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Corte di Cassazione, Sez. 5,
Ordinanza n. 4680 del 21 febbraio 2020
Rilevato che: con ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Roma, D. S.r.l., con sede legale in Roma, esercente attività di «bar e caffè», impugnò l'avviso di accertamento, ai fini IRPEG, IRAP, IVA, per il periodo d'imposta 2003, con il quale l'Agenzia delle entrate aveva recuperato a tassazione maggiori ricavi, non dichiarati, sulla base del metodo analitico-induttivo, previsto dall'art. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e contestò, sotto vari profili, la legittimità della verifica fiscale e dell'atto impositivo; la Commissione provinciale di Roma (con sentenza n. 58/16/10) rigettò il ricorso e tale decisione è stata confermata dalla Commissione tributaria regionale del Lazio, la quale, con la sentenza menzionata in epigrafe, ha rigettato l'appello della società; il giudice di secondo grado, per ciò che ancora rileva, ha riconosciuto la legittimità dell'accertamento analitico-induttivo, di cui all'art. 39, primo comma, lett. d), cit., che (come insegna la giurisprudenza di legittimità) è consentito, pur in presenza di una contabilità formalmente corretta, qualora la contabilità possa essere considerata complessivamente inattendibile, in quanto confliggente con le regole fondamentali della ragionevolezza; nella specie, a giudizio della Commissione regionale, il giudice di primo grado ha: «individuato [...] la ragionevolezza dei ricavi e dei corrispettivi dichiarati dalla parte, avendo avuto riguardo le caratteristiche dell'impresa e procedendo alla rettifica indiretta esclusivamente quando esistono rilevanti differenze tra ricavi dichiarati e quelli ricostruiti indirettamente; e quindi da questi la legittima rettifica del reddito di impresa compiuta in base al suddetto art. 39 n. 600/73 e che, si basa sulla ricostruzione induttiva [...]» (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata); la società ricorre per la cassazione, con due motivi; l'Agenzia ha depositato «atto di costituzione», ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 370, primo comma, cod. proc. civ.;
Considerato che:
con il primo motivo del ricorso [1. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto], la ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere fatto corretta applicazione del metodo analitico-induttivo (ex art. 39, primo comma, lett. d), cit.), poiché, nella specie, l'accertamento non si fonda sull'esame di elementi specifici, riferibili all'attività concretamente svolta dall'impresa, bensì esclusivamente sulle percentuali di ricarico asseritamente praticate. Il quantitativo di caffè che l'ufficio assume che la società abbia acquistato non è stato preso come parametro dell'eventuale sproporzione tra merce acquistata e ricavo ottenuto dalla vendita della merce stessa, ma è stato utilizzato come dato per ottenere induttivamente (per altro, sulla scorta di prezzi di vendita non effettivamente praticati), i ricavi derivanti dalla somministrazione del prodotto; sotto altro aspetto, lo scostamento tra i ricavi dichiarati e le medie di settore non è una presunzione semplice, grave e precisa, idonea da sola a fondare un accertamento induttivo e, al fine della dimostrazione del fatto ignorato, necessita di altri elementi di supporto;
con il secondo motivo [2. Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio], la ricorrente censura la sentenza impugnata, la quale si è limitata a confermare, in modo generico, la legittimità e la correttezza dell'azione accertatrice, senza valutare tutte le circostanze di fatto (segnatamente: (a) che il caffè acquistato era pari a 795 kg e non a 812 kg; (b) che non era stata apprezzata la quantità di caffè che, per vari motivi, non concorre alla somministrazione al dettaglio; (c) l'errata quantificazione del prodotto utilizzato per la produzione di una tazzina [8 gr e non 7 gr]; (d) la mancata valutazione dell'utilizzo del caffè per realizzare altri prodotti; (e) l'errata determinazione del prezzo di vendita di una tazza di caffè [euro 0,56 e non euro 0,63]) addotte dalla contribuente per dimostrare l'inesatta determinazione induttiva dei ricavi, e cioè, conclusivamente, che le tazzine di caffè, somministrate nel 2003, erano 75.000 e non 115.000, come affermato dall'organo di controllo, sicché i ricavi ammontavano a euro 42.000,00, anziché a euro 72.450,00;
il secondo motivo, il cui esame appare logicamente prioritario, è fondato, con conseguente assorbimento del primo «mezzo»; la sentenza della Commissione regionale è stata pubblicata il 25/06/2012, sicché trova applicazione l'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione anteriore alla novella introdotta dall'art. 54, primo comma, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83 (convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, che si applica in relazione alle sentenze d'appello pubblicate a partire dall'11/09/2012), secondo cui il vizio di motivazione consiste nella: «omessa, insufficiente o contradditoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio»; questa Corte, anche di recente (Cass. 3/10/2018, n. 24035), ha chiarito che «il «fatto» ivi considerato è un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza in senso storico-naturalistico (Cass. n. 21152/2014); il fatto in questione deve essere decisivo: per potersi configurare il vizio è necessario che la sua assenza avrebbe condotto a diversa decisione con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, in un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data (Cass. n. 28634/2013; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 24092/2013; Cass. n. 18368/2013; Cass. n. 3668/2013; Cass. n. 14973/2006); nella specie, la sentenza impugnata si è limitata ad aderire, in modo acritico, al risultato dell'accertamento fiscale e alla decisione di primo grado, senza spiegare il percorso argomentativo seguìto per giungere a tale conclusione e omettendo completamente di esaminare tutti i fatti (sopra elencati), rispondenti all'accezione di cui al n. 5, dell'art. 360, cod. proc. civ., che la contribuente aveva allegato per ribaltare la ricostruzione induttiva dei ricavi compiuta dall'Amministrazione finanziaria, il cui esame, ove fosse stato eseguito in modo puntuale e rigoroso, avrebbe potuto determinare un risultato conoscitivo diverso; ne consegue che, accolto il secondo motivo e assorbito il primo, la sentenza è cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, alla quale è demandato di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità;
PQM
la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2019
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