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CTR Lombardia – Milano: non è dovuta l’IVA nelle cessioni di beni a titolo di sconto. La pretesa di pagamento notificata al produttore di articoli tessili è invalida. Rigettato l’appello dell’Agenzia delle Entrate Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Massima: “Le cessioni di beni a titolo di sconto o abbuono che, previste nelle condizioni contrattuali, si inseriscono nell'ambito di una più ampia transazione commerciale, non possono essere considerate cessioni a titolo gratuito e, pertanto, non concorrono a formare la base imponibile ai fini IVA”.

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Comm. Trib. Reg. per la Lombardia Sezione/Collegio 5

Sentenza del 02/07/2018 n. 3032 -

Testo:

Conclusioni della parte appellante Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Varese: "chiede a codesta on. Commissione tributaria Regionale che, in riforma della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Varese, voglia accogliere il presente appello per i motivi sopra esposti e in riforma della sentenza impugnata: 1) annullare la statuizione emessa dalla C.T.P. di Varese e, per l'effetto, dichiarare la legittimità dell'operato dell'Ufficio; 2) condannare l'appellato alle spese di entrambi i gradi di giudizio, liquidate come da separata nota spese".

Conclusioni della parte resistente soc. M. S.r.l. (già S.p.a.): "chiede la conferma della sentenza 142/16 della Commissione Tributaria Provinciale di Varese o, in subordine, la riduzione sino a zero delle sanzioni irrogate. Il tutto con vittoria di spese".

fatto e svolgimento del processo

L'Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Varese, all'esito di una verifica effettuata dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Varese presso la sede amministrativa della M. S.p.a., ora S.r.l., società operante nel settore della fabbricazione di articoli tessili, conclusa con la redazione e la notifica di un P.V.C., ha notificato alla società Contribuente l'avviso di accertamento compiutamente individuato in epigrafe, relativo al periodo di imposta 2009.

L'Ufficio, preso atto che nell'anno considerato la società aveva effettuato cessioni gratuite di campioni a clienti Comunitari, per un importo complessivo di? 49.009,73 non assoggettato ad IVA e non oggetto di autofatturazione, ai sensi dell'art. 2, comma 2, n° 4 del D.P.R. n° 633/72 ha recuperato a tassazione l'IVA relativa al suddetto imponibile.

La soc. M. S.r.l. ha impugnato l'avviso di accertamento avanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Varese, eccependo come nella fattispecie non possa trovare applicazione l'art. 2 citato dall'Ufficio, bensi l'art. 15 del decreto IVA, relativo alle operazioni non soggette all'imposta.

Il giudice di primo grado ha accolto il ricorso, sulla considerazione che i beni risultano ceduti a titolo di sconto o abbuono al cliente finale, nell'ambito di una più ampia transazione commerciale. Non si tratta quindi di cessioni a titolo gratuito, ma a titolo di sconto previsto dalle originarie condizioni contrattuali. Esse pertanto non concorrono a formare la base imponibile e l'applicazione dell'IVA si palesa illegittima.

L'Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Varese ha proposto ricorso in appello avverso la sentenza di primo grado, affidato ai seguenti motivi: 1) erronea valutazione delle prove acquisite al processo dalle quali emerge, difformemente da quanto ritenuto dal primo giudice, che le cessioni di merci di cui alle 27 fatture prese in considerazione dall'Ufficio, sono state effettuate a titolo gratuito; 2) da quanto sopra rilevato deriva la violazione, o la non corretta applicazione nella sentenza impugnata, del disposto dell'art. 2, comma 2, n° 4 del D.P.R. n° 633/72, a mente del quale le cessioni gratuite di beni, sono imponibili all'IVA; 3) erronea applicazione nella fattispecie del disposto dell'art. 41, comma 1, lett. a) del D.L. n° 331/1993, per carenza delle condizioni ivi previste per poter considerare le cessioni intracomunitarie effettuate dalla società Contribuente non imponibili ai fini IVA, difettando il carattere oneroso dell'operazione; 4) erronea considerazione da parte del giudice di primo grado della circostanza che la gratuità delle cessioni è stata dichiarata in modo espresso dalla stessa società Contribuente, all'interno delle fatture oggetto di considerazione e che, comunque, la natura gratuita delle cessioni permane anche volendo considerare l'operazione non di natura solidaristica, ma inserita in una transazione commerciale più ampia.

La soc. M. S.r.l. si è costituita nel presente giudizio di appello con memoria di controdeduzioni in data 10.11.2016. L'Appellata ha ribadito tutte le difese svolte ed in particolare la natura onerosa di tutte le cessioni di beni di cui si tratta, ed ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado.

All'udienza pubblica di discussione erano presenti i difensori delle parti, i quali hanno illustrato le rispettive difese ed insistito per l'accoglimento delle conclusioni sopra riportate.

Motivi della decisione

L'appello non è fondato e deve essere respinto.

La sentenza di primo grado appare correttamente e compiutamente motivata. Relativamente all'eccepita violazione da parte della soc. Contribuente del precetto di cui all'art. 2, comma 2, n° 4 del D.P.R. n° 633/72 sollevata dall'Ufficio, il giudice di prime cure si è cosi pronunciato: "Le cessioni di merce risultano legate a specifiche operazioni commerciali; dette cessioni non risultano riconducibili a quanto previsto dall'art. 2 n° 4 DPR 633/72 in quanto tali beni risultano ceduti a titolo di sconto o abbuono nell'ambito di una più ampia transazione commerciale.

Trattasi in sostanza di una normale configurazione di rapporto commerciale e non vi è alcuna cessione gratuita di beni, in quanto si è in presenza di una cessione a titolo oneroso in cui, a fronte di un determinato prezzo, vengono cedute determinate quantità di beni con sconti derivanti unicamente da esigenze commerciali e da accordi.

La ricostruzione giuridico - fattuale della fattispecie sottoposta al vaglio della Commissione operata dal giudice di primo grado, appare del tutto esaustiva ed immune da censure laddove rileva, in modo del tutto condivisibile, come le cessioni di beni effettuate dall'odierna Resistente, non possano in alcun modo essere riguardate alla stregua di cessioni gratuite.

Stante quanto sopra, nel caso che ci occupa, il disposto dell'art. 2, comma 2, n° 4 del decreto IVA è stato evocato dell'Ufficio del tutto a sproposito. Le cessioni di beni di cui si tratta infatti, come correttamente sottolineato nella sentenza oggetto di gravame, si inseriscono "nell'ambito di una più ampia transazione commerciale". Per meglio esplicitare il concetto, si può dire che il prezzo di vendita dei beni di cui si tratta, è compreso in quello esposto in tutte le altre fatture emesse nei confronti dello stesso cliente ed in ciascuna di esse. Tali fatture infatti, secondo gli accordi commerciali intercorsi, prevedevano ab origine l'applicazione di sconti sul prezzo di vendita che, una volta maturati, presumibilmente in considerazione del volume di affari intercorso tra le parti, venivano riconosciuti da parte della venditrice mediante la cessione di beni corrispondente al controvalore dello sconto maturato. Si consideri la seguente ulteriore circostanza: se i beni ceduti dalla soc. Contribuente a titolo di sconto o abbuono fossero stati inseriti nelle fatture di vendita nelle quali era esposto il prezzo, nessuno avrebbe avuto nulla da obiettare: l'imponibile indicato era evidentemente relativo anche a quei beni. Il fatto che la soc. Contribuente, magari per motivi legati al calcolo dello sconto o dell'abbuono, o magari per motivi legati alla gestione della contabilità, abbia ritenuto di concentrare i beni ceduti in controvalore dello sconto in distinte, apposite fatture, non cambia per nulla la sostanza della transazione commerciale. Anche in relazione alle cessioni da ultimo menzionate, le quali si inseriscono "nell'ambito di una più ampia transazione commerciale'', deve essere riconosciuta la natura onerosa.

Infine, occorre dar conto che tra le stesse odierne parti, per analoghi fatti relativi al periodo di imposta XXX, è intervenuta la sentenza n° 485/2018 pronunciata il 15.01.2018 dalla 1° Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che ha riconosciuto fondate le eccezioni sollevate dalla soc. M S.r.l. nei confronti dell'avviso di accertamento notificato dall'Ufficio.

Le spese seguono la soccombenza, come da dispositivo.

p.q.m.

la Commissione rigetta l'appello e conferma la sentenza di primo grado. Condanna parte appellante alle spese del grado di giudizio, che liquida in € 1.000,00 oltre accessori di legge.

Milano, 14.05.2018

 

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