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Corte di Cassazione, Sez. 5,
Sentenza n. 2625 del 05 febbraio 2020
1. con sentenza n. 126/21/12 del 09/05/2012, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio (hinc CTR) rigettava l'appello proposto da A. International s.r.l. (hinc A.) avverso la sentenza n. 136/59/11 resa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma (hinc CTP), che aveva a sua volta respinto il ricorso proposto dalla società contribuente avverso un avviso di accertamento per IRPEG, IRAP e IVA relative all'anno d'imposta 2004; 1.1. come si evince dalla sentenza della CTR, con l'avviso di accertamento impugnato l'Amministrazione finanziaria riprendeva a tassazione una serie di costi ritenuti totalmente o parzialmente indeducibili; 1.2. la CTR - limitatamente alla ripresa concernente i costi di euro 122.500,00 per prestazioni di consulenza tecnica resi dalla S. s.r.l. e per quanto ancora interessa in questa sede - motivava il rigetto dell'appello di A. osservando che: a) l'avviso di accertamento aveva evidenziato le ragioni per le quali le operazioni condotte con la S. s.r.l. dovevano ritenersi soggettivamente e/o oggettivamente inesistenti; b) «le dichiarazioni rese da un soggetto che abbia operato per conto dell'impresa o a cui sia attribuita l'emissione di fatture per operazioni inesistenti, possono anche da sole fondare l'accertamento di un maggior imponibile ai fini IVA, non trattandosi di elemento indiziario, ma di vera e propria confessione stragiudiziale»; c) le presunzioni poste a base dell'accertamento dovevano ritenersi legittime mentre era inidonea la prova fornita dalla società contribuente, «limitata a copia del contratto intercorso con la S., nonché copia di una relazione concernente i movimenti di magazzino della società A., incompleta e priva di sottoscrizione»; 2. A. impugnava la sentenza della CTR con ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi; 3. l'Agenzia delle Entrate depositava "atto di costituzione" al solo fine dell'eventuale partecipazione all'udienza di discussione della causa ai sensi dell'art. 370, primo comma, cod. proc. civ.
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1. con il primo motivo di ricorso A. deduce la violazione e/o la falsa applicazione dell'art. 7, comma 1, della I. 27 luglio 2000, n. 212, dell'art. 3 della I. 7 agosto 1990, n. 241 e degli artt. 24 e 111 Cost, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché la omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., evidenziando che l'Amministrazione finanziaria non avrebbe provveduto ad allegare all'avviso di accertamento né il processo verbale di constatazione, né i rilievi fatti nei confronti del legale rappresentante dello S.;
2. il motivo è inammissibile; 2.1. in primo luogo, la ricorrente, nell'ambito dell'esposizione che segue l'indicazione dei parametri normativi, sostiene le diverse doglianze formulate con argomenti unitariamente esposti, senza distinguere la censura di violazione di legge da quella riguardante il vizio di motivazione; 2.1.1. come già statuito dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 18021 del 14/09/2016; Cass. n. 21611 del 20/09/2013) sono inammissibili i motivi di ricorso per cassazione che non si limitano a prospettare una pluralità di profili relativi ad una questione, ma addirittura prospettano una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme che si assumono violate; 2.1.2. le formulazioni della specie costituiscono, da un lato, una negazione della regola di chiarezza (già posta dall'art. 366 bis cod. proc. civ. abrogato, ma desumibile dall'obiettivo del sistema di attribuire rilevanza allo scopo del processo costituito dalla tendente finalizzazione ad una decisione di merito); dall'altro, ammetterne l'ammissibilità significherebbe affidare alla Corte di cassazione il compito di enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure;
2.2. in secondo luogo, A. si duole della motivazione dell'avviso di accertamento, evidenziando che la stessa si fonda su di un processo verbale di constatazione e su accertamenti eseguiti nei confronti della S. s.r.l. mai portati a conoscenza della stessa, ma non trascrive tale motivazione né allega il menzionato avviso al ricorso, con conseguente impossibilità per questa Corte di valutare se il rinvio per relationem ad atti non allegati (di per sé pienamente ammissibile, ove si tratti di atti conosciuti dal contribuente: Cass. n. 10205 del 26/06/2003; Cass. n. 8183 del 11/04/2011; Cass. n. 21119 del 13/10/2011; Cass. n. 4523 del 21/03/2012; Cass. n. 16976 del 05/10/2012) sia stato integrato con la trascrizione di parti essenziali di detti atti, tale da far ritenere sufficiente la motivazione (Cass. n. 1906 del 29/01/2008; Cass. n. 28058 del 30/12/2009; Cass. n. 6914 del 25/03/2011; Cass. n. 13110 del 25/07/2012; Cass. n. 9032 del 15/04/2013; Cass. n. 9323 del 11/04/2017); 2.2.1. sotto questo secondo profilo, il motivo difetta all'evidenza di specificità;
2.3. in terzo luogo, la censura non sembra congruente con il contenuto la motivazione della sentenza impugnata, la quale dà conto degli elementi essenziali posti a sostegno della pretesa impositiva nel contesto dell'avviso di accertamento (cfr. pag. 3, in fine, laddove: si evidenziano le ragioni per le quali le operazioni devono considerarsi inesistenti; si riportano le risultanze delle interrogazioni al SIAT; si riportano le risultanze di un accesso presso la sede della S. s.r.l. e le dichiarazioni del legale rappresentante; si valutano conseguentemente inesistenti le operazioni non avendo la S. s.r.l. presentato le dichiarazioni fiscali, né esibito le scritture contabili e non disponendo la stessa del personale idoneo a effettuare il lavoro commissionato dalla ricorrente), sicché - in presenza di un simile contenuto dell'atto impugnato - non ha alcun effettivo rilievo la mancata allegazione dei documenti indicati;
3. con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e/o la falsa applicazione dell'art. 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e degli artt. 2727 e 2697 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., evidenziandosi che le dichiarazioni di terzi non possono assurgere al valore di prova piena dei fatti, come erroneamente ritenuto dalla sentenza della CTR; 4. il motivo è inammissibile; 4.1. oltre che per le ragioni già indicate con riferimento al primo motivo (censure plurime e difetto di specificità), la censura tende sostanzialmente alla rivalutazione nel merito di elementi indiziari già delibati dalla sentenza impugnata, che valuta le dichiarazioni di terzo unitamente agli ulteriori elementi indiziari contenuti nel contesto dell'avviso;
5. con il terzo motivo si contesta la violazione e/o la falsa applicazione dell'art. 14, comma 4 bis, così come modificato dall'art. 8, comma 1, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, conv. con modif. nella I. 26 aprile 2012, n. 44, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., e l'omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.; 5.1. in buona sostanza la ricorrente ritiene che debba farsi applicazione retroattiva della disposizione richiamata, che legittima la deduzione dei costi anche in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, sicché la sentenza dovrebbe essere cassata non avendo la CTR accertato se i costi non riconosciuti derivino da operazioni soggettivamente o oggettivamente inesistenti;
6. il motivo, ammissibile in quanto la censura riguarda essenzialmente una violazione di legge (e non anche un vizio di motivazione), è fondato nei termini di cui appresso si dirà; 6.1. l'art. 8, comma 1, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, conv. con modif. nella I. 26 aprile 2012, n. 44, ha sostituito l'art. 14, comma 4 bis, della I. 24 dicembre 1993, n. 537, nel modo che segue: «Nella determinazione dei redditi di cui all'art. 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'art. 424 cod. proc. pen., ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'art. 425 del citato codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall'art. 157 cod. pen.. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell'art. 530 cod. proc. pen., ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell'art. 425 c.p.p., fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell'art. 529 cod. proc. pen., compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi»; 6.2.1. il comma 3 del cit. art. 8 ha poi stabilito, per quanto qui interessa, che le disposizioni di cui al citato comma 1 «si applicano, in luogo di quanto disposto dalla L. 24 dicembre 1993, n.537, art. 14, comma 4-bis, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell'entrata in vigore» dello stesso comma 1, «ove più favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base al citato comma 4-bis previgente non si siano resi definitivi»;
6.3. sul tema questa Corte ha già avuto occasione di rilevare, anche sulla scorta della relazione al disegno di legge di conversione del d.l. n. 16 del 2012, che la nuova normativa comporta che, poiché nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, i beni acquistati - di regola (e salvo il caso, ad esempio, in cui il "costo" sia consistito nel "compenso" versato all'emittente il falso documento) - non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati, non è più sufficiente il coinvolgimento, anche consapevole, dell'acquirente in operazioni fatturate da soggetto diverso dall'effettivo venditore perché non siano deducibili, ai fini delle imposte sui redditi, i costi relativi a dette operazioni; ferma restando, tuttavia, la verifica della concreta deducibilità dei costi stessi in relazione ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità;
6.4. va, pertanto, ribadito il principio di diritto in virtù del quale, in tema di imposte sui redditi, a norma dell'art. 14, comma 4 bis, della I. n. 37 del 1993, nella formulazione introdotta con l'art. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012, sono deducibili per l'acquirente dei beni i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti (non utilizzati direttamente per commettere il reato), anche per l'ipotesi che l'acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che, a norma del T.U. delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (cfr. Cass. n. 10167 del 20/06/2012; Cass. n. 24426 del 30/10/2013; Cass. n. 26461 del 17/12/2014; Cass. n. 25249 del 07/12/2016); 6.5. tale disciplina, stante il chiaro disposto dell'art. 8, comma 3, del d.l. n. 16 del 2012, ha efficacia retroattiva, sicché essa trova applicazione anche alla fattispecie concreta, ancorché la vicenda, relativa all'anno d'imposta 2004, ne preceda l'entrata in vigore.
6.6. la sentenza della CTR va, dunque, cassata, dovendo la stessa verificare se i costi dedotti dalla ricorrente riguardino operazioni soggettivamente o oggettivamente inesistenti e, nel primo caso, se A. abbia diritto alla deduzione dei costi ai fini dell'imposta dei redditi, valutando la deducibilità degli stessi dal punto di vista dei principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità;
7. in conclusione, va accolto il terzo motivo di ricorso e rigettati gli altri; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e rinviata alla CTR del Lazio, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma il 30 maggio 2019.
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