Estratto: “la sentenza impugnata si è limitata ad aderire, in modo acritico, al risultato dell'accertamento fiscale e alla decisione di primo grado, senza spiegare il percorso argomentativo seguìto per giungere a tale conclusione e omettendo completamente di esaminare tutti i fatti (sopra elencati), rispondenti all'accezione di cui al n. 5, dell'art. 360, cod. proc. civ., che la contribuente aveva allegato per ribaltare la ricostruzione induttiva dei ricavi compiuta dall'Amministrazione finanziaria, il cui esame, ove fosse stato eseguito in modo puntuale e rigoroso, avrebbe potuto determinare un risultato conoscitivo diverso”.
Scontro tra i gestori dei bar ed il Fisco sugli accertamenti fondati su presunzioni. 3 esempi di casi in cui i gestori dei bar hanno vinto il processo contro l’Agenzia delle Entrate
Estratto: “questo Collegio condivide integralmente le motivazioni rese dai Giudici di prime cure sulla certa inerenza del costo per spese di pubblicità non riconosciuto dall'Ufficio. Infatti va precisato che la deduzione del costo in questione rimane legittima se essa avviene secondo i dettami dell'art. 109, 5° comma del D.P.R. n. 917/86. A parere di questo Collegio, alla pari di quello dei Giudici di prime cure, il costo dedotto dalla …… rimane legittimamente deducibile, tenuto anche conto che è emersa la certezza del costo, certezza messa in dubbio dall'Ufficio e rappresentante l'elemento fondante del recupero a tassazione opposto dalla odierna appellata”.
Estratto: “La società ha allegato che i prezzi di vendita dei prodotti dovevano essere desunti dagli scontrini fiscali acquisiti in sede di verifica, e non dalle dichiarazioni rese dal contribuente in sede di accesso, che era errato il numero delle tazzine di caffè vendute, in quanto non si è tenuto conto dello sfrido né dell'autoconsumo, dovendosi considerare che i sette impiegati consumavano tre caffè al giorno, che non potevano essere applicate le percentuali di ricarico sui prezzi dei prodotti relativi al 2007, mentre l'anno in contestazione era il 2003, che non si poteva applicare la media aritmetica semplice per il computo delle percentuali di ricarico, in quanto i prodotti erano disomogenei (vino, tramezzini, caffè, liquori ed altro), che si doveva tenere conto del periodo di chiusura forzata per quindici giorni dal 14 al 28 settembre 2003. Il giudice di appello non ha in alcun modo considerato queste specifiche deduzioni”.
Estratto: “La pronuncia della CTR non è logicamente consequenziale nel considerare insufficiente un ricarico dell'87% rispetto ad un preteso ricarico medio del 250/350%, laddove lo studio di settore (a pag. 6 del ricorso) evidenzia un "range" di ricarico normale 74->224% e il rilievo non è contestato in controricorso: sicché appare congruo un ricarico che, seppure poco sopra il minimo, rientra nell'ampio spettro dello studio di settore, ove la percentuale massima è il triplo della minima, tanto da non poter costituire, ex se solo, indizio sufficiente per sostenere la ripresa a tassazione”.
Estratto: “il giudice di merito ha rideterminato complessivamente il reddito del contribuente, valutando autonomamente le risultanze probatorie offerte dalle parti e rimodulato il reddito dell'esercizio, deducendo poi di conseguenza il quantum di spettanza di ogni singolo socio, riscrivendo integralmente il quantum perceptum da ciascuno. Coerente quindi con il dato normativo e adeguatamente motivato l'operare del giudice di merito, esente da censure di legittimità”.
Estratto: “la CTR, peraltro, ha del tutto omesso di specificare i presupposti in fatto idonei ad individuare le specifiche ragioni della valutazione, sicché resta oscuro quali siano le incongruenze e le presunzioni che, in concreto, avrebbero dignità di legittimare la modalità induttiva di rettifica”.
Estratto: “Non è dunque, corretto, calcolare la percentuale di ricarico media in relazione alla media ponderata, facendo riferimento esclusivamente ai diversi valori di ricarico medio secondo la mera media aritmetica, in tal modo non considerando le diverse percentuali di ricarico, in relazione ai singoli prodotti disomogenei, in ragione anche della diversa quantità di vendita di ciascuno di essi”.
La Commissione Tributaria Regionale di Milano, con la sentenza n. 477/2017, ha annullato un avviso di accertamento emesso nei confronti di un contribuente che svolgeva sia l’attività di elettricista che di gestione di un bar.
Sulla base di un accertamento induttivo, l’Agenzia delle Entrate aveva contestato che i ricavi dichiarati non fossero in linea con gli studi di settore.
Il contribuente lamentava l’illegittimità dell’accertamento poiché egli si era adeguato allo studio di settore, per tale motivo, all’Ufficio era preclusa la possibilità di eseguire un accertamento presuntivo, così come previsto dall’art. 10, comma 4bis, L. n. 146/1998.
I Giudici hanno condiviso le doglianze proposte nell’appello annullando totalmente l’avviso di accertamento notificato, ed il contribuente non sarà più tenuto al pagamento.
Massima: “È illegittimo l’avviso di accertamento quando il contribuente provi di essersi adeguato allo studio di settore e l’Agenzia non abbia contestato l’incoerenza. In tale situazione l’art. 10, comma 4bis, della l. 146/1998 preclude la possibilità di accertamento presuntivo atteso che i redditi dichiarati allineati agli studi di settore si presumono congrui per effetto di legge. Il valore di legge del citato art. 10 rende privo di efficacia il su indicato decreto ministeriale. Nel caso di lite, il contribuente svolgeva attività promiscua (gestione di bar e attività di elettricista) sicché l’ente accertatore si era uniformato alle previsioni del d.m. 11/02/2008 e alle istruzioni della circolare n. 31 del 2008 in considerazione della duplice attività svolta dal contribuente. Tuttavia la Commissione ha ritenuto inapplicabile il citato decreto ministeriale rispetto alla previsione della legge contenuta nel richiamato art. 10, poiché nello stabilire criteri nuovi con la pretesa di generale applicabilità nei casi come quello in esame, ha da una parte innovato rispetto alla disciplina legislativa introducendo casistiche non previste dalla legge con l'introduzione di scaglioni di reddito in percentuale (nella specie del 30% dell'ammontare totale dei ricavi dichiarati) al di sopra dei quali non opererebbe lo studio di settore, con ulteriore introduzione della regola (art. 2 del citato decreto) non applicabile ai soggetti che svolgano due o più attività”.
Nel caso deciso dalla CTR della Lombardia un esercente si era visto notificare un avviso di accertamento all’interno del quale si procedeva a rideterminare il margine di ricarico del bar. Il contribuente tuttavia è riuscito a dimostrare che i criteri utilizzati dall’Ufficio non rispondevano a canoni di coerenza logica e congruità. I Giudici con la sentenza in discussone hanno quindi totalmente annullato l’avviso di accertamento. L’esercente non sarà tenuto al pagamento di alcuna somma.
Massima: “L'Amministrazione finanziaria può, attraverso la determinazione delle percentuali di ricarico, ricostruire gli effettivi margini di guadagno applicati dai contribuenti sulle merci vendute, ma la scelta del criterio di determinazione della percentuale di ricarico deve rispondere a canoni di coerenza logica e congruità, essendo consentito il ricorso al criterio della media aritmetica semplice, in luogo della media ponderata, soltanto quando risulti l'omogeneità della merce e non quando fra i vari tipi di merce esista una notevole differenza di valore e quelle più vendute presentino una percentuale di ricarico molto inferiore a quella risultante dal ricarico medio.”