/1972, degli articoli 167, 168, lett. a), 178, lett. a), 220, punto l, 226 e 273 della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune dell'imposta sul valore aggiunto ribadendo che, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, incombe all'Amministrazione tributaria provare, sia pure anche solo in base a presunzioni, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l'uso dell'ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente aveva, con l'emissione della relativa fattura, evaso l'imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale sospetto ed a porre sull'avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente.
La Cassazione ha inoltre precisato che il concreto definirsi del contenuto di tale onere è rapportato alla effettiva complessità della vicenda: nei casi di operazione soggettivamente inesistente di tipo triangolare - ossia l'ipotesi più semplice e comune - caratterizzata dalla interposizione di un soggetto italiano, fittizio, nell'acquisto di beni tra un soggetto comunitario (reale cedente) ed un altro soggetto italiano (reale acquirente), la giurisprudenza della medesima Corte di legittimità aveva già avuto modo di evidenziare che tale onere "può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata all'esecuzione della prestazione fatturata (è, cioè, una cartiera), costituendo ciò, di per sé, elemento idoneamente sintomatico della mancanza di buona fede del cessionario, poiché l'immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti nella frode induce ragionevolmente ad escludere l'ignoranza incolpevole del contribuente in merito all'avvenuto versamento dell'IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa né assoggettato all'obbligo del pagamento dell'imposta" (Cass. n. 24426 del 2013).

Vista la documentazione e le prove prodotte dalla parte privata, in considerazione che tutti gli acquisti risultavano effettuati a costi in linea con quelli praticati da tutti gli altri fornitori, risulta impossibile o comunque molto difficile valutare che la XXX Srl potesse essere a conoscenza della frode messa in atto dalla società S., fornitrice della contribuente, poiché non risultano forniti da parte dell'Ufficio validi elementi probatori contrari, dato che tutte le operazioni commerciali realizzate risultavano commercialmente corrette e S. Srl aveva sempre effettuato versamenti IVA a fronte della merce acquistata e rivenduta a prezzi in linea con quelli di mercato.

Nel dubbio, dobbiamo necessariamente presumere che parte privata abbia svolto, in quel tempo, le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La commissione in riforma della sentenza di primo grado accoglie l'appello del contribuente e condanna l'Ufficio al pagamento delle spese di giudizio, compreso il grado di legittimità in complessivi euro 10.000,00 (Diecimila/00) oltre rimborso forfettario IVA e CPA come per legge.
Firenze 22/10/2018.

 

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