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Dovevano essere considerati i prezzi di cui agli scontrini, lo sfrido / autoconsumo, che i prodotti erano disomogenei e che l’Agenzia applicava percentuali di ricarico relativi ad altro anno. Accolto il ricorso dell’esercente. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: “La società ha allegato che i prezzi di vendita dei prodotti dovevano essere desunti dagli scontrini fiscali acquisiti in sede di verifica, e non dalle dichiarazioni rese dal contribuente in sede di accesso, che era errato il numero delle tazzine di caffè vendute, in quanto non si è tenuto conto dello sfrido né dell'autoconsumo, dovendosi considerare che i sette impiegati consumavano tre caffè al giorno, che non potevano essere applicate le percentuali di ricarico sui prezzi dei prodotti relativi al 2007, mentre l'anno in contestazione era il 2003, che non si poteva applicare la media aritmetica semplice per il computo delle percentuali di ricarico, in quanto i prodotti erano disomogenei (vino, tramezzini, caffè, liquori ed altro), che si doveva tenere conto del periodo di chiusura forzata per quindici giorni dal 14 al 28 settembre 2003. Il giudice di appello non ha in alcun modo considerato queste specifiche deduzioni”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Sentenza n. 30363 del 21 novembre 2019

FATTI DI CAUSA

1. La Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva l'appello proposto dalla Agenzia delle Entrate nei confronti della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma, che aveva accolto il ricorso presentato dalla M. bar s.r.l. avverso l'avviso di accertamento emesso nei confronti della stessa per l'anno 2003, evidenziando che tale avviso, analitico-induttivo, pur sulla base di una formale regolarità dei dati contabili, era sostenuto da idonea motivazione in ordine all'entità del ricarico rilevato, all'ammontare della imposta evasa, all'indicazione delle norme violate e alle modalità di calcolo di sanzioni ed interessi, e che vi era anomalia tra le percentuali di ricarico, applicate dalla società, poi neppure presentatasi in udienza in appello, e quelle emergenti dal raffronto tra il costo del venduto ed i ricavi dichiarati.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società.

3. Resiste con controricorso l'Agenzia delle entrate.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di impugnazione la società deduce "violazione del principio del contraddittorio - nullità della sentenza per vizio del procedimento", in quanto l'Agenzia delle entrate non ha provveduto a notificare l'appello alla società, la quale si è avveduta solo a seguito della ricezione della cartella di pagamento della notifica dell'appello a V. quale "incaricata al ritiro", ma in realtà non facente parte dello studio, composto da tre impiegati (F., S. e B., le prime due con funzioni di segretaria) ed un operaio, in tal modo determinandosi l'inesistenza della notifica. 1.1.Tale motivo è infondato. Anzitutto, si rileva che i documenti, pur essendo stati prodotti per la prima volta in sede di legittimità, sono utilizzabili. Ai sensi dell'art. 372 c.p.c., infatti, nel giudizio per cassazione è ammissibile la produzione di documenti non prodotti in precedenza solo ove attengano alla nullità della sentenza impugnata o all'ammissibilità processuale del ricorso o del controricorso, ovvero al maturare di un successivo giudicato, mentre non è consentita la produzione di documenti nuovi relativi alla fondatezza nel merito della pretesa, per far valere i quali, se rinvenuti dopo la scadenza dei termini, la parte che ne assuma la decisività può esperire esclusivamente il rimedio della revocazione straordinaria ex art. 395, n. 3, c.p.c. (Cass., 18464/2018). Pertanto, i documenti 7 (estratto del libro giornale dal 9-9-2003 al 30-9-2003) 8 (buste paga degli impiegati dello studio B-D) e 9 (busta paga della Signora V.), relativi alla V. possono essere prodotti in sede di legittimità, essendo volti alla dichiarazione di nullità della sentenza di appello.

Tuttavia, per questa Corte, in applicazione delle disposizioni concernenti il servizio postale ordinario, in caso di consegna a persona diversa dal destinatario la quale si sia dichiarata "autorizzata al ritiro della posta", deve presumersi che la qualità indicata, sostanzialmente equivalente a quella di "incaricato", sia stata dichiarata proprio da chi ha ricevuto l'atto sicché, per vincere la presunzione derivante dalla consegna a tale persona, occorre provare che il consegnatario non era né dipendente del notificando né addetto alla casa per non aver ricevuto neppure un incarico provvisorio e precario (Cass., 3 aprile 2019, n. 9240; Cass., 7113/2001). Inoltre, si è affermato che, in tema di notificazione a società munita di personalità giuridica, che abbia la propria sede presso uno studio professionale, la persona addetta a tale studio deve ritenersi addetta anche alla sede della società medesima, e, pertanto, abilitata a ricevere l'atto, a norma dell'art. 145 comma 1 c.p.c., indipendentemente dal fatto che sia o meno dipendente di detta destinataria, o con essa legata da altro rapporto giuridico (Cass., 28 dicembre 2018, n. 33568).

Infatti, per questa Corte, ai fini della regolarità della notificazione di atti a persona giuridica mediante consegna a persona addetta alla sede (art. 145, comma 1, c.p.c.), senza che consti la previa infruttuosa ricerca del legale rappresentante e, successivamente, della persona incaricata di ricevere le notificazioni, è sufficiente che il consegnatario si trovi presso la sede della persona giuridica destinataria non occasionalmente ma in virtù di un particolare rapporto che, non dovendo essere necessariamente di prestazione lavorativa, può risultare anche dall'incarico, pur se provvisorio e precario, di ricevere le notificazioni per conto della persona giuridica. Ne consegue che, qualora dalla relazione dell'ufficiale giudiziario risulti la presenza di una persona che si trovava nei locali della sede, è da presumere che tale persona fosse addetta alla ricezione degli atti diretti alla persona giuridica, anche se da questa non dipendente, laddove la società, per vincere la presunzione in parola, ha l'onere di provare che la stessa persona, oltre a non essere una sua dipendente, non era neppure addetta alla sede per non averne mai ricevuto incarico alcuno (Cass., 20 novembre 2017, n. 27420). Nella specie, come detto, tale prova non è stata fornita, anzi con la produzione della busta paga di V. emerge proprio che la stessa ben può avere ricevuto un incarico provvisorio alla ricezione, facendo parte di altro studio che si trova allo stesso indirizzo (stessa via e stesso numero civico). Inoltre, deve aggiungersi che, in tema di notificazione ai sensi dell'art. 140 cod. proc. civ., la raccomandata cosiddetta informativa, poiché non tiene luogo dell'atto da notificare, ma contiene la semplice "notizia" del deposito dell'atto stesso nella casa comunale, non è soggetta alle disposizioni di cui alla legge 20 novembre 1982, n. 890, sicché occorre per la stessa rispettare solo quanto prescritto dal regolamento postale per la raccomandata ordinaria. Pertanto si è escluso che fa mancata specificazione, sull'avviso di ricevimento, della qualità del consegnatario e della situazione di convivenza o meno con il destinatario determinasse la nullità della notificazione (Cass., 18 dicembre 2014, n. 26864).

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole "per omessa e, comunque, insufficiente motivazione relativamente al capo della sentenza che valuta la violazione emanata dall'art. 42, comma 3, del d.p.r. 600/1973", in quanto il giudice di appello ha escluso la nullità dell'avviso di accertamento per carenza di motivazione, ma si è limitato ad affermare che l'atto conteneva tutti i requisiti che lo rendevano idoneo allo scopo, quali l'entità del ricarico rilevato, l'ammontare dell'imposta evasa, l'indicazione delle norme violate e le modalità di calcolo di sanzioni ed interessi. In particolare, nell'avviso non erano state indicate le motivazioni per cui era stato applicato l'accertamento induttivo puro di cui all'art. 39 comma 2 d.p.r. 600/1973, in luogo dell'accertamento analiticoinduttivo ex art. 39 comma 1 lettera d d.p.r. 600/1973. Neppure su questo aspetto il giudice di appello aveva fornito adeguata motivazione. Nè il processo verbale di constatazione era stato allegato all'avviso di accertamento.

3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce "omessa e, comunque, insufficiente motivazione relativamente al capo della sentenza che valuta la violazione e mancata applicazione dell'art. 39, comma 1, del d.p.r. 600/1973, l'illegittima applicazione dell'art. 39, comma 2, d.p.r. 600/1973, la violazione dell'art. 2697 e dell'art. 2729 c.c., nonché la violazione dell'art. 42, comma 2, del d.p.r. 600/1973", in quanto il giudice di appello non ha adeguatamente motivato in ordine alla illegittima applicazione dell'accertamento induttivo puro di cui all'art. 39 comma 2 d.p.r. 600/1973, in luogo dell'accertamento analitico-induttivo di cui all'art. 39 comma 1 lettera d d.p.r. 600/1973. La Commissione regionale ha omesso di illustrare il criterio logico che l'ha condotta nella formazione del suo convincimento in ordine alla validità delle percentuali di ricarico applicate.

3.1. I motivi secondo e terzo, che possono essere esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati. Si premette che i motivi sono autosufficienti, sicchè deve essere superata l'eccezione sollevata in tal senso dalla Agenzia delle entrate nel controricorso. Invero, per questa Corte, quando si censura sotto il profilo della congruità logica e giuridica il giudizio espresso in ordine alla giustificazione probatoria di un avviso di accertamento, è sufficiente riportare nel ricorso "i passi salienti della motivazione dell'atto impositivo), che si assumono essere stati non valutati o malamente valutati (Cass., 17812 del 9 settembre 2016; Cass., 395 del 13 gennaio 2016; Cass., n. 5870 del 13 aprile 2012; Cass., 3790 del 15 febbraio 2013; Cass., n. 6232 del 27 marzo 2015; Cass., n. 13501 del 27 luglio 2012) ovvero riportare per riassunto il contenuto unitamente alle indicazione essenziali per la localizzazione e il reperimento dei documenti dell'incarto processuale (Cass., n. 26858 del 18 dicembre 2014; Cass. n. 20776 dell'Il settembre 2013). Nella specie, la ricorrente non ha trascritto il contenuto integrale dell'avviso di accertamento, ma ha, comunque, riportato alcuni stralci, che indicavano i punti salienti della motivazione dell'atto impositivo, sì da consentire a questa Corte di verificare il contenuto dell'avviso di accertamento oggetto del giudizio della Commissione regionale. Tuttavia, rientra nel potere dell'amministrazione finanziaria, nell'ambito della previsione di legge, di scegliere il metodo di accertamento da utilizzare nel caso concreto e, pertanto, parte contribuente, in assenza di peculiarità pregiudizievoli, non ha titolo a dolersi della scelta operata (Cass., n. 8333 del 25 maggio 2012).

4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente deduce "violazione dei principi dell'ordinamento e falsa applicazione delle norme di diritto", in quanto il giudice di appello ha affermato che la mancata costituzione in giudizio da parte dell'appellato rappresenta una chiara ammissione di colpa.

4.1.Tale motivo è infondato. Infatti, il giudice di appello, solo nella parte finale della motivazione, ha affermato che "d'altra parte, la mancata presentazione della società appellata all'udienza odierna… non giova, nella fattispecie, all'interessata, la quale, intervenendo all'udienza odierna, avrebbe potuto chiarire il suo assunto e, eventualmente, produrre documenti a completamento di quanto indicato in gravame, mettendo il giudice in condizione di meglio comprendere i motivi di doglianza". Trattasi, dunque, di una mera considerazione giuridica, che non assurge a fondamento della motivazione, ma si limita a prendere atto della mancata costituzione in giudizio della società appellata che, ovviamente, qualora avesse partecipato al giudizio avrebbe potuto difendersi più compiutamente, prendendo posizione sui fatti allegati dalla appellante Agenzia. Non si è però affermato che la contumacia equivalga a non contestazione dei fatti allegati dalla controparte.

5. Con il quinto motivo di impugnazione la società deduce "omessa e, comunque, insufficiente motivazione relativamente ad alcuni punti decisivi della controversia ed in particolare con riferimento al capo della sentenza che valuta nel merito la controversia", in quanto il giudice di appello non ha tenuto conto delle specifiche doglianze palesate dalla contribuente con il ricorso, e segnatamente della inesattezza nella determinazione del prezzo di vendita, non essendo stati valutati gli scontrini fiscali acquisiti in sede di verifica, della

mancata valutazione, nel computo delle tazzine di caffè, di quelle relative all'autoconsumo e della parte di prodotto non utilizzabile quale "grido", della individuazione delle percentuali di ricarico relative all'anno 2003 tenendo conto del listino prezzi esposto nel 2007, della erronea utilizzazione della media aritmetica semplice, invece che ponderata, per la determinazione delle percentuali di ricarico, essendo disomogenei molti prodotti messi in vendita (vino, caffè, tramezzini, liquori), oltre che del periodo di chiusura forzata per 15 giorni nel corso dell'anno 2003. 5.1.11 quinto motivo è fondato. Anzitutto, si rileva che la sentenza della Commissione regionale è stata depositata il 16-6-2011, sicchè si applica l'art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., nella stesura anteriore alle modifiche di cui al d.l. 83/2012, in vigore solo per le sentenze depositate a decorrere dall'11-9-2012. Inoltre, per questa Corte, in tema di accertamento induttivo fondato sulle percentuali di ricarico della merce venduta, il ricorso alla media aritmetica semplice è consentito quando risulti l'omogeneità della merce, dovendosi invece fare ricorso alla media ponderale quando, tra i vari tipi di merce, esiste una notevole differenza di valore e i tipi più venduti presentano una percentuale di ricarico inferiore a quella risultante dal ricarico medio (Cass., 27 dicembre 2018, n. 33458; Cass., 24 luglio 2009, n. 17379; Cass., 4 marzo 2015, n. 4312). Va anche evidenziato che per questa Corte, in tema di accertamento dei redditi di impresa, l'Ufficio può procedere a quello analitico-induttivo, ai sensi dell'art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, anche in presenza di scritture formalmente regolari, ove la contabilità risulti complessivamente inattendibile sulla base di elementi indiziari gravi e precisi, come il sensibile scostamento delle percentuali di ricarico anche in relazione allo stesso periodo di imposta oggetto dell'accertamento (Cass., 12 dicembre 2018, n. 32129; per Cass., 30 ottobre 2018, n. 27552, l'antieconomicità del comportamento del contribuente può anche desumersi da un unico elemento presuntivo, purchè preciso e grave, quale l'abnormità della percentuale di ricarico). Nella specie, la Commissione regionale ha reso una motivazione del tutto superficiale, senza alcun richiamo a documenti specifici e senza indicare numericamente le percentuali di ricarico dichiarate dal contribuente e quelle accertate dalla Agenzia delle entrate, né i prodotti presi come riferimento (caffè, tramezzini, vini, liquori). La Commissione si è limitata ad affermare, con formule vaghe, del tutto disancorate dai profili fattuali, che l'avviso di accertamento contiene "tutti i requisiti che lo rendono idoneo allo scopo", che è stato posto in essere correttamente un accertamento analitico-induttivo, che vi erano irregolarità di carattere sostanziale commesse dalla società che vi era un maggiore volume di affari indicativo di maggiore capacità contributiva e che il contribuente non ha indicato concreti elementi in grado di superare le conclusioni dell'Ufficio. In realtà, la società ha riproposto in sede di giudizio di legittimità le medesime argomentazioni già esposte nel ricorso introduttivo, alle quali la Commissione regionale non ha fornito alcuna risposta. La società ha allegato che i prezzi di vendita dei prodotti dovevano essere desunti dagli scontrini fiscali acquisiti in sede di verifica, e non dalle dichiarazioni rese dal contribuente in sede di accesso, che era errato il numero delle tazzine di caffè vendute, in quanto non si è tenuto conto dello sfrido né dell'autoconsumo, dovendosi considerare che i sette impiegati consumavano tre caffè al giorno, che non potevano essere applicate le percentuali di ricarico sui prezzi dei prodotti relativi al 2007, mentre l'anno in contestazione era il 2003, che non si poteva applicare la media aritmetica semplice per il computo delle percentuali di ricarico, in quanto i prodotti erano disomogenei (vino, tramezzini, caffè, liquori ed altro), che si doveva tenere conto del periodo di chiusura forzata per quindici giorni dal 14 al 28 settembre 2003. Il giudice di appello non ha in alcun modo considerato queste specifiche deduzioni, incorrendo, quindi, in una motivazione insufficiente.

6.La sentenza deve, quindi, essere cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il quinto motivo; rigetta i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata, in ordine al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio dell'8 ottobre 2019.

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